Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/45

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Audizione Greco

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SENATO DELLA REPUBBLICA CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI

RESOCONTO STENOGRAFICO 45a SEDUTA GIOVEDI’ 16 NOVEMBRE 2000

Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 14.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Presidenza del Presidente CIRAMI

Comunicazioni del Presidente

PRESIDENTE. Vi informo che l’esame della richiesta di rinvio a giudizio, da parte del giudice per l’udienza preliminare di Perugia, dottor Battistacci, è giunto alla fase conclusiva. Proprio oggi, su mia richiesta del 14 novembre, è stata trasmessa copia dell’interrogatorio del dottor Ivo Greco. Non è stato ancora possibile farne copie per i colleghi. Analizzeremo poi il contenuto di questo interrogatorio, che il dottor Greco nella sua introduzione - se lo riterrà opportuno - potrà riassumerci.

Vi comunico che l’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, ha poc’anzi deliberato le seguenti integrazioni al calendario dei lavori per il mese di novembre: mercoledì 22 novembre 2000, alle ore 14, l’esame delle risultanze dell’attività di acquisizione conoscitiva svolta dal secondo gruppo di lavoro in ordine all’azione di dismissione e alle procedure seguite dalla SGR per la liquidazione del patrimonio della Federconsorzi; giovedì 23 novembre 2000, alle ore 14, l’eventuale seguito dell’audizione del dottor Ivo Greco; martedì 28 novembre 2000, alle ore 12, l’audizione dei magistrati Fiammetta De Vitis, Paolo Celotti e Fausto Severini; giovedì 30 novembre 2000, alle ore 14, l’audizione dell’assessore all’agricoltura e foreste della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, e dei dottori Domenico Caccamo e Giuseppe Venezia.

Audizione del dottor Ivo Greco, in qualità di ex presidente della sezione fallimentare del tribunale di Roma ed ex giudice delegato al concordato preventivo della Federconsorzi

PRESIDENTE. La Commissione procede oggi all’audizione del dottor Ivo Greco, che ringrazio per aver accolto, con cortese disponibilità, il nostro invito.

Ricordo che l’audizione si svolge, ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del Regolamento interno in forma libera e che il dottor Greco ha comunicato che non intende avvalersi della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Preciso che dell’audizione odierna è redatto il resoconto stenografico che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alla persona ascoltata e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo, apportandovi le correzioni di forma che riterranno, in vista della pubblicazione negli atti parlamentari.

Avverto che l’audizione si svolge in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge n. 33 del 2 marzo 1998, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso. Qualora da parte del dottor Greco o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Dottor Greco, in quale anno è stato nominato presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Roma? Quali erano stati i suoi incarichi precedenti? Quanti erano i magistrati che componevano la sezione fallimentare che lei dirigeva? Chi erano?

GRECO. Per quanto riguarda gli incarichi precedenti, comincio dall’inizio: sono entrato in magistratura nel 1955 e, dopo il periodo di uditorato, sono stato pretore a Grosseto, a Pavia, a Latina. Poi sono stato per tre anni e mezzo al Ministero di grazia e giustizia, ufficio libere professioni; successivamente, sono stato trasferito al Tribunale di Roma, prima ad una sezione penale e poi ad una sezione civile, dove sono stato circa dieci anni. Sono stato poi trasferito alla Corte d’appello di Roma, sempre al civile, dove sono stato due o tre anni - adesso non ricordo con esattezza - da dove sono stato nuovamente trasferito al Tribunale di Roma, quale presidente della seconda sezione civile.

Nel 1987 sono trasferito alla sezione fallimentare, sempre del Tribunale di Roma, dove sono stato fino al 1997, epoca in cui ho chiesto di essere collocato a riposo. Contemporaneamente, negli ultimi quattro anni, ho presieduto il Collegio per i reati ministeriali, sempre a Roma.

La sezione fallimentare di Roma era costituita, all’epoca, da dieci magistrati, più due presidenti. Il titolare ero io, l’altro presidente era Atzeni.

I magistrati che all’epoca facevano parte della sezione erano i due più anziani, cioè il dottor Celotti e la dottoressa De Vitis, che costituirono sempre e sistematicamente il Collegio ogni volta che, per il concordato preventivo della Federconsorzi, era necessario l’intervento del Collegio. Altri giudici erano: Alessandro De Renzis; Sergio Di Amato; De Chiara; De Virgiliis; Capozzi; Severini; può darsi che qualche altro nome mi sfugga.

PRESIDENTE. La vicenda della quale ci occupiamo è quella relativa al concordato preventivo.

Le formulerò una serie di domande. Lei potrà scegliere l’ordine di esposizione.

