<dc:title> La caccia di Diana e le Rime </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giovanni Boccaccio</dc:creator><dc:date>1914</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Caccia_e_Rime_(Boccaccio)/Rime/LXXIII&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20230617132304</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Caccia_e_Rime_(Boccaccio)/Rime/LXXIII&oldid=-20230617132304
La caccia di Diana e le Rime - LXXIII. O miseri occhi miei più ch’altra cosa Giovanni Boccaccio1914Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu
O miseri occhi miei più ch’altra cosa,
Piangete omai, piangete, et non restate[1]:
Voi di colei le luci dispietate
Menasti pria nell’anima angosciosa,
Ch’ora dispreza; voi nell’amorosa5
Pregion legaste la mia libertate[2];
Voi col mirarla più raccendavate
Il cor dolente, ch’or non truova posa.
Dunque piangete, et la nemica vista
Di voi spingete col pianger più forte,10
Sì ch’altro amor non possa più tradirvi.
Questo desia et vuol l’anima trista,
Perciò che cose grave più che morte
L’ordisti[3] già incontro nel seguirvi.
Note
↑È quasi un seguito logico del sonetto precedente. Gli occhi, che ànno scoperto il tradimento della donna, son colpevoli di aver fomentato in ogni modo e per tanti anni l’amore del poeta: tocca ora ad essi riparare al mal fatto.