Che cosa è l'arte?/XII
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Capitolo XII.
L’opera di Wagner,
modello perfetto della contraffazione dell’arte.
Se vogliamo vedere fino a che punto gli uomini del nostro tempo e della nostra società abbiano perduto la facoltà di sentire l’arte vera e si siano abituati ad accettare come arte cose che non hanno nulla da vedere coll’arte, nessun esempio potrà mostrarcelo meglio che l’opera di Riccardo Wagner, in cui non solo la Germania, ma eziandio la Francia e l’Inghilterra pretendono oggi di scoprire l’arte più elevata e la più ricca di nuovi orizzonti.
Il pensiero fondamentale di Wagner fu questo, come tutti sanno, che la musica deve far corpo colla poesia, esprimere tutte le sfumature d’un’opera poetica. È un’idea, che egli ha pure sempre esagerato, ma che anche nel suo principio è assolutamente falsa, poichè ciascuna delle arti ha il suo territorio determinato, distinto dal territorio delle altre arti; e se la manifestazione di due arti differenti si trova riunita in un solo lavoro, come è il caso per l’opera in musica, una delle due deve di necessità essere sacrificata all’altra.
L’unione del dramma e della musica, inventata nel secolo XVI da Italiani che pensavano di richiamar in vita l’antico dramma greco, non ha mai attecchito se non presso le classi superiori, e anche solo quando qualche musicista di talento, Mozart, Weber, Rossini, prendendo le mosse da un soggetto drammatico, s’abbandonò tuttavia liberamente alla sua inspirazione, e subordinò il testo alla musica. Nelle opere di questi maestri, la sola cosa importante per l’uditore era la musica scritta sopra un certo testo, non già il testo stesso; questo poteva spingersi fino all’assurdo, come, ad esempio, nel Flauto magico, senza impedire alla musica di produrre un’impressione artistica.
È questo appunto che il Wagner sognò di correggere, unendo più intimamente la musica e la poesia. Ma l’arte musicale non saprebbe sottomettersi all’arte drammatica senza perdere il suo significato proprio, poichè ogni opera d’arte, se è buona, è l’espressione del sentimento intimo dell’artista, d’un sentimento affatto eccezionale, e che non trova la sua espressione se non in una forma speciale; dimodochè pretendere che una produzione d’una certa arte faccia corpo colla produzione d’un’altra è pretendere l’impossibile. Infatti è domandare che due opere di dominii artistici differenti siano, da un lato, eccezionali, senza rassomiglianza con chicchessia, e che ciononostante coincidano e possano unirsi a formare un tutto.
Ciò è tanto impossibile, quanto è di trovare due uomini, o anche due foglie sopra un albero, che si rassomiglino perfettamente. E se due opere artistiche coincidono rispettivamente, egli avviene o perchè l’una è un’opera d’arte vera e l’altra una contraffazione, o perchè tutte e due sono contraffazioni. Due foglie naturali non possono essere esattamente simili, ma possono esser tali due foglie artificiali. Lo stesso è delle opere d’arte.
Se la poesia e la musica possono trovarsi accoppiate, come avviene per gl’inni e le canzoni, il loro accoppiamento non è mai un’unione vera, e il centro di gravità si trova sempre nell’una delle due, talchè è soltanto l’una o l’altra che produce l’impressione artistica. Ma c’è di più. Una dello condizioni essenziali della creazione artìstica è la libertà assoluta dell’artista, la sua indipendenza da ogni vincolo esteriore. E la necessità d’adattare un lavoro musicale a un lavoro d’un’altra arte costituisce un vincolo esteriore di tal fatta, bastante a sopprimere ogni possibilità di creazione artistica.
In realtà è ciò che accade nella musica di Wagner. E la prova di ciò sta in questo, che la musica di Wagner manca del carattere essenziale d’ogni opera d’arte vera, cioè di quella unità e di quella integralità per le quali avviene che il più piccolo cambiamento di forma basta ad alterare il significato dell’insieme. In un’opera di vera arte, poema, quadro, canto o sinfonia, è impossibile toglier via o mutar di posto una linea, una figura, una battuta, senza che ne sia compromesso il senso dell’opera intiera, come è impossibile, senza compromettere la vita d’un essere organizzato, mutar di posto un solo de’ suoi organi. Ma nelle ultime opere di Wagner, eccettuate alcune parti meno importanti che hanno un senso musicale indipendente, è possibile fare ogni sorta di trasposizioni, mettere davanti quello che era di dietro e viceversa, senza che ne sia modificato il significato musicale. E la ragione del fatto è questa, che nella musica di Wagner il senso sta nelle parole e non nella musica.
