Canti di Castelvecchio/Canti di Castelvecchio/Il sogno della vergine
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Canti di Castelvecchio - Il nido di “farlotti„ | Canti di Castelvecchio - Il mendico | ► |
IL SOGNO DELLA VERGINE
I
La vergine dorme. Ma lenta
la fiamma dal puro alabastro
le immemori palpebre tenta;
bussa alla chiusa anima. Il lume
vacilla nell’ombra, come astro
di vita tra un velo di brume.
Echeggia nell’anima, invasa
dal sonno, quel battere, e pare
destare la tacita casa.
La casa si desta: un sorriso
s’accende, si muove ed appare
via via qua e là per il viso...
La vergine sogna; ed un rivo
di sangue stupisce le intatte
sue vene, d’un sangue più vivo,
più tiepido: come di latte...
II
Stupisce le placide vene
quel flutto soave e straniero,
quel rivolo, labile, lene,
d’ignota sorgente, che sembra
che inondi di blando mistero
le pie sigillate sue membra.
Le gracili membra non sanno
lo schianto, non sanno l’amplesso:
nel cuore, sì forse un affanno
c’è, l’ombra di un palpito, l’orma
d’un grido: il respiro sommesso
d’un vago ricordo che dorma;
che dorma nel cuore ed esali
nel cuore il suo sonno romito.
La vergine sogna: ecco, un alito
piccolo, accanto... un vagito...
III
Un figlio! che posa nel letto
suo vergine! e cerca assetato
le fonti del vergine petto!
O figlio d’un intimo riso
dell’anima! o fiore non nato
da seme, e sbocciato improvviso!
Tu fiore non retto da stelo,
tu luce non nata da fuoco,
tu simile a stella del cielo;
dal cielo dell’anima, ov’ora
sbocciasti improvviso, tra poco
tu dileguerai nell’aurora.
In tanto tu vivi per una
breve ora; in un’anima, in tanto,
di vergine: in quella tua cuna
tu piangi il tuo tacito pianto.
IV
Si dondola dondola dondola
senza rumore la cuna
nel mezzo al silenzio profondo;
così, come tacito al vento,
nel tacito lume di luna,
si dondola un cirro d’argento.
Oh! dormi col tremolìo muto
dell’esile cuna che avesti!
non piangerlo tutto, il minuto
che avesti, dell’esile vita!
nel cuore di mamma non resti
quell’eco di pianto, infinita!
Sorridile, guardala; appressati
a mamma, ch’ormai non ha più,
per vivere un poco ancor essa,
che il poco di fiato ch’hai tu!
V
Il lume inquieto ora salta
guizzando, ora crepita e scende:
s’è spento. Quiete più alta.
Nell’ombra già rara, già scialba
traverso le immobili tende
si sfuma la nebbia dell’alba.
Il fiore improvviso, non sorto
da seme, non retto da stelo....
svanito! Non nato, non morto:
svanito nell’alito chiaro
dell’alba! svanito dal cielo
notturno del sogno! — Cantarono
i galli, rabbrividì l’aria,
s’empì di scalpicci la via;
da lungi squillò solitaria
la voce dell’Avemaria —