Per esempio, la richiesta di concordato preventivo fu preceduta da colloqui informali? In caso positivo, chi gliene ebbe a parlare? Quando? In quale occasione? Ricevette messaggi o sollecitazioni politiche?

La seconda serie di domande. Perché e come mai assunse la funzione di giudice delegato? La sua posizione di presidente, in un caso così importante e delicato, non avrebbe consigliato che lei rimanesse in una posizione di vigilanza mentre poteva delegare altri giudici del Collegio?

GRECO. La presentazione di un ricorso per concordato preventivo mi fu preannunciata, ma solo qualche giorno prima, dal professor Gambino. Mi disse che i commissari governativi avevano ricevuto l’autorizzazione, da parte del Ministro dell’agricoltura dell’epoca (da cui erano stati nominati), di presentare un ricorso per concordato preventivo.

Non ho avuto contatti di alcun genere, né influenze, né pressioni da parte politica né da altre parti.

Per quanto riguarda la mia posizione, oltre che presidente ero giudice delegato - e avevo spesso assunto questa qualifica prima del concordato della Federconsorzi - in oltre 18 procedure, le più importanti e le più pesanti della sezione. Questo onere (non c’era nessunissima incompatibilità tra la posizione di presidente e quella di giudice delegato per il concordato preventivo) era giustificato dal fatto che già in passato, nei cinque o sei anni precedenti, avevo regolarmente assunto questa qualifica senza che alcuna incompatibilità mi fosse stata mai manifestata né io l’avessi riscontrata.

PRESIDENTE. Ci può citare qualcuna di quelle 18 procedure importanti di cui ha parlato?

GRECO. Ad esempio, la Sogene, la Curcio, la Agrifactoring. Le altre adesso mi sfuggono, ma erano tutte procedure di notevole importanza dal punto di vista economico.

Essendo il più anziano della sezione, anche dell’altro presidente Atzeni, assunsi anche per la Federconsorzi la funzione - peraltro molto onerosa, come nelle precedenti procedure - di giudice delegato.

Con l’altro presidente ci fu l’intesa che io avrei assunto la funzione di giudice delegato per la Federconsorzi e lui avrebbe presieduto il Collegio per tutte le altre società collegate con la Fedit, cioè la SIAPA e numerose altre, molte delle quali, subito dopo quello che fu chiamato il crac della Federconsorzi, chiesero di essere ammesse al concordato preventivo o all’amministrazione controllata.

PRESIDENTE. In che modo verificò l’importante condizione per l’ammissione di Federconsorzi al concordato preventivo, cioè che esistessero fisicamente tutte le scritture contabili e fossero regolari? Lo chiedo perché vorrei ricordare che Federconsorzi era commissariata e in condizioni di perdurante squilibrio economico e finanziario, ma aveva chiuso l’esercizio 1990 in pareggio. Le due cose erano astrattamente compatibili, ma l’antinomia era tale da giustificare attenzione sulla contabilità e il bilancio. Come si esercitò questa attenzione?

GRECO. La valutazione circa la regolare tenuta delle scritture contabili, che è uno dei presupposti del concordato preventivo, fu effettuata non da me ma dal Collegio che valutò questo presupposto. Io chiesi la trasmissione, come facevo per tutti i concordati preventivi, delle scritture contabili in tribunale per la visione e perché dovevo apporre la mia firma quale giudice delegato sotto l’ultima operazione registrata nel libro giornale. Mi dissero che per fare questo ci sarebbero voluti degli autotreni. Comunque era da escludere nel modo più assoluto che, non solo nella sezione fallimentare, ma nell’intero tribunale ci fossero locali idonei a contenere questa enorme quantità di scritture. Mi recai allora presso la sede della Federconsorzi (penso sia stata l’unica volta) e mi trovai in una grande stanza letteralmente piena di scritture contabili. Mi portarono le scritture dell’ultimo giorno o degli ultimi giorni proprio perché ero tenuto ad apporre la mia firma sotto l’ultima scrittura per distinguere le due gestioni. Mi portarono uno scatolone che era di un metro cubo e mi dissero che quello era il libro giornale dell’ultimo giorno o degli ultimi giorni. Lo dico per dare un’idea della dimensione delle scritture contabili. Successivamente alla ammissione, il commissario giudiziale, aiutato anche da un coadiutore generale, in persona del professor Pazzaglia, valutò e controllò a campione le scritture contabili. Se ho capito bene la sua domanda, lei mi chiede se risultò dalle scritture contabili, e anche dal bilancio 1991, la situazione di squilibrio. Non si parlò di irregolarità ma di falsità in bilancio, ma tutto si riferiva agli anni precedenti. Per maggior precisione, devo dire che i commissari governativi (mi riferisco al professor Gambino, al dottor Cigliana e al dottor Locatelli), senza avermi preventivamente avvertito, ritennero di nominare una commissione di tre persone per valutare, rispetto ai cinque anni precedenti, se vi fossero state irregolarità nei bilanci e se vi fossero fatti rilevanti dal punto di vista civile e penale. Quando lo seppi, dissi che gradivo che ci fosse la presenza di un rappresentante della procedura. Allora fu eliminato un componente e fu sostituito o aggiunto un mio rappresentante: il professor Carbonetti, che mi dissero essere uno dei maggiori esperti in materia di bilancio. Il professor Carbonetti aveva lavorato per anni all’ufficio studi e legislazione della Banca d’Italia e quindi era un esperto in materia di bilancio. La commissione concluse i suoi lavori nel corso della procedura con due grosse relazioni, la prima, riguardante quelli che, a parere della commissione, erano illeciti penali, la seconda, gli illeciti civili. La prima relazione fu portata da me personalmente, come era mio dovere, a norma dell’articolo 331 del codice di procedura penale, unitamente ad una denuncia firmata da me e dal commissario giudiziale, professor Picardi, al procuratore della Repubblica che all’epoca era il dottor Mele. La seconda relazione invece seguì la via dell’azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori.

