Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/303

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Anno 303

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Anno di Cristo CCCIII. Indizione VI.
MARCELLINO papa 8.
DIOCLEZIANO imperadore 20.
MASSIMIANO imperadore 18
Consoli

CAIO AURELIO VALERIO DIOCLEZIANO AUGUSTO per l’ottava volta e MARCO AURELIO VALERIO MASSIMIANO AUGUSTO per la settima.

L’uffizio di prefetto di Roma fu appoggiato a Giunio Tiberiano2848 in questo anno; anno non so s’io dica di funesta, oppur di gloriosa memoria alla religione cristiana. Funesto, perchè in esso fu mossa la più orrida persecuzione che mai patisse in addietro la fede di Cristo; glorioso, perchè questa fede si mirò sostenuta da innumerabili campioni sprezzatori dei tormenti e della morte, e che col loro martirio accrebbero i cittadini al cielo2849. Per testimonianza di Lattanzio2850, fin l’anno di Cristo 298, perchè nel sagrificare agli idoli niun segno si vedeva nelle viscere delle vittime per predir l’avvenire, come si figurarono i troppo crudeli pagani, gli aurispici attribuirono questo sconcerto al sospetto o alla certezza che fosse presente qualche cristiano. Allora Diocleziano in collera ordinò che non solamente tutte le persone di corte, fra le quali non poche professavano la religione cristiana, ma anche i soldati per le provincie sagrificassero agl’idioli, sotto pena d’essere flagellati e cassati. Alcuni pochi per questo ordine sostennero anche la morte, ma per allora gran rumore non si fece. Avvenne che Diocleziano Augusto e Galerio Cesare suo genero unitamente passarono il verno di quest’anno nella Bitinia, nella città di Nicomedia. In quei tempi, come confessa Eusebio, per la lunga pace s’era bensì in mirabil forma dilatata la religion di Cristo, coll’erezion d’infiniti templi nelle stesse città per tutte le provincie romane; ed innumerabil popolo era già divenuto quello degli adoratori della croce per l’Oriente e per l’Occidente. Ma il loglio era anche col grano; già fra gli stessi cristiani s’udivano eresie, si mirava l’invidia, la frode, la simulazione e l’ipocrisia cresciuta fra loro. E fino i vescovi mal d’accordo insieme disputavano di precedenze, l’un mormorando dell’altro, con giugnere poi le lor gregge ad ingiurie e sedizioni, e a dimenticare i doveri e i bei documenti di sì santa religione. Giacchè niun pensava a placar Dio, volle Dio farli ravvedere, volle con leggier braccio gastigar le loro negligenze, lasciando che i pagani sfogassero l’antico lor odio contra del suo popolo eletto2851. Galerio Cesare quegli fu che accese il fuoco. Costui da sua madre, donna di villa, asprissima nemica de’ cristiani, imparò ad abborrirli, e ne avea ben dati in addietro dei fieri segni; ma in quest’anno decretò di sterminarli affatto. Trovandosi egli dunque in Nicomedia col suocero Diocleziano, quando ognuno credeva che amendue per tutto il verno trattassero in secreti colloqui dei più importanti affari di stato, si venne a sapere che la sola rovina de’ cristiani si maneggiava ne’ lor gabinetti. Galerio, dissi, era l’ardente promotore di quest’empia impresa. Diocleziano fece quanta difesa potè, dicendo che pericolosa cosa era l’inquietar tutto il mondo romano; e che a nulla avrebbe servito, perchè i cristiani erano usati a sofferir la morte per tener salda la lor religione; e che, per conseguente, sarebbe bastato il solamente vietarla ai cortigiani [p. 1055 modifica]e soldati. Fece istanza Galerio che si udisse il parer d'alcuni uffiziali della corte e dalla milizia. Costoro aderirono tutti a Galerio. Volle parimente Diocleziano udir sopra ciò gli oracoli dei suoi dii e dei sacerdoti gentili. Senza che io lo dica, ognuno concepisce qual dovette essere la loro risposta. Fu dunque stabilito di dar all'armi contra dei professori della fede di Cristo ; e Galerio pretendeva che eglino si avessero da bruciar vivi; ma Diocleziano per allora solamente accordò che senza sangue si procedesse contra di loro.

