Alcippo (1615)/Atto terzo
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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Leucippe, Tirsi, Montano.
Io v’ho fatto palese: a voi pertiensi
Risvegliare il pensiero
Per discreto rimedio:
A le Ninfe fia caro
S’egli sarà severo.
Mon.Leucippe esser dee grave,
E molesto a ciascuno il rimirare
Aprirsi strada, onde per questi monti
Lo studio de le Ninfe,
E la loro honestà sia mal secura;
E questo mal, che sorge
Hassi da castigare, anzi che cresca,
E che per sua grandezza
Non si possa vietare.
Tir.Costui, che con ardir non più provato
Porge essempio ad altrui
Di divenire ardito,
Dee certo esser punito,
E con la pena sua porgere essempio
Del nostro sdegno, onde altri
Habbia spavento d’oltraggiarne: parmi
Di pensar giustamente:
Ne penso di cangiarmi.
Leu.Ecco Aritea, che viene,
E tragge ben legato
Quello amante infelice.
SCENA SECONDA.
Aritea, Megilla, Montano, Tirsi,
Leucippe.
Leucippe, io son secura
O Tirsi, et o Montano,
Ch’ella ben pienamente harà narrato
L’istoria, onde costui
Hor si conduce a la presenzia vostra:
Et io la tacerò: ma solamente
Narrerò le preghiere,
Che per la bocca mia vi fan le Ninfe:
Elle stanno attendendo
Bramose di vedere,
Che diritto giudicio altrui sgomenti
Sì che per l’avvenir più non s’insidij
La loro honesta vita
Con falsi tradimenti:
Voi siete colmi di sapere, esperti
Per l’etade canuta:
Voi qui date le leggi,
E la gente reggete in questi monti,
Hor fate, che risplenda
Vostra virtù, sì come
È dever, che s’attenda
Tir.S’alcun dovesse ripregarsi, o pure
Dovesse stimolarsi con ragioni
A fornire alcuna opra,
Sarian vostre ragioni, e vostri preghi
Aritea ben possenti
Col petto di ciascuno:
Ma con noi son soverchi:
Si dobbiamo vegghiar, che ’l sommo pregio
De le nostre contrade
Mai non divenga oscuro,
Per manco d’honestade:
Hor tu, che ’n finti panni
Vai machinando froda,
Dì, che pensier facesti?
Chi sei? donde movesti?
Meg.D’Elide mossi o Tirsi:
E quantunque chiamarmi scelerato
Oda sì spesso, io pure
Non son veracemente
Salvo che sfortunato.
Tir.E qual fu la cagion, perche fanciulla
Dentro coteste gonne ti fingevi
Per le nostre foreste?
Qual desiderio haveste?
Meg.Amava: e m’era tolto
Refrigerio sperare a le mie fiamme
Senza sì fatto inganno.
Mon.Come non t’era noto,
Che ’l prendere a trattar con queste Ninfe
Era risco mortale?
E ch’ogni reo di simigliante colpa,
E ch’ardisse cotanto,
Per legge si dannava ad annegarsi
Nel fiume d’Erimanto?
Meg.Erami noto: et io
Molto men paventava
L’estremo de dolori,
Che non mirar vivendo
I begli occhi di Clori.
Mon.Quale era tua speranza? et a qual fine
Rivolgevi la mente?
Da lei che desiavi?
Meg.Nulla era il desir mio,
E nulla mia speranza: io destinava
Il viver trapassar sol col mirarla
Fin che m’era concesso;
E se pure avveniva oltra mia speme,
Et oltra mio desire,
Ch’io dovessi sperare, e desiare,
Era il fin de miei voti
O Montano sposarla,
E così bon penare.
Tir.Se la bramavi sposa
Sponer tu le dovevi i desir tuoi:
Meg.Non è lo stato mio di sì gran pregio,
Che commover dovessi
Lei già fermata di menare i giorni
Senza consorte: ma se miei costumi
Trattando io seco, havean tanta ventura
Sì ch’acquistasser parte
De le sue grazie, allhora
Mi s’apriva la via
Di sporle i miei desiri:
Ecco ò Tirsi la froda,
Ecco l’insidia mia.
Arit.Veggio venire, e ben turbata in viso,
Onde lo sdegno suo si fa palese
Clori, voi sentirete
Come ella sia disposta
Su le sofferte offese.
SCENA TERZA.
Clori, Megilla, Tirsi, Montano,
Leucippe, Aritea.
Tirsi, e Montan vi prego sofferite;
Ch’io mi volga a costui;
Rispondi ingannatore,
Qual cosa in me vedesti,
Chi ti porgesse ardir d’essermi amante?
E perche il nome mio vai seminando
Entro gli amori tuoi?
Adesco io con gli sguardi, e col sembiante
Sì fattamente altrui,
Che sovra i miei costumi
Altri possa mentire; et haver fede
Di non perder credenza?
Rispondi, che sai dire?