PRESIDENTE. In quell’unica visita alla Federconsorzi lei è stato regolarmente accompagnato dal cancelliere?

GRECO. Penso di sì, ma la visita la facevo sempre direttamente in cancelleria, non chiedevo la presenza del cancelliere. Per apporre la firma sotto l’ultima scrittura scendevo in cancelleria. In quell’unica occasione non ricordo se ero accompagnato dal cancelliere, sicuramente ero con il commissario giudiziale, professor Picardi.

PRESIDENTE. Non c’era anche l’avvocato Ghia?

GRECO. Non ricordo, ma penso di no.

PRESIDENTE. Quanto tempo impiegò presso gli uffici della Federconsorzi per controllare questo metro cubo di documenti, che dissero essere l’ultima parte delle scritture contabili? Inoltre, fu redatto un verbale?

GRECO. Non so se fu redatto un verbale, stiamo parlando di dieci anni fa. Per mettere la firma impiegai un attimo. La firma era necessaria per individuare l’ultima scrittura contabile e per distinguere il periodo successivo di gestione del concordato preventivo. Ciò che certamente accertai fu che il libro giornale, che era un tabulato di computer, era regolarmente vidimato sia all’inizio dell’anno, sia nelle pagine, che nelle vidimazioni annuali, obbligo che a quell’epoca esisteva.

PRESIDENTE. Quali erano i suoi rapporti con l’avvocato Ghia?

GRECO. Lo conoscevo benissimo, frequentava la sezione fallimentare da molto tempo anche prima che io arrivassi. Si trattava di rapporti esclusivamente professionali.

PRESIDENTE. Ritengo doveroso, per l’indagine che stiamo portando avanti, in relazione alle domande che sono suggerite da appunti che noi abbiamo classificato come riservati, tratti dalle agende del dottor Cigliana, che le contestazioni o le richieste di chiarimenti al dottor Greco avvengano in forma riservata, per cui propongo alla Commissione di disattivare il sistema audiovisivo interno.

Poiché non si fanno osservazioni, così rimane stabilito.

La Commissione prosegue i suoi lavori in seduta segreta dalle ore 14,25 alle ore 15,30.

PRESIDENTE. Passiamo ad un altro ordine di argomenti e riprendiamo il collegamento audiovisivo interno.

Quando e da chi le fu per la prima volta rappresentato quello che poi è passato alla storia come piano Capaldo? Da lui stesso?

GRECO. No, con una lettera del professor Casella che pervenne nei nostri uffici da Milano.

PRESIDENTE. L’avvocato Casella, prima di ufficializzare questa proposta, ne parlò con lei?

GRECO. No, non lo conoscevo, prima della lettera nessuno mi aveva parlato del piano Capaldo il cui contenuto fu poi divulgato dalla stampa, che ne parlò per un anno. Nessuno mi ha interpellato prima che la lettera del professor Casella arrivasse sul mio tavolo.

PRESIDENTE. Dopo ne parlò con il professor Capaldo o con altri magistrati?

GRECO. Certo. La lettera del professor Casella arrivò mentre era in corso il procedimento di omologazione, prima che si discutesse in camera di consiglio sulla omologazione o meno del concordato. Ovviamente fu presa in esame anche questa lettera del professor Casella che non parlava né a nome del professor Capaldo né di altri, ma a nome di promotori genericamente intesi. Poiché, peraltro, questa offerta proveniva da promotori e non da un soggetto già esistente (che poi divenne la SGR) ritenemmo di considerarla come una lettera di intenti. Però, in sede di sentenza di omologazione, ci ponemmo anche il problema se potesse essere eventualmente anche effettuata una vendita in massa, cioè dell’intero patrimonio, come si chiedeva nella lettera, oppure si dovesse procedere con altre soluzioni quali la liquidazione ordinaria, la nomina di liquidatori e così via. Sulla base di una sentenza della Cassazione, ritenemmo anche che la vendita in massa fosse possibile per il concordato preventivo. Dichiarammo l’ammissibilità e ci fermammo lì in quanto sarebbe stato il tribunale successivamente a valutare la congruità del prezzo quando si fosse costituita la società acquirente.