La parte musicale di questi drammi di Wagner mi fa pensare al caso d’uno di que’ versificatori abili e vuoti, come ora n’abbiamo in abbondanza, che concepisse il progetto d’illustrare coi suoi versi una sinfonia o una sonata del Beethoven, o una ballata dello Chopin. Sulle prime battute, improntate d’un carattere speciale, egli scriverebbe dei versi corrispondenti, secondo lui, al carattere di quelle battute. Sulle battute seguenti di carattere diverso scriverebbe degli altri versi corrispondenti a queste. E codesta nuova serie di versi non avrebbe alcun intimo rapporto colla prima, e, inoltre, tutti i versi non avrebbero nè ritmo nè rime. Ora supponete che un poeta simile reciti, senza la musica, i versi così composti, avrete un’imagine esatta di ciò che è la musica delle opere di Wagner, allorchè la si ascolta senza le parole.
Ma il Wagner non è solamente musicista, è anche poeta. Dunque, per giudicarlo, bisogna conoscere anche la sua poesia, quella poesia a cui egli pretende di subordinare la musica. Il principale dei suoi lavori poetici è L’anello dei Nibelunghi. Ho letto colla massima attenzione i quattro libretti che contengono questa creazione poetica, e vi raccomando di leggerli se volete avere un’idea d’un lavoro veramente straordinario; poichè è un modello della pseudo-poesia più grossolana e che tocca davvero il grottesco.
Ma si dice che è impossibile giudicare le opere di Wagner se non le si vedono sulla scena. La seconda giornata della Tetralogia fu per l’appunto rappresentata a Mosca l’inverno scorso. Avendo sentito che è la parte migliore di tutto il lavoro, mi sono recato a vederla; ed ecco ciò che ho veduto.
Quando giunsi, l’enorme sala era già affollata dal loggione sino alla platea. C’erano dei granduchi e tutto il fiore della nobiltà, del commercio, della scienza, dell’amministrazione e della media borghesia. La maggior parte degli uditori avevano in mano il libretto e si sforzavano di decifrarne il senso. Vidi pure molti musicisti — alcuni già vecchi, coi capelli grigi — che seguivano la musica sopra una partitura. Evidentemente quella rappresentazione costituiva un vero avvenimento.
Arrivai un po’ in ritardo; ma mi sì accertò che il breve preludio d’introduzione all’opera era poco importante e che non avevo perduto molto a non sentirlo. Comunque, allorchè fui entrato, un attore era seduto sulla scena in una decorazione destinata a rappresentare una grotta, e che, secondo il consueto, produceva tanto minore illusione, quanto più abilmente era architettata. L’attore era in maglia, con una pelle a bisdosso, una parrucca e una barba finta; e con certe mani bianche e fine, che rivelavano il commediante, martellava una spada inverisimile con un martello impossibile, d’una foggia quale non ebbe mai nessun martello maneggiato da uomini; e nello stesso tempo, sgangherando la bocca in un modo non meno strano, cantava qualche cosa d’incomprensibile. Intanto l’orchestra intiera si scalmanava ad accompagnare i suoni bizzarri che uscivano dalla bocca di lui.
Il libretto mi fe’ sapere che quest’attore doveva rappresentare un gnomo potente, che viveva in una caverna e fabbricava una spada per Siegfried, il giovinetto che egli aveva allevato. E appunto avevo indovinato che esso rappresentava un gnomo, perchè, camminando, non mancava mai di piegar le ginocchia per rimpicciolirsi. Il gnomo, spalancando sempre la bocca nella medesima guisa stravagante, continuò per un pezzo a cantare, o a vociare. La musica per parte sua seguiva un andamento singolare; si otteneva l’impressione di principii che non continuavano, nè finivano. Il libretto mi chiarì che il gnomo raccontava a sè stesso la storia d’un anello, di cui un gigante s’era impossessato, e che il gnomo desiderava di procacciarsi coll’aiuto di Siegfried; ed ecco perchè gli foggiava una spada.