Diedesi principio a questa lagrimevol tragedia, per attestato di Lattanzio, nel dì 23 di febbraio dell'anno presente, in cui il prefetto del pretorio con una man di soldati si portò alla chiesa di Nicomedia, posta sopra una eminenza in faccia al palazzo imperiale. Rotte le porte, si cercò invano la figura del Dio adorato dai cristiani. Vi si trovavano bensì le sacre scritture, che furono tosto bruciate, e dato il saccheggio a tutti gli arredi e vasi sacri. Stavano intanto i due principi alla finestra, da cui si mirava la chiesa, disputando fra loro, perchè Galerio insisteva che se le desse il fuoco, ma con prevalere la volontà di Diocleziano, che quel tempio si demolisse, per non esporre al manifesto pericolo d'incendio le case contigue. Restò in poche ore pienamente eseguito il decreto , e nel dì seguente si vide pubblicato un editto (1), con cui si ordinava l'abbattere sino ai fondamenti tutte le chiese dei cristiani, il dar alla fiamme tutti i lor sacri libri, con dichiarar infame ogni persona nobile, e schiavo ciascun della plebe che non rinunziasse alla religion di Cristo. Tale sul principio fu l'imperial editto, a cui poscia fu aggiunto che si dovessero cercar tutti i vescovi, ed obbligarli a sagrifigare ai falsi dii. Finalmente si arrivò a praticare i tormenti e le scuri ; onde poi venne tanta copia di martiri che illustrarono la fede di Gesù Cristo, e servirono col loro sangue a maggiormente assodarla e a renderla trionfante nel mondo. Poco dopo la pubblicazion di questo editto si attaccò il fuoco due volte al palazzo di Nicomedia (1), dove abitavano Diocleziano e Galerio, e bruciò buona parte. Costantino, che fu poscia Augusto, e si trovava allora in quella città, in una sua orazione (2) ne attribuisce la cagione ad un fulmine e fuoco del cielo. Lattanzio tenne, all'incontro, per certo che autor di quell'incendio fosse lo stesso Galerio Cesare, par incolparne poscia i cristiani, e maggiormente irritar Diocleziano contra di loto, siccome avvenne. Non aspetti da me il lettore altro racconto di questa famosa terribil persecuzione del popolo cristiano, dovendosi prendere la serie della medesima da Eusebio (3), dal cardinal Baronio (4), dal Tillemont (5), dagli Atti dei santi del Bollando (6), in una parola dalla Storia ecclesiastica.

    Circa questi tempi, per quanto si raccoglie da Eusebio (7), tentarono alcuni di farsi imperadori della Melitene, provincia dell'Armenia, e nella Soria. Di tale movimenti altro non sappiamo se non ciò che il Valerio osservò presso Libanio sofista (8) : cioè che un certo Eugenio capitano di cinquecento soldati in Seleucia fu forzato dai medesimi a prendere la porpora perchè non poteano più reggere alle fatiche loro imposte di nettare il porto di quella città. S'avvisò egli di occupare Antiochia, ed ebbe anche la fortuna di entrarvi con quel pugno di gente ; una sollevatosi contra di lui il popolo d'essa città, non passò la notte che tutti quei masnadieri furono morti o presi. La bela ricompensa che per questo atto di fedeltà ebbero gli Antiocheni da Diocleziano, fu che i principali uffiziali delle [p. 1057 modifica]Antiochia e Seleucia furono condannati a morte senza forma di processo e senza concedere loro le difese. Questo atto di detestabil crudeltà rendè sì odioso per tutta la Soria il nome di Diocleziano, che anche novanta anni dappoi, cioè ai tempi di Libanio, il cui avolo paterno fra gli altri perdè allora la vita, con orrore si pronunziava il suo nome. Abbiamo poi da Lattanzio2861 che Diocleziano si portò a Roma in quest’anno per celebrarvi i vicennali, che cadevano nel dì 20 di novembre. Hanno disputato intorno a questo passo il padre Pagi2862, il Tillemont2863 ed altri, cercando quai vicennali si debbano qui intendere, e come cadessero questi in quel giorno. Non entrerò io in sì fatti litigii, e solamente dirò che oggidì son d’accordo i letterati in credere celebrato in quest’anno, e non già nel precedente, come porta il testo della Cronica di Eusebio2864, il trionfo romano d’esso Diocleziano, al quale, per attestato d’un antico panegirista2865, intervenne anche Massimiano Augusto, siccome partecipe delle vittorie2866 fin qui riportate contro ai nemici del romano imperio. Con ciò che abbiam detto di sopra all’anno 297 della pace seguita col re di Persia, secondo la riguardevol autorità di Pietro Patrizio2867, pare che s’accordi ciò che lasciarono scritto il suddetto Eusebio ed Eutropio2868: cioè che davanti al cocchio trionfale furono condotte le mogli, le sorelle o i figliuoli di Narse re di Persia, i quali già dicemmo restituiti molto prima. Si può verisimilmente credere che solamente in figura, ma non già in verità, comparissero in quel trionfo le principesse e i principi suddetti. Parla ancora Eutropio di sontuosi conviti dati in questa occasione da Diocleziano, ma non già di solenni giuochi, siccome costumarono i precedenti Augusti; perchè egli, studiando il più che potea, il risparmio, si rideva di Caro e d’altri suoi predecessori, che, secondo lui, scialacquavano il danaro nella vanità di quegli spettacoli2869. Uscirono perciò contra di lui varie pasquinate in Roma; e non potendo egli sofferire cotanta libertà ed insolenza, giudicò meglio di ritirarsi da Roma, e di andarsene a Ravenna verso il fine dell’anno, senza voler aspettare il primo dì dell’anno seguente, in cui egli dovea entrar console per la nona volta. Ma essendo la stagione assai scomoda a cagion del freddo e delle pioggie, egli contrasse nel viaggio2870 delle febbri, leggiere sì, ma nondimeno costanti, che l’obbligarono sempre ad andare in lettiga. I cristiani, allora vessati in ogni parte, cominciarono a conoscere la mano di Dio contra di questo lor persecutore. Dissi in ogni parte; ma se n’ha da eccettuare il paese governato da Costanzo Cesare, cioè la Gallia; imperciocchè, per attestato di Lattanzio2871, essendo quel principe amorevolissimo verso i cristiani, ed estimatore delle lor virtù, volle bensì, per non comparir discorde da Diocleziano capo dell’imperio, che fossero atterrate le lor chiese, ma che niun danno o molestia venisse inferita alle persone. Anzi, se dice vero Eusebio2872, furono anche salve le chiese nel paese di sua giurisdizione; o se pur ne furono distrutte alcune, ciò provenne dal furor dei pagani, ma non da comandamento alcuno di Costanzo. Come poi si dica che non mancassero anche alla Gallia i suoi martiri, bollendo la persecuzione suddetta, è da vedere il padre Pagi all’anno presente. Abbiamo poi dal sopra citato Lattanzio2873 che nel tempo dei vicennali una nazion di Barbari, cacciata dai Goti, si rifugiò sotto l’ali di Massimiano Augusto, 