MANCUSO. Comunicaste questo esito al professor Casella?

GRECO. Non credo. Lo indicammo nella sentenza che fu immediatamente divulgata e penso quindi che l’abbia saputo subito. Il professor Casella, però, fu regolarmente convocato davanti al Collegio poichè doveva essere il tribunale a deliberare sull’autorizzazione alla vendita. Convocammo il professor Casella due o tre volte, sempre alla presenza dell’intero Collegio, del comitato dei creditori, del commissario governativo (allora era diventato uno) e del commissario giudiziale. Tutti i colloqui che abbiamo avuto come Collegio, a volte con il professor Capaldo, a volte con il professor Casella, sono stati verbalizzati. In queste occasioni più volte dissi al professor Capaldo se poteva aumentare l’importo e la risposta fu negativa. Il professor Capaldo interveniva in veste di promotore di questa iniziativa.

MANCUSO. Interveniva come autore del piano?

GRECO. Si. Però questi incontri avvennero successivamente all’omologazione, quando nel frattempo si era costituita SGR, cioè un soggetto giuridico offerente. In quell’occasione il professor Capaldo assunse la qualità di presidente di SGR e di legale rappresentante e veniva convocato da noi.

MANCUSO. Non veniva nessun altro con il professor Capaldo?

GRECO. Qualche volta era accompagnato da un funzionario, capo dell’ufficio legale che, però, non interloquiva, non parlava, era un muto testimone.

MANCUSO. Ma il professor Capaldo era anche presidente della Banca di Roma.

GRECO. Non veniva per conto della banca.

MAGNALBO’. Il professor Capaldo era anche consulente della Fedit.

GRECO. E’ stato detto dopo, non lo sapevamo e non ci interessavamo di questo aspetto antecedente.

PRESIDENTE. Sospendiamo nuovamente il collegamento con il sistema a circuito interno.

La Commissione prosegue i suoi lavori in seduta segreta dalle ore 15,40 alle ore 16.

PRESIDENTE. Riattiviamo il sistema audiovisivo a circuito interno e passiamo ad un’altra serie di argomenti.

MANCUSO. Mi permetta. Questa serie di argomenti quanto durerà, perché anche noi, sebbene sistematicamente perdenti, dobbiamo partecipare al voto sulla finanziaria.

PRESIDENTE. Lei non mi può privare del piacere di avere qui il dottor Greco, che finalmente ci può dare delle spiegazioni che noi non trovavamo aliunde.

Penso comunque che ce la possiamo cavare in 20 minuti.

Dottor Greco, è fondata l’impressione che il piano Capaldo fosse un progetto politico fortemente appoggiato che riguardava l’intero sistema dei consorzi?

GRECO. Non so rispondere su questi fatti. Ho letto e riletto, come tutti, per esempio, certe dichiarazioni del dottor Lobianco, che ritengo siano acquisite, circa il momento politico e gli incontri, a palazzo Chigi, con il presidente Andreotti e il ministro Goria, ma nulla è a mia conoscenza diretta.

PRESIDENTE. Vorremmo sapere quel che lei ha constatato personalmente. La stampa l’abbiamo letta tutti.

GRECO. Nulla nel modo più assoluto; ho cominciato a interessarsi della questione nel momento in cui fu depositato in cancelleria il ricorso per concordato preventivo. Tutto quanto è avvenuto prima (il commissariamento, quali fossero le manovre) lo ignoro nel modo più assoluto. So quel che sapete pure voi, ma perché l’ho letto sui giornali e in alcune deposizioni.

D’altra parte non avevo possibilità di sapere. Non avevo certo contatti con il Ministro.

PRESIDENTE. Qual è stata la posizione dei suoi colleghi della sezione e del Collegio sul cosiddetto piano Capaldo o, se vogliamo dire in modo più formale, sull’istanza Casella? Li ha consultati? Li informava?

GRECO. Le debbo precisare che, secondo un’accusa tuttora pendente, il capro espiatorio di tutta questa faccenda è soltanto Ivo Greco. Tutto quello che dico non intende coinvolgere responsabilità di terzi, me ne guardo bene, ma soltanto sottolineare che quanto è avvenuto non è attribuibile soltanto ad una mia volontà. Tutto quanto è avvenuto non è stato mai esclusivamente per mia volontà.

