Che cosa è l'amore?/III

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III - Abito nero e abito bianco

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II IV
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ABITO NERO ED ABITO BIANCO.


— Ecco, veda, io non domando di far carriera: io domando, prima che questa barba diventi grigia, di poter respirare un poco d’aria igienica.

E il signor Foresti mi presentava sul dorso della mano, dall’alto della sua statura atletica, la sua barba, dove il grigio già minacciava una invasione generale: ed io credo che fosse questo grigio, in aumento, combinato con la speranza, sempre più in diminuzione, di potere respirare «un poco d’aria igienica», che rendeva il signor Foresti piuttosto irritabile, anzi molto irritabile, nel suo ufficio di capo-stazione della piccola stazione di S... Egli era capace di avvertire dal suo buco di distribuzione dei biglietti: «Questa bottega è diversa dalle altre: meno avventori vengono, più piacere mi fanno!»; era capace di dire, percorrendo il treno con le braccia aperte e con un sorriso tremendamente ironico: «Ma quei baci, ma quei saluti, ma se li distribuiscano prima!» Capace, nella spedizione delle merci, di attaccarsi a tutti i rampini di quei regolamenti che odiava di un odio così profondo. [p. 34 modifica]

Un orco! La più docile ed umile pasta di questo mondo: tanto è vero che non aveva fatto carriera. Certo, in quei momenti, era bene non avvicinarlo, non parlargli.

Ma io avevo trovato un mezzo per esasperarlo in modo soave ed atroce. Chiudevo le pupille dolcemente, dicevo con voce sentimentale:

— Ecco qui il suo piccolo giardino, i garofani, l’insalata; ecco la sua piccola stazione, beata come un eremo, baciata dal primo raggio del sole e salutata dalle rondini... Ah, se io fossi come lei, capo-stazione, come lo terrei coltivato, inaffiato, fiorito, ii piccolo giardino: e come ci farei una capannetta per leggere, per istudiare...

— Badi bene come parla, sa! Non si prenda mica giuoco di me!...

— Scusi, capo, io dico sul serio. Per me costretto a vivere in una grande città, questa vita idillica sarebbe l’ideale... Lei qui, intanto, è padrone assoluto...

In verità, in verità, era un reclusorio quella piccola stazione: e lui, il capo, un coatto, costretto a vivere fra un disco al nord e un disco al sud; giacchè l’amministrazione lo aveva bensì elevato al grado di signore assoluto, essendo egli, bigliettaio, spedizioniere, telegrafista; ma non aveva chi lo sostituisse o lo aiutasse fuorchè uno scambista e un facchino.

— Quanto ai libri da leggere, eccoli qui! — e prese un ammasso enorme di libri e carte. Io [p. 35 modifica]temetti che me li scaraventasse sulla testa: si accontentò di accatastarmeli davanti: erano regolamenti, circolari, istruzioni.

— Questa è la mia letteratura! — Aveva gli occhi feroci. — Creda — mi diceva poi acquietandosi con la subitaneità della sua indole buona — io odio questo sole, io odio quest’aria balsamica; io, democratico, considero questa sudicia umanità di campagna come una razza inferiore. Persino le donne, capisce lei? persino le donne non mi sembrano donne!

L’aria balsamica, l’aria igienica pel signor capo era quella che si respira nel fondo di quei pozzi grigi che sono le vie, le piazze di una grande città.

«Ah, a mezzanotte — sospirava — un teatro illuminato! per le vie lucide dei tram lucidi! uomini col colletto pulito, donne all’ultima moda; donne autentiche, lavate; bars, buvettes, scintillanti di luce elettrica, vetrine messe con gusto: lavorare sì anche, ma almeno potere un’ora al giorno sedere entro un caffè, godere lo spettacolo dell’umanità che passa davanti al vostro tavolino, al vostro calice di birra autentica! Macchè sole, macchè mare, macchè alberi, fiori, verdura, insalata, garofani!»

Oh, allora sì, il signor capo si sarebbe «arrangiata» la barba che oramai diventava grigia, ed avrebbe speso allegramente il capitale esuberante della salute che rifioriva nel suo corpo. [p. 36 modifica]

Da anni ed anni tempestava la direzione per un trasferimento in una città grande: era lì, rimaneva lì, e non aveva più altra speranza che quella di ammalarsi sul serio e poter ottenere un congedo.

