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Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Pietro Rosa

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Pietro Rosa

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Emidio Renazzi Emanuele Ruspoli

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ROSA COMMEND. PIETRO


Consigliere Municipale






li uomini che affaticano la mente e l’anima nel penetrare addendi tro dei secoli, ed iscrutando le storie, e ricercando le orme degli antichi padri, e le traccio gloriose degli eroi, e le prische reliquie delle opere grandi, tesori di memorie discoprono, che le virtù degli avi fanno manifeste nei prodigi dell’arte, nelle imprese della guerra, nella solenne maestà del foro, nelle magnificenze dei monumenti; gli uomini che conducono i presenti a rivivere coi trapassati per entro la lunghezza del tempo, là dove un giorno si videro valorose schiere di armati riportare i trofei delle illustri vittorie e gl’imperatori sotto gli archi trionfali trascorrere tra le plaudenti moltitudini, siccome vincitori del mondo, e i Bruti, i Gracchi, gli Scipioni, gli Orazi, i Metelli, i Gallieni, i Severi, e tutti i grandi romani stampare di se medesimi orme immortali; — gli uomini che le passate età risvegliando , le presentano innanzi agli sguardi e alla mente dei contemporanei, sono certamente degni di essere consegnati alla presente e posterà ricordanza, siccome benemeriti delle patrie glorie, delle avite grandezze, come uomini che illustrano sempre più la Nazione, e ai nepoti presenti e futuri dischiudono tutta la sublimità delle antiche memorie, che sono di guida dolcissima a conoscere le azioni grandi degli antenati nostri, e tutta disnudano nella sua vetusta nudità la Roma antica, la Roma maestra di civiltà e di progresso, e che un giorno a tutte le genti la sua forte dominazione estendeva. — Di un insigne cittadino, quale è il Comm. Pietro Rosa, è dato quindi alla nostra penna con alto soddisfacimento scrivere oggi la vita, siccome quegli che all’ingegno [p. 202 modifica]felice, alle belle doti dell’animo, congiunse profondità di studi di archeologia, per i quali Roma e Italia devono sapergliene grado. —

Nel 10 novembre 1810 sortiva egli i natali in Roma, e basta allo splendore della sua famiglia, accennare essere discendente da quell’illustre letterato, che fu Salvator Rosa, il quale con la penna intinta nel nobile e acre inchiostro della satira, seppe, a dirla con Dante, pungere a guajo, e inalzarsi sopra la comune schiera del volgo. — La Nazione lo ha notato siccome una delle sue più belle glorio letterarie. —

Luigi padre di Pietro fu uomo onestissimo e d’integro carattere, e il delicato ufficio sostenne di Ispettore generale della Tesoreria romana. — A lui piacque educare il proprio figlio in tutte quelle elette virtù, che conducono a comporre la mente ed il cuore dell’uomo. — E Pietro Rosa che sino da fanciullo dimostrò svegliatezza d’intelligenza, felicità d’ingegno, e volontà fortissima di apprendere, si diede a coltivare gli studi, e negli anni crescendo, sentì desiderio grandissimo di applicarsi alla ingegneria, ed ebbe sempre inclinazione ad imparare l’arte del disegno. — E in tali studi di fatti così progredì che meritò la lode dei più distinti maestri, e nell’Accademia di S. Luca, dove ebbe a perfezionarsi nell’arte del disegno, stanno tuttora le molte sue opere e i suoi pregiati lavori, che messi al concorso, s’ebbero l’onore del premio. —