Il piano Capaldo fu sottoposto al comitato dei creditori, che si espresse in maniera favorevole, e al commissario governativo, all’epoca il dottor Piovano, che oggi dice di essersi dimesso perché non voleva firmare, ma che in realtà aveva espresso ben tre pareri favorevoli, che io mi auguro stiano agli atti. Fu sottoposto all’esame del commissario giudiziale, professor Picardi, che ha espresso un parere favorevole e molto articolato.

Dopo di che, poiché il problema rivestiva notevole importanza, sentii la necessità di convocare informalmente tutti e dieci i giudici della sezione fallimentare e chiesi loro una valutazione del piano Capaldo, della vendita in massa e del fatto che la risoluzione di tutti i problemi sarebbe avvenuta nel giro di soli 18 mesi. Non ci fu una grande discussione. Detto in senso negativo, non ci fu però una sola parola in opposizione.

Quando la proposta fu portata in camera di consiglio, i componenti del Collegio erano, oltre a me, quale giudice delegato e presidente, due giudici non scelti nell’occasione ma i due più anziani della sezione, il dottor Celotti e la dottoressa De Vitis. Essi costituirono sistematicamente il Collegio per tutti i provvedimenti collegiali che furono adottati, fino al momento in cui il dottor Celotti fu trasferito in Corte d’appello e a sostituirlo venne il consigliere Severini. Prima della camera di consiglio avevo rimesso a ciascun giudice tutti gli atti più importanti (la proposta Casella, il parere del comitato dei creditori, il parere del commissario) in maniera che potessero essere informati al completo della questione. Detti tale incarico al cancelliere, il quale osservò questa mia disposizione.

Quando si tenne la camera di consiglio, si discusse lungamente della questione, dopodiché si decise di autorizzare la vendita con le argomentazioni che poc’anzi ho illustrato al deputato Chiusoli, che adesso vedo si è allontanato.

MANCUSO. Si trattava del Collegio in forma allargata?

GRECO. No, si trattava del Collegio formale. Quello in via informale era stato precedente.

Il Collegio allargato, come sanno tutti quelli che hanno un poco d’esperienza in materia civile, si tenne invece in sede di omologazione, che conclude un giudizio di cognizione vero e proprio.

Quando si tiene l’udienza collegiale, non partecipano soltanto i tre giudici che compongono il Collegio, ma tutti coloro che hanno cause da assumere. La camera di consiglio si tiene così in maniera allargata, consentendo in verità a tutti di prendere la parola, ma la decisione spetta poi solo ai tre che compongono il Collegio. In questo senso, divenne allargata anche la camera di consiglio relativa all’omologazione del concordato, che era però precedente all’atto di cui stiamo parlando.

PRESIDENTE. Può spiegare come mai, se le decisioni furono collegiali, cioè formalmente si presumevano collegiali, l’imputazione ha riguardato solo lei? In che cosa si differenziava il suo comportamento da quello degli altri componenti la sezione? Abbiamo avuto esperienze analoghe in passato rispetto alla Corte di Cassazione quando è stato aggredito solo un presidente di Cassazione. Lei, attraverso la vicenda giudiziaria, ha potuto capire il motivo per cui la sua posizione è stata enucleata dal comportamento del Collegio?

GRECO. Mi pare di aver letto in un resoconto di questa Commissione che un componente ha detto che ogni volta che piove ognuno apre l’ombrello. Io non ho aperto l’ombrello e non avevo neppure il cappello. "Ero il presidente, ero il giudice delegato, gli altri due giudici erano due cretinetti che mi affiancavano": questa era l’opinione. In realtà si trattava di fior di magistrati.

PRESIDENTE. Qualcuno ricollega questa situazione ad un suo prestigio meritato, quasi prevaricatore nei confronti degli altri. E’ stato detto qui: il prestigio era tale che gli altri erano - tra virgolette - "succubi", intendendo la capacità professionale del presidente Greco.

