Caccia e Rime (Boccaccio)/Rime/LXXI

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LXXI. L’aspre montagne et le valli profonde

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LXXI.


L’aspre montagne et le valli profonde,
     I folti boschi et l’acqua e ’l ghiaccio e ’l vento,

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     L’alpi selvaggie et piene di spavento,
     Et de’ fiumi et del mar le torbid’onde,
     Et qualunqu’altra cosa più confonde5
     Il pover peregrin, che, mal contento,
     Da’ sua s’allunga, non ch’alcun tormento
     Mi desser, tornand’io1, ma fur gioconde:

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Tanta dolce speranza mi recava,
     Spronato dal desio di rivederti,10
     Qual ver me ti lasciai, donna, pietosa.
     Or, oltr’a quel che io, lasso, stimava2,
     Truovo mi sdegni, et non so per quai merti3:
     Per che piange nel cor l’alma dogliosa.
Et maledico i monti l’alpi e ’l mare,15
     Che mai mi ci lasciaron ritornare.


Note

  1. Dove? e di dove? A queste domande è stato differentemente risposto dagli studiosi, alcuni dei quali ànno riferito il sonetto alla passione per Fiammetta, mentre altri l’anno attribuito a relazioni amorose antecedenti. È quest’ultimo il parere del Torraca (op. cit., p. 74), il quale osserva: ‘Perchè il Boccaccio sarebbe andato lontano da Napoli, percorrendo mari e monti, dopo che, abbandonata la mercatura, s’era messo a studiare diritto canonico? Molto più probabile è che avesse fatto quel viaggio per ragioni di commercio, quando non ancora amava Maria’ d’Aquino. Ad un allontanamento da Napoli, che ‘dovrebbe attribuirsi al periodo del primo soggiorno del nostro in Napoli’ stessa, pensò pure il Crescini, p. 182, n. 1: ma questi giudicò che fosse Fiammetta la donna cui il poeta, tornando, trovò inaspettatamente adirata. A tale identificazione accede il Della Torre, p. 289-90, il quale, precisando, trova di poter attribuire il sonetto a ‘qualche sdegno passeggiero venuto, durante il periodo dell’amore contraccambiato, a turbare il troppo sereno orizzonte amoroso dei due amanti’. È mia opinione, invece, che si tratti di un sin qui ignorato viaggio a Napoli avvenuto dopo il ritorno a Firenze della fine del 1340: per esempio nel 1343 o nel 1344. In quest’occasione il Boccacci si sarebbe reso conto coi propri occhi del cambiamento della sua donna; e alla stessa dolente occasione apparterrebbero i tre sonetti successivi, ove si parla apertamente dell’inganno e del tradimento di Fiammetta (cfr. LXXII, 9-11; LXXIII, 11; LXXIV, 12-14). Ma il viaggio di ritomo, a cui si accenna nel sonetto presente, sarebbe stato compiuto d’inverno, come altri ebbe a pensare per quella menzione del ghiaccio e del vento (v. 2)? La ragione addotta non è sufficiente; nell’egloga I del Buccolicum carmen, per esempio, Damone chiama ‘nivosas alpes’ quelle che Tindaro (il Boccacci) à trovato nel tornare da Napoli a Firenze, e non v’è dubbio che qui l’aggettivo sia usato senza riferimento ad una stagione determinata. D’altra parte, non è la menzione del mare (vv. 4 e 15) che valga ad escludere la possibilità di un viaggio come quello a cui io reputo si debba attribuire la poesia. Si osservi infatti, nel Filocolo (III), un itinerario tra Firenze e Napoli, che al Boccacci non può essere stato suggerito tanto dalla fantasia quanto dall’esperienza: quello di Fileno, il quale, da Firenze per Chiusi giunto a Roma, e poi passando per Alba e lasciandosi dietro ‘le grandissime alpi’, pervenne a Gaeta e da questa ‘su le salate onde a Pozzuolo, avendo in prima vedute l’antica Baia e le sue tiepide onde quivi per sostenimento degli umani corpi poste dagl’iddii; e, in quello vedute l’abitazioni della cumana Sibilla, se ne venne in Partenope’ (cfr. anche Crescini, pp. 70-1). Per questa medesima via pertanto poté tornare a Napoli il nostro poeta.
  2. «Fuor d’ogni mia previsione.»
  3. «Colpe.»