E poichè bellissimo già suonava il suo nome, così a quell’insigne uomo che fu il Canina, fu grata cosa averlo al suo studio, e destinarlo quindi siccome suo ajutante nella trattazione degli affari presso la famiglia del Principe Borghese, la quale poscia apprezzando maggiormente le virtù del Rosa, lo eleggeva suo architetto, e direttore dei musei e delle gallorie, che tutte riordinò nelle più esatte collezioni, che divise per epoche. — E mentre a siffatte cure attendeva e nei prediletti studi si esercitava, salito al trono pontificale il papa Pio IX, che era salutato messia dell’Italia, volgendo l’anno 1847, propostasi l’istituzione della guardia civica, era il Rosa ad iniziativa del Principe Borghese incaricato della formazione del Battaglione di Guardia civica del rione Campo Marzio, che sulla piazza del popolo nel giorno 8 settembre di quello stesso anno faceva gli onori al papa Pio IX, che era fatto sogno alle più grandi dimostrazioni piene di affetto, perocchè le genti italiane lo riguardavano già siccome il vero sacerdote della Chiesa, e padre della patria, cui avrebbe apportato nazionalità e indipendenza. — Ma gli avvenimenti del 1848-49 portarono le più amare disillusioni, ed il Papato perdeva la divina aureola, che tutto lo irraggiava dopochè abbandonava la santa crociata, che aveva mossa alla liberazione d’Italia. E poichè il Rosa, alloraquando la Romana Repubblica alla difesa di Roma contro l’armata di Francia si preparò, fu incaricato di molti lavori di fortificazione, ebbe [p. 203 modifica]principalissima cura affinchè gli oggetti d’arte non subissero danneggiamenti, o a lui fu dovuta la conservazione dei medesimi, nel mentre che ad un tempo combatteva con le armi sulle mura di Roma. —

Caduta però la Repubblica, e restauratosi il papale governo, separavasi il Rosa dalla famiglia Borghese, chè il Principe essendo di principi chiesastici non potevano quindi con quelli di lui conciliare. —

E pertanto tutti quelli che avevano prese le anni a difesa della Republica colpiti essendo dalla cosidetta Censura pontificia e trovandosi il Rosa nel numero di cotestoro stimò prudente cosa allontanarsi da Roma, ritirandosi in una vigna posta in sulla Via Appia poco lungi dalla basilica di s. Sebastiano. —

In questo deserto popolato dalle più sacre memorie degli antichi eroi, ebbe cominciamento la vita archeologica del Rosa, chè col metro alla mano e facendo nota di ogni cosa si diè a percorrere tutto il tratto della Via Appia fra Roma ed Albano rilevandone un’accurata pianta, guidato dalle auguste ombre dei Geta, dei Metelli, dei Camilli, degli Scipioni, dai quali sperava trattamento assai migliore di quello che poco cavallerescamente ricevuto avea dal pronipote di Paolo V. —

Ecco infatti in men che non si dica tutte le tombe degli antichi romani riprendere il loro posto ed il loro nome e presentarsi siccome un vero museo storico-archeologico siccome la più grande delle necropoli. —

Questi studi essendo stati di subito pubblicati negli annali dell’istituto di corrispondenza Archeologico Prussiano, che ne pone in chiaro la somma importanza, costrinsero il governo papale ad uscir fuori dell’abituale indifferentismo, e degli studi medesimi impossessandosi diede principio allo scoprimento di questa regina delle vie antiche, tenendo il Rosa lontano da qualunque direzione, mentre a lui era dovuta la faticosa ricerca, che a tali risultati condussero. —

A tal modo di procedere non ristette il giovane archeologo, che anzi con più forte lena e coraggio estese i suoi studi e le sue ricerche nella periferia del monte Albano, e primo fra tutti sottopose alle sue investigazioni l’Albano di Pompeo indi dei Cesari, grandissima e maestosa villa alla sinistra della via Appia, i di cui superbi avanzi fanno ognora palese quanta era la potenza e la ricchezza del suo signore. —

L’insieme tutto del palazzo, il grande peristilio, i portici, le ajc, le stalle, le abitazioni degli schiavi, gli orti, il pendio propriamente detto, e le altre cose tutte che formavano la delizia ed agiatezza della vita romana vennero dal Rosa mirabilmente riconosciute e distinte od insieme collegato da [p. 204 modifica]corrispondere perfettamente alle descrizioni, che di tali ville a noi tramandarono e Varrone e Columella ed altri scrittori. —

A questo fece seguito il rilevamento della Villa di Domiziano sul bordo del cratere Albano risultante dall’assieme delle ville di Pompeo o di Clodio, ove il lussureggiante Augusto amò stabilir la sua dimora erigendovi un nuovo palazzo, terme sontuose, un anfiteatro, ed in fine un vasto campo trincerato per i soldati pretoriani addetti alla custodia della sua persona, che continuò ad esistere fino allo scioglimento di quella milizia avvenuto per fatto di Costantino. —

Nè passarono inosservati al valente scrutatore i vari ninfei, che circondano le sponde del lago Albano, nelle di cui nicchie le ninfe ripresero la custodia delle acque, nè il tempio di Giove Laziale sul monte Cavo, e l’asilo di Diana nel bosco Nemorense, al quale nuovamente può discendersi per il tanto cantato clivo d’Ippolito Virbio.