Dopochè questo monologo fu durato un bel pezzo, intesi all’orchestra degli altri suoni affatto diversi dai primi; salvochè essi pure mi produssero l’impressione di cominciamenti che non finivano punto. E infatti non tardò a presentarsi un altro attore, che portava un corno sulla spalla ed era accompagnato da un uomo camuffato da orso, e che correva a quattro zampe. Quest’uomo si slanciava sul gnomo, che scappava, sempre piegando le gambe. L’attore che portava il corno rappresentava Siegfried, l’eroe del dramma. I suoni emessi dall’orchestra, prima del suo comparire, erano destinati a rappresentare il suo carattere. Sono detti il leit-motiv di Siegfried; e vengono ripetuti ogni volta che Siegfried si presenta. C’è precisamente una combinazione fissa di suoni, o leit-motiv, per ciascuno dei personaggi; e ogni volta che il personaggio così designato entra in scena, l’orchestra ripete il suo leit-motiv, e ogni volta che si fa allusione a qualcuno dei personaggi, l’orchestra ripete il leit-motiv di questo personaggio. Tutti gli oggetti hanno anch’essi il loro leit-motiv.
C’è il motivo dell’anello, il motivo dell’elmo, il motivo del fuoco, della lancia, della spada, dell’acqua, ecc; e l’orchestra ripete codesti motivi non appena si fa menzione di questi diversi oggetti. Ma ritorno al racconto della rappresentazione.
L’attore munito del corno apre la bocca in modo non più naturale di quello che facesse il gnomo, e continua per un pezzo, con una specie di canto, a gridare certe parole, e Mime, il gnomo, gli risponde nello stesso modo. Il senso di questa conversazione non si può indovinare che leggendo il libretto; vi apprendo che Siegfried è stato allevato dal gnomo, per la qual cosa egli lo detesta e cerca sempre d’accopparlo. Il gnomo ha fabbricato una spada per Siegfried, ma questi non ne è soddisfatto. Il dialogo dura una buona mezz’ora e occupa dieci pagine del libretto. Ci fa sapere che la madre di Siegfried lo ha messo al mondo in un bosco, che suo padre aveva una spada, quella di cui Mime tenta di ricomporre i pezzi, e che Mime vuol impedire al giovine di uscir dal bosco. Aggiungerò che, durante questa conversazione, al minimo cenno che si faccia del padre, della spada, ecc., la musica non manca mai di far sentire il leit-motiv di queste persone e di questi oggetti.
Finalmente il dialogo s’arresta; si sente una musica affatto differente — il leit-motiv del dio Wotan; e comparisce un viaggiatore. Questo viaggiatore è il dio Wotan. Fornito anch’esso di parrucca e di maglia, il dio, ritto in una posa stupida con una lancia in mano, prende a raccontare una lunga storia, che Mime doveva di certo già conoscere a fondo, ma che l’autore ha creduto necessario di far conoscere ai suoi uditori. E si badi, che egli non racconta questa storia semplicemente, ma bensì sotto forma di enigmi ch’egli si fa rivolgere, assoggettandosi a perder la vita se mai non indovinasse la risposta. E tutte le volte che batte il suolo colla lancia, se ne vede uscir del fuoco, e nell’orchestra si sente il leit-motiv della lancia e del fuoco. Del resto l’orchestra accompagna il dialogo con una musica in cui sono sempre abilmente frammischiati i leit-motiv delle persone di cui si parla.
