Anima sola/XV

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XIV XVI

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Amatemi quando sarò morto.


Torno dal cimitero, dove ho pensato tanto alla vostra simpatia per questi luoghi malinconici e affascinanti. Vi ricordate una volta? Eravamo andati a cercare in un vecchio camposanto abbandonato la tomba di una fanciulla russa, morta per non aver potuto raggiungere il suo ideale. Non ci riesci di trovare la tomba; e un po’ delusi, un po’ malcontenti, ce ne ritornammo in mezzo alle croci. — Era il novembre avanzato. Un freddo umido saliva dalle zolle erbose, dai marmi, e saliva pure da tutti que’ nomi dimenticati, da tutti quei cuori che avevano cessato di [p. 137 modifica]battere, da quei drammi sepolti sotto l’ironia di una pace eterna, e scendeva dal cielo in una nebbia sottile, transparente ancora ma già vicina a raggruppare i suoi veli come una piangente figura del dolore. Io vi presi il braccio in silenzio e mi strinsi contro la vostra spalla.

Ricordate? ...

Diceste — Come sono soli i morti!

Io gridai, quasi ferita: No, no, non vedete che l’amore dei vivi va ai morti? Non siamo noi qui?

Vidi allora che stringevate le labbra come so che fate quando siete contento di me, e così ci immergemmo nella nebbia sottile.

Incombeva sopra noi l’incanto di quella prima giornata d’inverno; sentivamo la poesia elegante della luce grigia, del cielo chiuso e velato, così altamente spirituale, così fatto per le anime [p. 138 modifica]silenziose. Senza cercarli, ci venivano alla memoria i versi che inneggiano alle tinte pallide, ai fantasmi evocati dalla nebbia tra i rami morti degli alberi, dove l’occhio riposa in una profonda quiete sì che i sensi sembrano allontanarsi per lasciare tutto il posto al pensiero. Una dolcezza ci allacciava che non era di questo mondo.

Davanti ad una tomba antica, quasi sepolta nella chioma di un salice, ci siamo fermati insieme come ci succedeva spesso; e, come tante altre volte, sul punto di pronunciare la medesima parola, i nostri sguardi la indovinarono insieme. Insieme! — questa cosa divina quando si riferisce alle anime.

Ricordate? Ricordate?

E ancora oggi era il vostro volto indimenticato che evocavo tra i salici piangenti di questo cimitero di villaggio, [p. 139 modifica]era a voi che avrei voluto parlare, era sul vostro petto che avrei voluto piangere. Sedetti accanto ad una breve piantagione di mirto che circondava la fossa di un bambino: il mirto, eretto, aspro, resistente, sempre verde, forte, puro, non tollera nessuna vegetazione accanto, e fiorisce con piccole rosette bianche. Come vi somiglia!

Ho colto un ramoscello di quel mirto, dove forse era passata qualche cosa dell’anima innocente di un bambino e mi parve di sentire che la vita e la morte hanno vincoli occulti e profondi, per cui una ininterrotta corrente di simpatia fa palpitare in noi la vita di quelli che non sono più.

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Udii ripetere molte volte che nulla rimane della misera arte dei [p. 140 modifica]commedianti, pure vi furono tra essi anime appassionate che noi amiamo ancora e la cui voce, spenta da secoli, ha lasciato un’eco che si ripercuote di generazione in generazione. Le anime non appartengono al corpo che le contiene. Esse hanno veramente in sè, quando sono grandi, come il deposito di tutte le consolazioni, di tutti gli amori, di tutte le ispirazioni; e da ogni parte della terra, qualunque sia la distanza di tempo che le separa, accorrono, risalgono a loro le piccole anime bisognose, come frotte d’uccelli feriti.

Anche fuori delle impronte virili del genio a cui spetta l’immortalità, le appassionate anime femminili vivono. Io conosco e vedo quella bruciante fiamma di sentimento che fu la Desclée. I pittori ci hanno trasmesso il suo profilo pensoso; i biografi ce l’hanno descritta pallida, [p. 141 modifica]coi grandi occhi magnetici; Dumas, che ebbe l’onore di intuirne per il primo le specialissime doti, dice di averla accolta ingenua provinciale, vestita con un abito verde fuori di moda, e seguita dalla vecchia nutrice che non l’abbandonava mai; non ci dicono altro, essi.

Ma io ricordo una signora che aveva assistito a tutte le recite della Desclée in Italia, e già presso alla tomba si rianimava ancora mandando scintille dagli occhi e lagrime insieme quando parlava della Desclée.

Quelle scintille e quelle lagrime non sono state vane poichè la passione della Desclée è giunta attraverso ad esse fino a me. E perchè non potrò io trasmetterla a qualcuno? È così che sopravivono le anime.

Ah! questo soffio invisibile, genio o sentimento, passione o pensiero che resta [p. 142 modifica]dopo la dissoluzione della carne e suscita, senza l’aiuto di nessuna forma, così ardente simpatia non è una prova della superiorità e della immortalità dello spirito? Come la Desclée, quante incognite io amo! tutto una grande lontana famiglia di anime che sento mie sorelle, che non ho mai vedute, che non vedrò mai...

E parlare alle anime! Pensare che quando il mio corpo giacerà sotto le zolle, la mia voce vibrerà ancora e sarò ancora amata, e vivrò, vivrò io pure in tutti gli amori che verranno, nei grandi ideali nuovi che rischiareranno la terra, sempre, finchè un grido di passione scuoterà il petto degli uomini! No, no, i morti non sono soli.

Chi non è felice un’ora nella vita? Ma cos’è la felicità che passa? In possesso della gioia presente, ho sempre [p. 143 modifica]anelato alle gioie dell’infinito. L’orologio va, va va, e quella continuità di movimento mi sorprende e m’attira ma un urto, un cambiamento di temperatura lo arrestano, ed io penso che la bellezza del suo meccanismo è assai relativa per che si appoggia alla resistenza di una materia bruta. Cerco il fascino di ciò che resta, che continua, che non finisce mai. L’immortalità ideata dal paganesimo per gli eroi, la seconda vita promessa ai cristiani, non rispondono forse a questo bisogno superiore? Nulla è veramente bello, nulla è veramente vero se finisce; ma credete anche questo; nulla finisce di ciò che è veramente bello. Quanti morti sono più vivi dei vivi?

Nelle ore del felice passato, quando eravate al mio fianco e che vi leggevo negli occhi, e che ascoltavo il bronzo sonoro della vostra voce, nella completa [p. 144 modifica]realtà della vostra presenza che sembrava dovesse colmare i miei voti, oh! anche allora, anche allora — e chi sa che cosa avrete pensato di me — gemevo silenziosamente: — finirà...

Ma ora, nella disperata certezza di non vedervi mai più, mentre il mondo e forse la morte ci divide, nè voi potete ascoltarmi, nè io nulla sperare, che cosa abbraccio così ardentemente se non ciò che è sopravvissuto ai transitori rapporti della nostra amicizia, e che non finirà, il vostro pensiero, l’anima vostra, o Lawrence! Non la vostra fronte che deve chinarsi al destino dei mortali, non il vostro giovane corpo destinato ai vermi, Voi, Voi, quello che di voi non morrà, che nessuno potrà mai nè contestarmi nè togliermi.