In una splendida memoria pubblicata dal Monitore Universale, il chiarissimo Des Jardin scrivendo del Rosa, le preclare virtù con le più elette ed ornate parole ne descrive, ed enumera con lode bellissima i discoprimenti fatti da lui delle prische opere romane. —

Le ali infaticate del genio e la paziente esercitazione dell’arte traggono il Rosa ad inoltrarsi semprepiù nelle occulte ricerche delle antiche memorie, che ad ogni piè sospinto vengon coronate da splendidi risultamenti. —

Fu allora che egli si accinse ad imprendere quel lavoro che dir si puote unico e mondiale, quale è la grande carta fisico-archeologica del territorio Laziale. Esso volle rilevare e delineare una carta, che servir potesse di sicura guida a tutti coloro, che per diletto o per istudio vanno in traccia di tutte quelle antiche vestigia esistenti nella romana campagna, e poiché ebbe visto col progredir de’ suoi studi l’insufficienza di tutte le carte fino allora a tale scopo scientifico pubblicate per la mancanza di conoscenza della fisica configurazione del suolo romano, ponendo da un lato tutti i lavori che da altri erano stati eseguiti e solo allo studio degli antichi classici affidandosi, ed alle iscrizioni tutte che potevano dargli sicuro indizio dei luoghi si pose ad esplorare la campagna rintracciando le antiche vie, che lo conducevano a scoprire ville e città e monumenti, quali seppe distinguere e classificare con maravigliosa maestria. — E poiché per i duplici risultati ottenuti «on la carta fisico archeologica della campagna romana, ne risultò una più chiara luce sulla interpretazione dei classici, venendosi a restituire quell’autorità, che per certi sistemi era stata allontanata, così il Rosa, onde consolidarla e giustificarla, aprì un corso di pubbliche passeggiate sopra i luoghi stessi, [p. 205 modifica]ed invitò quivi a libera discussione gli uomini della scienza. — La esattezza degli storici e dei classici ha egli dimostrata intorno alle battaglie avvenute sulla sinistra del Tevere lungo la via Salaria da Roma all’agro Crastumino ed Eretum, perocché lo prova la configurazione del suolo, ed ispecialmente del luogo in cui avvenne la terribile battaglia dell’Allia, ove pur si rilevano gl’impedimenti tutti, per i quali fu impossibile all’esercito romano ritirarsi su Roma. —

È dalle investigazioni del Rosa la scoperta della via, che da Roma conduce a Vej, della posizione di Collatia, dell’estensione del lago Regillo, della postura del Corbium, per cui procederono le marcie degli eserciti romani e delle armate nemiche comandate da Annibaie. — È dagli studi, è dallo scrutare incessante del Rosa, la scoperta di tutta la rete delle vie, che nel Lazio dovevano trovarsi, o svilupparsi fra la via Collatina ed Ostiense. — Nè lasceremo al certo qui inosservata trascorrere la scoperta che il Rosa fece della postura della villa di Orazio sul monte Lucretile nel territorio di Roccagiovine presso il rivo Digenzia, scoperta che riportando il plauso del mondo scientifico venne a cura degli editori Fermin Didot di Parigi pubblicata, non che il discoprimento delle due basiliche della prima èra cristiana di S. Stefano e S. Alessandro, che additando la semplicità della vera religione di Cristo vennero dal fanatismo clericale sottratte alla vista del curioso ed allo studio dei dotti. E poiché la di lui opera utilissima ogni di piò andavasi rivelando nella scoperta di nuove cose, con ammirazione di tutti gli scienziati italiani e stranieri, così i dotti di Francia eccitarono Napoleone, perchè dei lavori del Rosa si intraprendesse uua regolare pubblicazione, epperò a lui facevasene proposta per mezzo dell’ambasciata francese, e del chiarissimo Des Verges dichiarandosi che la pubblicazione stessa sarebbe stata eseguita a spese della Francia, appoggiandola alla spedizione di Roma, allo scopo non solo di portar giovamento alla scienza ma di porsi nella perfetta conoscenza del paese, che occupava. —