Questi enigmi hanno il solo fine di farci sapere che cosa sono i gnomi, che cosa sono i giganti, che cosa sono gli dei, e ciò che è accaduto nelle opere precedenti. Per completare la spiegazione, Wotan propone alla sua volta tre enigmi; poscia se ne va, e ritorna Siegfried, e si trattiene di nuovo con Mime per tredici altre pagine del libretto. In tutto questo tempo non si sente una sola melodia svolta per intiero; non si sente che un intreccio perpetuo dei leit-motiv delle persone e delle cose di cui si parla. Mime dice che vuole insegnare a Siegfried la paura, e Siegfried risponde che non sa che cosa sia la paura. Alla fine terminate le tredici pagine, Siegfried afferra uno dei pezzi di ciò che deve rappresentare la spada infranta, la pone sull’affare che deve rappresentare l’incudine, lo batte, e canta “Heaho, heaho, hoho! Hoho, hoho, hoho, hoho! Hoheo, haho, haheo, hoho!„ E il primo atto è finito.
Tutta questa roba era così irritante per me, che stentavo a tenermi fermo, e, non appena fu terminato l’atto, volli andarmene. Ma gli amici che m’accompagnavano mi pregarono di restare. Mi dissero che era impossibile giudicare dell’opera dal solo primo atto, e che il secondo, indubbiamente, mi sarebbe piaciuto di più.
Tuttavia non avevo più nulla da imparare intorno alla questione per cui ero venuto in teatro. Quanto al valore artistico del dramma del Wagner ero oramai così sicuro del mio parere come ero stato rispetto al pregio del romanzo di quella signora, quando essa mi aveva letto la scena tra la donzella dalle chiome ondeggianti, e il cavaliere col cappello piumato alla Guglielmo Tell. Da un autore capace di comporre scene di quel genere, che offendono tutti i sentimenti estetici, non c’era da sperar nulla: si poteva esser certi; senza sentir altro, che qualunque cosa quell’autore avesse scritto, sarebbe stata arte cattiva, poi chè evidentemente egli non sapeva che cosa fosse una vera opera d’arte. Ma intorno a me notavo un’ammirazione, un’estasi generale; e per scoprire la causa di codesta estasi, risolvetti di sentir ancora il secondo atto.
Atto II. — Notte; poi l’alba. Del resto in generale tutta la produzione è decorata di lampi, nubi, chiaro di luna, tenebre, fuochi di bengala, schianti di tuono, ecc. La scena rappresenta un bosco, e in fondo si scorge una caverna. All’ingresso della caverna è seduto un altro attore in maglia, che rappresenta un altro gnomo. Entra il dio Wotan, sempre colla sua lancia, e in abito di viandante. Di nuovo l’orchestra fa sentire il suo motivo, questa volta insieme con un altro motivo di tono più basso che sia possibile. Questo motivo di basso profondo designa il dragone.
Wotan sveglia il dragone, gli stessi suoni bassi si ripetono ancora più profondi. Il dragone comincia a dire che vuol dormire; ma poi si decide a mostrarsi sulla soglia della caverna. Questo dragone è rappresentato da due uomini. È vestito d’una pelle verde, squamosa; da un capo dimena una gran coda di serpente, dall’altro spalanca una bocca di coccodrillo, nella quale guizzano delle fiamme.
E questo dragone — che senza dubbio si volle rendere terribile, e che in realtà potrebbe spaventare dei bambini di cinque anni — per parlare ha una voce d’una profondità terribile. Tuttociò è così stupido, così simile a quello che si fa vedere nelle trabacche della fiera, che vien da domandare come mai delle persone che abbiano più di cinque anni possano assistervi con tutta serietà; cionondimeno migliaia di persone che si pretendono colte, ci assistono e guardano e ascoltano tutta la faccenda con una pia attenzione, e ammattiscono dal piacere. Si vede ricomparire Siegfried col suo corno, e anche Mime. L’orchestra naturalmente accenna i leit-motiv che li riguardano; ed essi intanto si mettono a discutere su questo punto, se Siegfried sa o non sa che cosa sia la paura. Poi Mime se ne va, e comincia una scena che ha l’intenzione d’essere eminentemente poetica. Siegfried, sempre in maglia, si sdraia in una posa destinata a sembrarci bella; e alternativamente tace o parla con sè stesso. Egli fantastica, ascolta il canto degli uccelli, desidera imitarli. A quel fine taglia colla spada una cannuccia e se ne fa un flauto. L’alba divien più chiara, gli uccelli cantano; Siegfried tenta d’imitare gli uccelli. E la musica dell’orchestra imita il canto degli uccelli, ma non trascurando di farci udire i leit-motiv delle persone e degli oggetti di cui si parla. E Siegfried, non riuscendo a sonar bene il flauto, si decide a sonare di preferenza il suo corno.