GRECO. Questa affermazione l’ho già trovata altrove, ci riferiamo forse allo stesso documento. Quale fosse la prova posta alla base di questa affermazione ancora non lo so, quello che però posso dire è che i due giudici erano i due più anziani e quindi non si poteva dire che avessi artificiosamente costituito il Collegio. Quando è andato via uno dei due, è subentrato un altro che era il più anziano dei restanti. Quando sono arrivato alla sezione fallimentare, del tutto ignorante di diritto fallimentare, i due anzidetti giudici già erano lì da cinque anni circa. Si trattava di persone di altissimo livello - voglio dirlo con forza - e di altissima autonomia di giudizio. Non potevo imporre la mia volontà al dottor Celotti e alla dottoressa De Vitis; erano bravissimi in materia fallimentare, non avrebbero mai accettato una mia imposizione; erano giudici con i quali talvolta si continuava a discutere anche in camere di consiglio successive quando non si era convinti di certe soluzioni. Se posso dire l’ultima parola (e lo voglio fare - ripeto - non per coinvolgere responsabilità di altri, ma per sottolineare che la sentenza di omologazione, il provvedimento di autorizzazione alla vendita in massa, il provvedimento di sottoscrizione dell’atto-quadro, furono provvedimenti meditati da tutto il Collegio, perfettamente a conoscenza del contenuto degli atti in quanto ne avevo trasmesso copia in precedenza) erano persone che non soggiacevano minimamente alla volontà del presidente né di altri. Quanto al fatto che io avessi una sorta di prestigio nei loro confronti, voglio dire che qualche volta ho addirittura avuto delle contestazioni da parte dei miei giudici che si sono presentati a me per dirmi che a loro non piaceva questo o quest’altro. Chi conosce il dottor Celotti e la dottoressa De Vitis sa che sono persone indipendenti in modo assoluto. Dunque, la soggezione nei miei confronti è una mera affermazione non convalidata da nessun fatto e chi conosce questi due giudici sa che sto dicendo la verità.

MAGNALBO’. Nella decisione per l’ammissione al concordato preventivo non era affiancato da questi due giudici.

GRECO. Sto parlando di momenti successivi.

Il problema della procedura cominciò a prendere piede in un’epoca successiva, quando lo ritenni indispensabile in tutti i casi in cui interveniva il Collegio. Comunque, era sempre presente il commissario giudiziale.

Vorrei aggiungere un aspetto della collegialità. Dobbiamo guardare i momenti significativi della vicenda, cioè l’omologazione, l’autorizzazione alla vendita in massa e l’autorizzazione a sottoscrivere l’atto-quadro. E’ sempre stato presente lo stesso Collegio, tranne forse qualche provvedimento, perchè era andato via il dottor Celotti, che fu sostituito dal dottor Severini. Il codice di procedura civile dice che le ordinanze sono firmate solo dal presidente. Ebbene, controllate le ordinanze che si riferiscono all’autorizzazione alla vendita in massa e alla autorizzazione a sottoscrivere l’atto-quadro. Come unico esempio nella storia giudiziaria, sono ordinanze firmate da tutti i componenti del Collegio.

PRESIDENTE. E’ vero che più volte lei ha chiesto l’aumento dell’entità dell’offerta della SGR?

GRECO. Sì, lo facevo anche davanti al Collegio, c’era anche il professor Capaldo.

PRESIDENTE. Perché? La sua posizione doveva essere di assoluta neutralità rispetto all’offerta, altrimenti poteva pregiudicare l’eventuale offerta di terzi rispetto a SGR.

GRECO. Si doveva autorizzare la vendita, come Collegio.

PRESIDENTE. Chiedendo a SGR di aumentare il prezzo, avrebbe potuto bloccare qualche altra offerta di qualche altra cordata di soggetti.

GRECO. Non lo facevo con questo intento, innanzitutto perché non era pensabile una diversa offerta e di fatto non c’era stata. Per mesi i giornali hanno parlato del piano Capaldo, ma per mesi interi non si è fatto avanti nessuno. Il mio intento dunque era chiaro. Personalmente ho detto al professor Capaldo, presenti gli altri colleghi nelle riunioni, di aumentare almeno di qualcosa per favorire, ad esempio, l’esodo dei lavoratori.

Dicevo che ci volevano almeno 50 miliardi, perché il nostro grosso problema era quello dei lavoratori. Se ci fosse stato qualche incentivo alle dimissioni, sarebbe stato più facile che i lavoratori andassero via e quindi si alleggerisse il relativo peso per i creditori.

Adesso non vorrei sbagliare, ma mi pare che ci fu una concessione di 20 miliardi oltre i 2.150. Dissi che dovevano essere destinati esclusivamente ai lavoratori, perché un qualsiasi creditore avrebbe potuto dire che avevamo regalato ai lavoratori attività che erano invece destinate ai creditori. Allora dissi di separare, come un patrimonio di destinazione, questi 20 miliardi, ma non ricordo se andò proprio così. Fu comunque a seguito delle mie insistenze che questo avvenne.

