Caccia e Rime (Boccaccio)/Rime/CXX
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CXX. Tu mi trafiggi, et io non son d’acciaio
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CXX.
AD UN IGNOTO1.
Tu mi trafiggi, et io non son d’acciaio:
Et, s’a dir mi sospingon le punture
A dover ritrovarti le costure2,
Credo, parratti desto un gran vespaio.
De’ tu m’ài pieno, anzi colmo, lo staio3;5
Bastiti omai, per dio, et non m’indure
A dettar versi delle tua lordure4,
Ch’io sarò d’altra foggia, ch’io non paio.
Et poi che la parola uscita è fuore,
Indrieto ritornar non si può mai,10
Né vale il dir: vorrei aver creduto5.
S’el ti prude la penna, il folle amore6
Et la fortuna dan da dire assai:
In ciò trastulla lo tuo ingegno acuto.
Note
- ↑ Questo sonetto e il successivo son diretti alla medesima persona che andava trafiggendo con la penna il poeta: l’innominato detrattore era un sacerdote (CXXI, 12) della peggiore specie. Per certe coincidenze formali con la nota invettiva del Boccacci contro il prete fiorentino Francesco Nelli, priore dei Santi Apostoli, è stato recentemente espresso il sospetto che il destinatario dei due sonetti sia appunto il Nelli; in tal caso le poesie apparterrebbero press’a poco al tempo stesso dell’epistola, ch’è datata del 28 giugno 1363 e forse non fu mai spedita al priore, morto in quell’estate medesima. Cfr. Giorn. stor. della lett. ital., LXI, pp. 357-360.
- ↑ «Ad offenderti, a venire alle mani:» è metafora tolta dal linguaggio dei sarti.
- ↑ «M’ài stancato.»
- ↑ Quelle espresse poi nel son. CXXI.
- ↑ Alle minacce.
- ↑ Allusione a quello del detrattore (CXXI, 10-11).