Ma il patriottismo del Rosa nobilmente respingeva le larghe e dignitose proposte, chè non voleva la sua opera associata a quella spedizione, contro la quale aveva combattuto ed esposta la vita. — E fu rispettato il delicato sentimento del Rosa e fatto onore al suo principio. L’imperatore Napoleone pertanto, ad attestare la grande estimazione in che aveva il Rosa, lo pregava perchè insieme ad altri uomini della scienza, avesse preso parte in tutti quei lavori topografici, che riteneva necessari ai suoi studi intorno la vita di Giulio Cesare, che in mezzo alle cure dell’impero scriveva. — Ed il Rosa il compiacque, e dei suoi pregiati lavori fu fatta onorata esposizione nella pubblicazione di quella vita. — Volgeva l’anno 1861, e mutatosi l’indirizzo politico della Francia, [p. 206 modifica]e l’imperatore Napoleone fatto acquisto degli orti Farnesi, volle affidata al Rosa la cura dello scuoprimento di quegli avanzi gloriosi. —

E come tale incarico, che accettava nello interesse della scienza, e ad onore del proprio paese, abbia egli adempiuto, non v’ha d’uopo che sia iu questa biografica memoria sviluppato, imperocchè qualunque italiano, o straniero convenga in Roma, con il più solenne commovimento dell’anima egli si reca a visitare quelle escavazioni, che per opera del Rosa, hanno discoperto monumenti e memorie, tanto che non più nella presente età, ma par di trovarsi ne’remoti secoli e vivere con gli antichi di Roma. — E di vero agli studiosi della romana istoria, agli uomini cui diletta nelle antiche memorie con fascino irresistibile inabissare la loro mente, e la vita dell’oggi trasformare in quella dei secoli, che sovra la perpetua ruota del tempo trapassarono; coloro che vogliono sul suolo eterno di Roma veder redivivere Cicerone e udirne la faconda e sovrumana parola, queglino che anelano tutti vedere i grandi romani che e nell’ingegno si distinsero, e nell’opere della guerra, tengan dietro ai discoprimenti antichi operati dal Rosa, ed il miracolo più grande, che nei nostri tempi compievasi, apparirà ai loro sguardi — il diseppellimento dalla nera e muta oblivione dei secoli che s’inseguono, e la risurrezione della vita antica. — Scendano nei sotterranei, percorrino le ampie contrade, s’arrestino dinanzi a monumenti, interroghino le ceneri, leggano gli sculti caratteri, fissino le ritrovate immagini, meditino sulle auguste sebbene corrose sembianze, tutto tutto osservino il suolo romano ove passò la mente e la mano discovritrice del Rosa, e la Roma guerriera, la Roma legislativa, la Roma maestra di civiltà e di sapienza, la Roma dominatrice del mondo si mostra in tutta la sua prisca bellezza, in tutta la sua vetusta grandezza, e i nostri padri si affacciano dalla eternità e con loro parliamo un linguaggio, che discorre nell’anima, e tutti i grandi antichi che nella città eterna vissero e morirono noi salutiamo con venerazione solenne, e da quelle memorie si solleva una fede santissima che Roma sarà perpetuamente serbata a grandi destini, e che da Roma soltanto sarà per sorgere la luce della felicità alla nazione. —

Il 20 Settembre 1870 segnava la redenzione di Roma. Soppresso il Commissariato delle antichità venne istituita la R. sopraintendenza agli scavi e monumenti a seconda delle altre provincie d’Italia, non comportando il nuovo regime che le glorie avite dei padri nostri, le quali c’insegnarono la via del progresso e della libertà, restassero più a lungo sepolte nella oblivione e nell’abbandono, siccome le tenne sempre il teocratico dominio.