Allo stesso modo i lavoratori furono avvantaggiati per il fatto che una settantina di loro furono assunti dalla SGR, cioè dalla società che acquistava; il professor Picardi andava e veniva dal Ministero del lavoro per chiedere agevolazioni, ammortizzatori sociali, eccetera, che potessero favorire l’esodo dei lavoratori. L’onere delle spese era infatti pesantissimo. Quando fu aperta la procedura l’onere delle spese era pari a otto miliardi al mese. La Federconsorzi distribuiva ad esempio in tutti gli uffici di Roma 90 giornali al giorno. Questi otto miliardi, poi, con grande fatica si ridussero a tre miliardi circa, ma rimaneva il peso dei lavoratori, che non si potevano mettere in mezzo alla strada così, come se fossero stati dei rifiuti. Ho detto prima che anche nella sentenza inserimmo un appello ai pubblici poteri a fare qualcosa a proposito dei lavoratori perché noi non avevamo altro potere che quello di licenziare.

MAGNALBO’. Da chi era composto il comitato dei creditori?

GRECO. Da creditori non facenti parte della SGR; originariamente erano cinque i rappresentanti legali dei creditori. Quando fu costituita la SGR tre del comitato dei creditori entrarono a far parte di quella società. Feci presente l’incompatibilità, ed essi si dimisero. Subito dopo provvedemmo a sostituirli con altri. Quindi tutti i componenti del comitato dei creditori erano estranei alla SGR.

PRESIDENTE. C’è stato qualcuno del comitato dei creditori che si oppose decisamente?

GRECO. Solo un modesto creditore, se ne dà atto nella sentenza.

PRESIDENTE. Che cosa significò per lei questa opposizione?

GRECO. Erano in cinque: quattro dissero di sì, uno solo si oppose. Se ci fosse stata una opposizione molto più seria, poniamo, dei commissari governativi, se un commissario governativo avesse detto che eravamo pazzi ad accettare quei 2.150 miliardi, forse io avrei dovuto sottoporre al Collegio questo aspetto e non so quale soluzione avremmo potuto adottare. La verità, signor Presidente, è che tutta l’Italia era a favore del piano Capaldo. Il ministro stesso, che all’epoca era Fontana, fece una dichiarazione che suonava così, come riportata dai giornali: "Io ritengo che il piano Capaldo sarà accettato dal tribunale e lo ritengo perché è il buon senso che dovrà guidare il tribunale di Roma. Non è questione di prezzo, ma di fare presto e di fare alla svelta". Queste furono le dichiarazioni e scrissero i giornali: "Anche il Ministro spezza una lancia a favore del piano Capaldo". Dopo di che voglio dire un’ultima cosa per dimostrare quale fu il mio attaccamento alla procedura (mi ammalai anche di ulcera): finito il mio lavoro al tribunale cominciavano le telefonate, per esempio il professor Picardi, e si discuteva per telefono fino a notte. Questo fu il mio lavoro in quel momento. Ma al tempo stesso mantenni un distacco rispetto alla procedura tanto che mi piace ricordare un episodio che è anche documentato. Comunque ne parlarono i giornali.

Mi telefona una sera un giornalista, eravamo a 4-5 giorni prima della decisione per la sottoscrizione dell’atto-quadro. Mi telefona un giornalista e mi dice: "Senta, presidente, un gruppo di lavoratori ha fatto un esposto nei suoi confronti al Consiglio superiore della magistratura". Domandai che cosa avessero detto. Mi rispose: "Dicono che lei sta trovando tutte le occasioni per non aderire al piano Capaldo". Quindi, mi si accusava esattamente del contrario. Il giorno successivo sono corso dal presidente del tribunale con una istanza, chiedendo di essere autorizzato ad astenermi da quella procedura. Arrivarono telegrammi da tutte le parti, compreso il Ministro, compresi i segretari generali delle Confederazioni dei lavoratori che mi scrivevano che essi si dissociavano da quel gruppetto e che dovevo andare avanti nella procedura, perché pochi giorni dopo avremmo dovuto delibare sull’autorizzazione alla firma dell’atto-quadro. Non so chi altro telefonò e telegrafò, penso che altrettante "pressioni" furono fatte sul presidente del tribunale, il quale mi chiamò e mi disse: "Come mai te ne vuoi andare proprio in questo momento?". Risposi che non potevo sopportare che, dopo aver fatto tanto anche per i lavoratori, un gruppo di essi si rivolgesse contro di me dicendo che io stavo niente di meno che ritardando la procedura. Questo perché tutti volevano che il tribunale autorizzasse immediatamente il piano Capaldo. Questa era l’atmosfera del momento. A questo punto il presidente del tribunale mi disse: "Tu mi prometti che aderirai al mio provvedimento?". Risposi che non potevo fare diversamente - altrimenti avrei dovuto impugnarlo. Il presidente del tribunale in quel momento era Anedda. Gli dissi di fare quello che credeva. Io avevo presentato la mia istanza, egli doveva provvedere secondo coscienza. Il provvedimento del presidente fu negativo, nel senso che non mi autorizzò ad astenermi e io continuai. Questo per dire che bastò un esposto, di cui non ho mai saputo esattamente il contenuto, per farmi prendere le distanze dalla procedura.

