Caccia e Rime (Boccaccio)/Rime/CXXI
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CXXI. Poi, satyro, sei facto sì severo
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CXXI.
AL MEDESIMO.
Poi[1], satyro[2], sei facto sì severo
Nella mia colpa, et ètti sì molesta,
Credo, sarebbe cosa assai honesta
Prima lavasse il tuo gran vitupero,
Che mordesse l’altrui: huom sa[3], per vero,5
La dolorosa et puzolente festa[4]
Che festi del tuo nato, quand’in questa
Vita ’l produsse il natural sentiero!
Né lascia questo divenire antiquo
L’infamia tua[5], ché nel cinquantesmo[6]10
Gravida avevi quella cui tenevi[7].
O crudel patria, o sacerdote iniquo!
Poi, dov’huom scarca ’l ventre, per battesmo
Si died’a quel cui generato avevi[8].
Note
- ↑ «Poiché.»
- ↑ «Uomo rozzo, grossolano». In questo senso il Boccacci adoperò altre volte la parola satiro; posso citare due esempi dell’Ameto nel racconto di Acrimonia: ‘un giovane (Apaten) di grazioso aspetto, benché agreste e satiro’ e ‘io il rendei, di rozzo e satiro, dotto giovane’.
- ↑ «Si sa.»
- ↑ Qual fosse, dichiarano i vv. 13-14, che spiegano il perché di quell’epiteto puzolente.
- ↑ «La tua infamia non abbandona il tuo invecchiare (divenire antiquo).»
- ↑ Anno.
- ↑ Per fantesca.
- ↑ Al figliolo.