Meg.Mi costrinser le Ninfe
Sotto pena di morte a far palese
Perche sì sconosciuto
Qui facessi soggiorno;
Così costretto, io dissi
Esser forza d’amore
Fecer commando poi, ch’io rivelassi
Il nome della Ninfa, onde era amante:
Dissi chiamarsi Clori:
Dissi così perch’era vero: et anco
Per provar l’honestà de l’amor mio:
Certo la tua virtù ben conosciuta
Non è per consentire,
Ch’a te si volga alcuno
Con biasimevol desire:
Chiedi, qual cosa mi facesse amarti:
Io ti rispondo o Clori,
Bellezza, et honestate
L’una, e l’altra infinita,
Hora, s’amar per cotal guisa è colpa,
Debbo perder la vita.
Clo.Parole lusinghiere,
E ripiene di froda: ove giamai
Vedestu me? rispondi:
Parla omai: fa ch’io t’oda.
Meg.Pur hor si compie l’anno,
Che tu venisti in Elide a le feste
Sù le rive d’Alfeo
Colà ti rimirai:
E sì fatto mirare
Chi s’intende d’amor suole chiamarlo
Ardere, e consumare.
Clo.E chi d’amore è preso
Ha da vestir panni mentiti? et indi
Dimora fare in divietate selve?
Sprezzar decreti, rompere costumi
Di popoli honorati?
Nò, non per certo: habbiamo
Legge contra costor ch’en Erimanto
Habbia da gir sommerso,
E tu certo v’andrai:
S’a manifesta colpa
Deve seguir la pena:
Fingi, e menti se sai.
Meg.Quanto di sopra ho detto,
Dissi per ubidire a tue parole,
Che chiedean mia risposta:
Io non mi scuso, affermo
Esser degno di morte:
Eccomi in vostra forza:
Non è chi vi contrasti,
O per me metta voce:
Per questo condennato
Non è padre, che pianga,
Non fratel, che sospiri,
Non madre, non sorella,
Che vi si getti a piedi;
Clori, non infiammare
Lo sdegno di costoro;
Io vuo morir; tu ’l vedi.
Clo.Hora a voi padri, e che di questi monti
Conservate le leggi; e che vegghiate
Su la nostra salute
Con pregio di valore,
Altro non posso dir, salvo che pende
Da la vostra sentenza il nostro honore;
Costui non po negare, e non vi nega,
Che sapea nostre usanze; e non per tanto
L’ha rotte e disprezzate
Con malvagio disegno;
Quanto a l’animo suo, quanto appartiensi
A suoi pensier, noi siam tutte impudiche;
Sì fatte ei ne bramava; hor vi pensate
A la colpa a l’essempio
Ch’altri ne piglierà; se ’l sopportate;
Pur hor per la mia lingua unitamente
Qui sono a ripregar tutte le Ninfe,
Che la loro honestà per voi secura
Sia fra queste montagne; io certamente,
S’egli ha scampo da voi;
Ma tal disaventura io non aspetto;
Scelgo il più forte stral da la faretra
Per trapassarli il petto; io più non posso
Qui stare a rimirarlo,
Cotanta ira m’accende;
Andiam Leucippe, andiamo
A ritrovar l’amate
Nostre compagne; e voi
Fate, ch’oggi apparisca
Vostro senno, e bontate.
Mon.Non porremo in oblio
Nostro dovere; e farem sì ch’altrui
la giustizia di noi
Chiara risplenderà
Non mossa da disdegno,
Ne da pietà; tu se ti piace omai
Garzon mal consigliato
Adduci tue ragioni, e fa difesa
Pur per la tua salute
In sì dubbioso stato.
Meg.Pur dianzi io dissi, et hora vi confermo,
Che posto in grave ardore
Per la beltà di Clori, io fei pensiero
Di cangiar panni, e simigliarmi a Ninfa,
Frodi, ch’insegna Amore;
Erano miei disegni,
Per ogni guisa lusingarla, e quando
Al suo gentil giudicio i miei costumi
Per suprema ventura
Giunti non fosser vili
Sì che l’alto suo cor fosse piagato
A non havermi a scherno,
A l’hora io proponea farle palese
Tutti gli inganni; et anco i miei desiri;
E s’ella non sdegnava
Meco sposarsi per tal via sottrarmi
A gl’immensi martiri;
Tali fur miei pensieri;
Furo malvagi, e quinci
Stati sono infelici.
Io ben v’affermo; e testimonio chiamo
E Cielo, e Terra, e quel che gli governa
Signore onnipotente;
Mai dal petto di Clori,
Mai da quel duro core
Compresi uscir parole,
Ch’odorasser d’Amore;
Sempre dardi, e faretre,
Sempre giochi silvestri, sempre accesa
La vidi a dar battaglia,
E portar spoglie d’animali alpestri;
Tanto ho da dirvi, omai
Forniscansi mie pene;
Questa vita odiata
Da lei, per cui vivea,
Esser non mi po grata;
Duri per queste selve alta memoria
De la mia disventura; e se giamai
Un miserabil caso ha da narrarsi,
Dite de miei tormenti,
Ne cercate altra istoria.
Mon.Avegna, che tue colpe
Siano assai manifeste, e tu non sappia,
E tu non voglia addurne alcuna scusa,
Noi sarem non per tanto,
Come è nostro costume,
Ben ritenuti ne i giudicij nostri;
E faremo preghiera a sacri altari,
Perche dirittamente
Ogni nostro intelletto
A giudicare impari;
Aritea prendi cura,
E guarda colà dentro
Costui sì scioccamente
Caduto in disventura.