Ma come fare ad ammalarsi? In quella piccola stazione dall’aria balsamica, la gente ci veniva per salute all’estate, ed egli aveva la soddisfazione di vedere bensì in quel tempo aumentato il suo lavoro, ma senza potere avere la consolazione di ammalarsi.

*

*  *

Una mattina di luglio, una ben calda e serena mattina, io presenziavo l’arrivo di un piccolo treno, che usurpa il nome di diretto.

Il signor Capo, tra spedizione merci e spedizione viaggiatori, ne aveva sino oltre al berretto paonazzo. Tempo di villeggiatura per la restante umanità! Un piccolo rossore alla fronte, un parlar secco allo sportello dei biglietti, un saluto glaciale a me, mi avevano fatto capire che quella mattina la caldaia cerebrale del signor Capo era in uno stato di ebollizione pericolosa.

Il treno si era appena fermato che un piccolo signore, da uno scompartimento di prima classe, si era affrettato a chiamare:

— Aprite, presto, presto! — Poi si era calato da sè, come se la carrozza fosse in fiamme: ma un po’ impediva il ventre che sporgeva dagli [p. 37 modifica]svolazzi di un giacchetto di orléans nero; un poco era colpa delle gambine esili, che non riuscivano a toccare il predellino. — Dove sono i carabinieri? i due carabinieri regolamentari?

Le guardie del treno, la gente si affollò subito d’intorno a quel signore, invocante l’intervento di quegli uomini neri e rossi, i quali, benchè siano da alcuni considerati come un arcaismo nella società moderna, tuttavia costituiscono la più visibile manifestazione della giustizia umana. Essi però erano assenti.

— Ma non si faccia compatire; ma non faccia ridere il pubblico — gli gridava dal treno, come dall’alto di una tribuna, un giovane signore, tutto vestito di bianco che pareva un sorbetto vanigliato.

— Lei ha violato la mia personalità! Quel signore ha violato la mia personalità! — denunciava il piccolo signore nero con gli occhi fuori dalla testa, con una voce così irosa, che guai per l’elegante giovinotto se il vecchiotto avesse avuto il resto del suo fisico così bellicoso come la voce.

Un professionista del furto nei treni? Mai più! L’elegantissimo giovane scese anche lui per dare spiegazione al pubblico che si affollava.

Semplicemente uno che voleva chiuso il finestrino. Invece il vecchio signore lo voleva aperto.

— Soffro d’asma! — diceva, e questo era evidente, chè pareva minacciato da una congestione. [p. 38 modifica]

— E se soffre d’asma? Io non posso mica sacrificare il mio vestito e il mio panama (il panama che il giovane aveva in testa era veramente bellissimo ed immacolato) alla sua asma!

Così si riaccese la disputa lì sul marciapiede, con l’intervento giuridico dei signori ferrovieri e dei signori viaggiatori. La questione giuridica sui finestrini aperti o chiusi fu dibattuta con quell’entusiasmo del tutto italico per le questioni bizantine. «Esiste un articolo del regolamento...!» «Non esiste niente, invece! Chi è immediatamente vicino al finestrino, è padrone del medesimo». «Sì, ma i finestrini laterali sono piombati. Esiste solo il finestrino di mezzo. Quello di mezzo è collettivo!» «Ma nel caso specifico erano due soli nello scompartimento e perciò non si poteva invocare l’appello alla collettività.» «Esisteva però sotto la vecchia Mediterranea un articolo che dava diritto di chiudere dalla parte del vento!» «Ma oggi la Mediterranea è scomparsa: non esiste che lo Stato.» «Le ferrovie di Stato hanno creato un subbisso di regolamenti: ma nessuna regola specifica oggi esiste in relazione ai finestrini aperti o chiusi.»

L’elegantissimo giovane con calma imperturbabile dimostrava la assoluta inferiorità delle ferrovie di Stato italiane, rispetto alle ferrovie estere. «Chi ha viaggiato all’estero, sa che nei vagoni-salons è diffusa l’abitudine di tenere chiusi i finestrini in qualunque stagione; e se quel si[p. 39 modifica]gnore non sa fare a viaggiare...» «Io non so fare a viaggiare? È il mio mestiere viaggiare... — fremeva il vecchio signore. — Del resto, qui è unicamente questione di essere gentiluomini o mascalzoni».

— Be’ — disse il capo-stazione intervenendo — a che punto siamo? Sciocchezze, sciocchezze! Capo-treno, dia la partenza.