All’onore di tal carica venne il Rosa prescelto e con quanto impegno con quanta virtù di sapere lo scopo ne raggiunse parlano aperto agli occhi [p. 207 modifica]dell’intelligente visitatore i nuovi scavi, che sotto la sna valente direzione si eseguiscono nel Foro Romano, nel Palatino, Ostia, Villa Adriana e nel restante tutto della provincia nostra, i quali spaziando nella grandezza dell’arte si riposano in bene ordinati monumenti. —

E ben dice il Des Jardin: «chi v’ha che non s’interessi di Virgilio, di Tito Livio, di Lucano? — chi si rimarrà freddo alla sola vista del Tevere? Chi udendo i nomi di Cecilia Metella, Scipione, Ortensio, Catone non gusterà lo spirito elegante di Orazio, di quel poeta il meno invecchiato dopo che Omero si addormentò sulle rive dello Jonio? — Bisogna avere il culto di questi ricordi per comprendere Boma, e specialmente le mine delle sue campagne, bisogna amare Lucano, Dionisio e Tacito e Cincinnato come li ama teneramente il Rosa.» — E fu al fonte di questi autori che il Rosa bevendo la scienza delle cose antiche, lo prese amore fortissimo di trarre sua vita nelle segrete ricerche per istrappare alla notte del tempo le età, che dormivano il sonno dell’oblio, epperò non cura disagi, e a tutti gli elementi par mandi una sfida, dappoichè agli ardentissimi raggi del sole, al furiare delle tempeste, alla crudezza del verno resiste, e procede innanzi come un nume creatore di un mondo. — Onde a ragione esclama il Des Jardin: «È bello di vederlo percorrere i campi, che ora gli sono famigliari, con la carta ed il suo metro alla mano, lo sguardo fisso al suolo, la fronte bruna — egli è il vero geografo.» —Ed aggiunge: «Pietro Rosa da un pavimento di una strada sà trarre il partito di ritrovare quindi una città, ma bisogna possedere la sua riflessione per giungere ad una tale scoperta, sono veramente le strade che gli indicano il movimento politico e commerciale. A questo primo dato stabilito con l’esame del suolo vi si aggiunge l’altro scientifico, che viene a corroborare il primo ottenuto dalla costituzione fisica e geologica del suolo, il sollevamento vulcanico, formando dei colli e delle valli, ci mostra il punto centrale della difesa delle città e della probabile loro estensione. — Nessuno prima di Rosa aveva riflettuto a queste verità fondamentali, che formando uh sol corpo di dottrina geografica hanno acquistato per l’applicazione il valore di un metodo. — Grazie a ciò e per questi principi fedelmente eseguiti dall’infaticabile esploratore, ogni città venne ritrovata c posta sulla carta con il suo relativo territorio, le sue strade, che legano le città vicine, i suoi acquedotti; vengono in somma à rivivere tutte con le loro abitudini ed i loro usi poco cambiati dall’epoca primitiva di Roma.» —

Ed il Rosa in mezzo alle cure gravissime degli studi, delle ricerche, delle faticose escursioni, vedeva pur crescere a suo conforto dolcissimo una cara famiglia, perocchè sebbene nell’anno 1859 perdesse la consorte dilettissima [p. 208 modifica]Teodosia, che fa donna virtuosa e gentile, questa lo lasciò padre di tre amatissimi figli, il primo dei quali è Rosalbo, l’altro Salvatore, cui il nome dell’avo illustre degnamente s’impose, e l’ultimo Vittoria, e tutti intorno al genitore sono elettissimi fiori, che la di lui vita allietano, dappoiché alla compitezza di una elettissima educazione congiungono tutte le più belle qualità della mente e del cuore. —

Quanta fosse la stima ed onoranza, che appresso i suoi concittadini si acquistò, ben lo prova la sua elezione a Consigliere Comunale primo fra tutti e con ragguardevolissima maggioranza di voti portato a sedere in Campidoglio. Ad una vita intera spesa a profitto della scienza non poteva per fermo essere immanchevole il plauso generale degli uomini dotti delle estere nazioni, che chiamarono il Rosa a far parte dei consessi delle loro accademie ed instituti scientifici, ed i sovrani tutti di ogni nazione gareggiarono nel decorare quel petto quanto onorato altrettanto modesto di molteplici e distintissime cavalleresche onorificenze, prove irrefragabili del merito grandissimo raccolto nel dominio della scienza archeologica.

Venne quindi onorato dell’alto seggio nel Senato del Regno, ed ormai è stabilito il piedestallo di sua fama illustre, nè la penna del biografo potrebbe altro aggiungere se non che far voto perchè siffatti cittadini nella vita lunghissima abbiano a coronare la loro opera col trasfondere in altrui la loro operosità, la loro altissima intelligenza, un raggio immortale della loro sapienza. —






Tip. Tiberina Piazza Borghese. Riccardo Fait — Editore