PRESIDENTE. Ma era vero quell’esposto?

GRECO. Si, era vero. Comunque il Consiglio superiore della magistratura non mi ha mai comunicato niente. Io non conosco l’effettivo contenuto, tranne quello che mi disse il giornalista.

PRESIDENTE. Se il problema era fare presto, per le esigenze che lei ha elencato, allora il prezzo offerto poteva essere ancora minore rispetto a quello offerto dal piano Capaldo, poteva essere un prezzo qualunque, pur di avere subito il risultato della vendita. Vorrei capire quele poteva essere il limite minimo.

GRECO. Non glielo so dire. Noi facevamo le nostre valutazioni con riferimento ai 2.150 miliardi. Se avessero proposto mille miliardi anziché 2.150 miliardi non le so dire a quali conclusioni saremmo pervenuti, perché non erano solo mie le valutazioni. Le ho detto quanta gente è intervenuta per esprimere il suo parere su questo prezzo, solo questo posso dire.

PRESIDENTE. Quanto valevano, secondo lei, i crediti della Fedit nei confronti del MAF?

GRECO. Ricordo che il professor Gambino diceva che occorreva una legge, altrimenti valevano zero. Effettivamente fu così, perché c’è chi dice che era lo Stato ad essere debitore, ma dopo 50 anni che non aveva pagato che valore si poteva attribuire a quei crediti? Mi pare che fu attribuito un valore di 800-900 miliardi. Posso sbagliare, ma certo era di gran lunga inferiore al valore nominale.

PRESIDENTE. Dottor Greco, nell’approvare l’atto-quadro si rendeva conto – se così era – che esso consentiva se non un’evasione almeno una sicura elusione fiscale? Come poteva consentire questo?

GRECO. Lei ha ragione. Noi ci ponemmo questo problema: evitare il doppio passaggio significava anche una sorta di evasione fiscale.

PRESIDENTE. Elusione.GRECO. Lei mi conforta.

PRESIDENTE. Se il passaggio è rapido non c’è alcuna differenza da pagare, se non l’imposta di registro.

GRECO. Come lei mostra di sapere già meglio di me, in realtà il meccanismo era questo: anziché vendere alla SGR e successivamente trovare un acquirente, era la stessa SGR che doveva indicarci un acquirente al quale vendere direttamente.

Se lei mi dice che si tratta di elusione anziché di evasione, mi conforta. Avevo paura anche di questo. Però lo capimmo.

PRESIDENTE. Dopo averlo capito, come magistrati come avete potuto consentire questo.

GRECO. Se lei mi dice che si tratta di elusione anziché di evasione…

PRESIDENTE. Questa è la mia opinione. Qualcuno la potrebbe considerare evasione.

GRECO. Si trattava di un’operazione immediata. Cioè, la SGR ci comunicava di aver rintracciato un acquirente. Se non avessimo seguito questo sistema nello stesso giorno avremmo dovuto vendere alla SGR la quale avrebbe dovuto trasferire la proprietà del bene appena acquistato.

Non so se si tratti di evasione o di elusione; mi auguro che si tratti soltanto della seconda ipotesi.

Però notammo che c’era questo problema, che in ultima analisi giovava ai creditori. Noi avevamo una specie di assillo: doveva essere tutto a favore dei creditori.

Lei mi obietta che da 4.000 miliardi si è passati a 2.000, però ho spiegato che questa ultima cifra era una forma di attualizzazione di una somma forse superiore a 4.000.

PRESIDENTE. Come mai gli atti riguardanti il parere del pubblico ministero, prima dell’omologa del concordato, furono trasmessi al Procuratore della Repubblica solo nell’imminenza della decisione?

GRECO. Il pubblico ministero ha partecipato al processo di cognizione perché - come è noto - non deve necessariamente intervenire ma deve essere messo a conoscenza della prima udienza del giudizio di omologazione e, poi, della sentenza di omologazione. Se ritiene di intervenire lo fa, altrimenti non interviene.

Se leggiamo la sentenza, è indicato come presente, con nome e cognome, il pubblico ministero Catalani. Quando fu redatta la sentenza di omologazione, cioè in ottobre, io disposi che la cancelleria rimettesse copia integrale della sentenza al pubblico ministero perché o decorressero i termini per l’impugnazione e quindi la sentenza passasse in giudicato oppure il pubblico ministero proponesse l’impugnazione che riteneva. Questo non avvenne perché il pubblico ministero - debbo dirlo - era già stato già interpellato al momento della presentazione del ricorso. Infatti, come lei sa, il ricorso per concordato preventivo deve raccogliere preventivamente il parere.