— Io rimango — disse il vecchio, immobile, lì, coi suoi occhietti irosi fissi sull’avversario.

— Io parto — disse il giovane, arrampicandosi, ma con la testa rivolta all’avversario. — Del resto, sa, se vuole riparazione...

Squillò la cornetta; e il treno si mosse; e il vecchio signore già emetteva, con tutto il suo fiato disponibile: «Prepotente!», quando l’elegante giovane signore fu colto da un fremito di spavento. Che era accaduto?

Il suo abito candido, il suo cappello splendido non erano più bianchi che davanti.

L’uomo era diventato bicromatico.

Durante la sosta e la disputa, la macchina, seccata, aveva fumato vigorosamente, e tutto il fumo aveva investito in modo irreparabile l’abito bianco.

Non era il giovane signore più presentabile alla prossima stazione balnearia, dove era diretto e dove probabilmente gli stava a cuore di giungere perfettamente candido.

Già il treno era in molo, ed egli, aperto lo [p. 40 modifica]sportello, era balzato a terra con la sua valigetta.

Il vecchio signore, all’improvvisa discesa del suo avversario, galoppò, come potè veloce, nella sala d’aspetto. Senonchè il giovane non lo inseguì. Affrontò alteramente il capo-stazione Foresti, dicendo:

— Favorisca presentarmi il libro dei Reclami.

— Cosa vuol reclamare? — domandò il Capo, con un certo fare un po’ bonario, un po’ canzonatorio all’aspetto bicromatico del signore. — Io piuttosto potrei reclamare contro di lei che è sceso dal treno in moto.

— La sua macchina mi ha rovinato! — esclamò il giovane con voce esasperata.

Il capo-stazione lo guardò: le sue labbra sorrisero, tutta la barba sorrise.

— Infatti — disse — è un pochino sudicio.

— E lo dice in questo tono?

— Pretende forse che mi metta a piangere?

— Pretendo che lei faccia il suo dovere. Intendo elevare formale reclamo contro la sua macchina, intendo domandare risarcimento del danno subìto... Esiste un articolo del regolamento ferroviario che vieta alle macchine di fare fumo...

— Infatti — disse il signor Capo — articolo decimo, paragrafo sesto delle Istruzioni pel servizio dei macchinisti e fuochisti: «i macchinisti devono astenersi da qualsiasi operazione che possa [p. 41 modifica]produrre fumo, o, comunque, riuscire molesta od incomoda ai viaggiatori, come...»

— Perfettamente, e allora perchè lei rifiuta di accogliere il mio reclamo?

— Perchè è stupido — disse il capo-stazione accendendo in tutta pace una sigaretta.

— Ma chi, stupido?

— Il reclamo, il regolamento, la causa per il risarcimento dei danni... Il mondo è pieno di cose stupide...

— Ma io le posso citare — disse il giovane signore eccitandosi visibilmente — il caso del barone Y..., segretario dell’ambasciata germanica, mio buon amico, che fece causa ed ottenne un risarcimento dignitoso dallo Stato perchè una macchina aveva, come nel caso mio, rovinato una toilette della sua signora...

— Ma cosa vuole che me ne importi del suo barone, della toilette di quella signora? Bella novità che lo Stato paga! Non paga mica, però, chi dovrebbe essere pagato! Oh, vada a farsi benedire e favorisca di lasciarmi libero...

Il giovane signore, invece, gli sbarrò il passo e con voce insolente esclamò:

— E chi crede di essere lei? Un tirapiedi del Governo, forse?

La parola «tirapiedi» ebbe la virtù di trasformare il signor Foresti.

— Le pare che io abbia una faccia di tirapiedi? [p. 42 modifica]

Si era drizzato sulla persona, aveva buttato via la sigaretta.

— Tirapiedi del Governo, — confermò il giovane signore andandogli col viso contro il viso — la metterò io a posto!

— Ma non lo dica neanche per ridere!... — e proferendo queste parole, distese quella sua larga mano, prese tutto il disgraziato signore per l’abito e con violenza inaudita lo tirò a sè; poi lo allontanò usando del braccio come fosse stato un’asta di stantuffo; quindi lo proiettò sconciamente lontano.

Per sua mala sorte lì presso c’era un carretto delle merci, e il giovane vi urtò in malo modo, cadendo.

Sanguinava.

Il facchino accorse e lo rizzò a stento.

