Caccia e Rime (Boccaccio)/Rime/LXXIII

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LXXIII. O miseri occhi miei più ch’altra cosa

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LXXIII.


O miseri occhi miei più ch’altra cosa,
     Piangete omai, piangete, et non restate1:
     Voi di colei le luci dispietate
     Menasti pria nell’anima angosciosa,
     Ch’ora dispreza; voi nell’amorosa5
     Pregion legaste la mia libertate2;
     Voi col mirarla più raccendavate
     Il cor dolente, ch’or non truova posa.
Dunque piangete, et la nemica vista
     Di voi spingete col pianger più forte,10

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     Sì ch’altro amor non possa più tradirvi.
     Questo desia et vuol l’anima trista,
     Perciò che cose grave più che morte
     L’ordisti3 già incontro nel seguirvi.


Note

  1. È quasi un seguito logico del sonetto precedente. Gli occhi, che ànno scoperto il tradimento della donna, son colpevoli di aver fomentato in ogni modo e per tanti anni l’amore del poeta: tocca ora ad essi riparare al mal fatto.
  2. Cfr. XVII, 5-7; XXV, 9-11.
  3. «Le apprestaste,» all’anima.