[p. 1055 modifica]e soldati. Fece istanza Galerio che si udisse il parer d'alcuni uffiziali della corte e dalla milizia. Costoro aderirono tutti a Galerio. Volle parimente Diocleziano udir sopra ciò gli oracoli dei suoi dii e dei sacerdoti gentili. Senza che io lo dica, ognuno concepisce qual dovette essere la loro risposta. Fu dunque stabilito di dar all'armi contra dei professori della fede di Cristo ; e Galerio pretendeva che eglino si avessero da bruciar vivi; ma Diocleziano per allora solamente accordò che senza sangue si procedesse contra di loro.

Diedesi principio a questa lagrimevol tragedia, per attestato di Lattanzio, nel dì 23 di febbraio dell'anno presente, in cui il prefetto del pretorio con una man di soldati si portò alla chiesa di Nicomedia, posta sopra una eminenza in faccia al palazzo imperiale. Rotte le porte, si cercò invano la figura del Dio adorato dai cristiani. Vi si trovavano bensì le sacre scritture, che furono tosto bruciate, e dato il saccheggio a tutti gli arredi e vasi sacri. Stavano intanto i due principi alla finestra, da cui si mirava la chiesa, disputando fra loro, perchè Galerio insisteva che se le desse il fuoco, ma con prevalere la volontà di Diocleziano, che quel tempio si demolisse, per non esporre al manifesto pericolo d'incendio le case contigue. Restò in poche ore pienamente eseguito il decreto , e nel dì seguente si vide pubblicato un editto (1), con cui si ordinava l'abbattere sino ai fondamenti tutte le chiese dei cristiani, il dar alla fiamme tutti i lor sacri libri, con dichiarar infame ogni persona nobile, e schiavo ciascun della plebe che non rinunziasse alla religion di Cristo. Tale sul principio fu l'imperial editto, a cui poscia fu aggiunto che si dovessero cercar tutti i vescovi, ed obbligarli a sagrifigare ai falsi dii. Finalmente si arrivò a praticare i tormenti e le scuri ; onde poi venne tanta copia di martiri che illustrarono la fede di Gesù Cristo, e servirono col loro sangue a maggiormente assodarla e a renderla trionfante nel mondo. Poco dopo la pubblicazion di questo editto si attaccò il fuoco due volte al palazzo di Nicomedia (1), dove abitavano Diocleziano e Galerio, e bruciò buona parte. Costantino, che fu poscia Augusto, e si trovava allora in quella città, in una sua orazione (2) ne attribuisce la cagione ad un fulmine e fuoco del cielo. Lattanzio tenne, all'incontro, per certo che autor di quell'incendio fosse lo stesso Galerio Cesare, par incolparne poscia i cristiani, e maggiormente irritar Diocleziano contra di loto, siccome avvenne. Non aspetti da me il lettore altro racconto di questa famosa terribil persecuzione del popolo cristiano, dovendosi prendere la serie della medesima da Eusebio (3), dal cardinal Baronio (4), dal Tillemont (5), dagli Atti dei santi del Bollando (6), in una parola dalla Storia ecclesiastica.

    Circa questi tempi, per quanto si raccoglie da Eusebio (7), tentarono alcuni di farsi imperadori della Melitene, provincia dell'Armenia, e nella Soria. Di tale movimenti altro non sappiamo se non ciò che il Valerio osservò presso Libanio sofista (8) : cioè che un certo Eugenio capitano di cinquecento soldati in Seleucia fu forzato dai medesimi a prendere la porpora perchè non poteano più reggere alle fatiche loro imposte di nettare il porto di quella città. S'avvisò egli di occupare Antiochia, ed ebbe anche la fortuna di entrarvi con quel pugno di gente ; una sollevatosi contra di lui il popolo d'essa città, non passò la notte che tutti quei masnadieri furono morti o presi. La bela ricompensa che per questo atto di fedeltà ebbero gli Antiocheni da Diocleziano, fu che i principali uffiziali delle