Fu condotto al pozzo: rimase lì un po’, fra un secchio d’acqua e un asciugamano.

— La caserma dei carabinieri? dov’è la caserma dei carabinieri? — domandava angosciosamente.

Gli fu indicata. Due chilometri di distanza.

Il signor Capo, intanto, aveva riaccesa la sigaretta: andava fra un disco e l’altro: la sua galera.

— Ci rivedremo in tribunale! — gli disse il gentiluomo salendo in una carrozzella.

Il Capo non voltò nemmeno la testa. Ma vide me che attendevo, e allora, un po’ ridendo, un po’ fremendo: [p. 43 modifica]

— Bel mestiere il capo-stazione! — disse.

— Bravo Capo! Bel colpo! Ma lei ha una forza...

— Da facchino, caro. Doveva vedermi dieci anni fa! Povero giovane, mi dispiace, ma che vuole? Ho perso il lume degli occhi. Mi poteva dire tutte le brutte parole che voleva: è un corollario del mestiere: non ci bado più. Andò proprio a trovare quella parola tirapiedi. Io tirapiedi del Governo! Io che per dire a tutti, superiori e inferiori, quello che va detto, ho fatto questa bella carriera dopo venti anni di servizio! Adesso il meno che mi possa capitare è una sospensione.

*

*  *

Ma non fu propriamente così.

Mezz’ora dopo, il signor Capo stava consumando la sua modesta colazione fra un treno e l’altro, in una piccola osteria, vicina al disco, quando precipitò nella stanzetta quel signore vestito di nero. Il suo aspetto era esilarante, luccicante: saltellava sulle piccole gambe.

- Ah, finalmente la ritrovo! Ma dove è il signor Capo, quell’egregio signor Capo, quel grande uomo del signor Capo? ho chiesto e mi hanno indicato qui. Permetta che io stringa quella valorosa mano! Lei è la perla dei funzionari dello Stato! [p. 44 modifica]

— Grazie — disse il signor Capo, Foresti — è la prima volta che mi sento fare un simile elogio. Peccato che lei non sia un ispettore dello Stato.

Il piccolo signore sorrideva con aria olimpica; volle nelle sue piccole mani prendere la grossa mano del signor Foresti; la voltò, la rivoltò, la esaminò.

— Una mano simile — disse con profonda convinzione — vale tutto un codice di legislazione sociale. Pensi che questa mano mi ha risparmiato un mezzo accidente. Io schiattavo dalla bile. Pensi che in treno quel prepotente si è permesso di fermarmi il braccio che voleva tirare il campanello di allarme: il suo vestito bianco gli premeva più della mia soffocazione! Io voglio proporre per una ricompensa quell’egregio macchinista che alimentava così vigorosamente il fuoco, che usava con tanta opportunità il soffiante... Ma lei, lei poi come ha risposto bene, che dignità, che correttezza! Oh, se tutti i funzionari dello Stato sentissero la responsabilità del proprio ufficio; considerassero lo Stato come, come dire? come la rocca Capitolina delle istituzioni sociali, e non come la vacca da mungere...! Ma che cosa posso fare io per lei? Mi esprima un suo desiderio, io sarei ben lieto, ben onorato...

Il signor Capo aveva smesso di levare la pelle a certe infami fette di mortadella e fissava il suo interlocutore. Il suo aspetto era molto autorevole. [p. 45 modifica]

— Oh, io — disse quell’incognito autorevole signore — proporrò per prima cosa tutto un regolamento sull’uso dei finestrini: infatti la legislazione delle ferrovie dello Stato è muta a questo proposito. E lei, scusi, mi viene un’idea splendida, possederebbe per caso una qualche laurea in legge? No? Peccato! Io la proponevo subito all’Ufficio centrale per le contestazioni legali...

— Ma scusi — fece molto turbato il capostazione Foresti — lei chi è?

— Chi sono? Ah, sì, chi sono? — e trasse e presentò al capo-stazione il suo biglietto da visita: Cav. Comm. X. Y. — Ispettore capo delle Ferrovie dello Stato.

*

*  *

E fu così che il signor capo-stazione Foresti fu trasferito in una grande città, dove potè respirare l’aria balsamica dei grandi corsi, l’aria igienica dei teatri scintillanti, dei caffè-concerto; dove i suoi occhi poterono contemplare delle donne pulite, autentiche, all’ultima moda; dove potè consumare tutto il suo capitale di salute prima che la barba diventasse totalmente grigia.