Tutta questa scena è insoffribile. Di musica, cioè d’un’arte che ci trasmetta un sentimento provato dall’autore, in tuttociò non c’è la menoma traccia. E aggiungo che non s’è mai imaginato nulla di più antimusicale. Par di sentire, indefinitamente, una speranza di musica sempre seguita da una delusione.
Centinaia di volte comincia alcunchè di musicale; ma questi cominciamenti sono così brevi, così ingombri di complicazioni d’armonia e di metallo, così carichi d’effetti di contrasto, così oscuri e troncati tanto bruscamente, e ciò che accade sulla scena è d’una falsità così inverosimile, che si stenta a percepire codesti embrioni musicali, e tanto meno a sentirsene commossi. E sopra tutto, dal principio alla fine, in ogni nota, è così, direi, palpabile l’intenzione dell’autore che non vediamo o udiamo nè Siegfried nè gli uccelli, ma solamente un tedesco dalle idee ristrette, un tedesco privo di gusto e di stile, che, essendosi formato un concetto grossolano della poesia, s’adopera a trasmetterci il suo concetto coi mezzi più grossolani e più primitivi.
Si sa che sentimento di diffidenza e di resistenza soglia destarsi in presenza d’un lavoro che riveli con troppa evidenza un partito preso dall’autore. Basta che un novelliere ci dica prima: “preparatevi a piangere o a ridere!„ perchè siamo certi di non piangere e di non ridere. Ma quando vediamo che un autore ci impone di commuoverci per cosa che non è punto commovente, ma anzi ridicola o ripugnante, e quando vediamo per giunta che questo autore è pienamente convinto d’averci conquistati, proviamo una sensazione penosa analoga a quella che susciterebbe in noi una vecchia in abito da ballo, che facesse la civettuola con noi.
Tale fu l’impressione che io provai durante quella scena, mentre vedevo intorno a me una folla di tremila persone, che non solo assistevano a quelle assurdità senza lagnarsi, ma che si credevano in dovere di esserne entusiaste.
A ogni modo mi rassegnai ancora alla scena seguente, in cui compare il mostro, coll’accompagnamento delle sue note profonde mescolate col leit-motiv di Siegfried; ma dopo il combattimento col mostro, e i muggiti, le vampe, i colpi di spada, ecc. non potei più resistere, e scappai dal teatro con un sentimento di ripugnanza, che anche adesso non posso dimenticare.
E pensavo involontariamente a un contadino savio, istruito, rispettabile, uno di quegli uomini veramente religiosi che conosco tra i nostri contadini, mi raffiguravo la perplessità terribile che proverebbe un uomo siffatto se dovesse assistere allo spettacolo che io avevo veduto. Che direbbe venendo a sapere quanto lavoro s’era speso per quella rappresentazione, e vedendo quell’uditorio, vedendo quei grandi della terra — uomini attempati, calvi, dalla barba grigia, uomini che egli era avvezzo a rispettare — vedendoli sedere immobili a guardare e ad ascoltare, per sei ore di seguito, quel mucchio di assurdità?
Eppure un uditorio enorme, il fiore delle classi colte, assiste per sei ore di seguito a codesta rappresentazione assurda: e tutta questa gente se ne va a casa colla convinzione che col rendere un tributo a quelle stravaganze s’è acquisito un nuovo diritto di credersi “illuminata„ e ”progredita„.
Io parlo del pubblico di Mosca, ma questo pubblico non è che una minima parte dì quello che considerandosi come il fiore intellettuale del mondo, si fa un merito d’aver tanto smarrita la facoltà d’ogni emozione artistica da poter assistere senza ribellarsi a codesta stupida farsa, anzi prendervi un piacere estremo. A Bayreuth, dove si rappresentò per la prima volta quel lavoro, delle persone che si consideravano come la quintessenza del genere umano accorsero dai quattro punti cardinali, e spesero ciascuna delle migliaia di rubli per veder rappresentate delle cose simili; e quattro giorni di seguito, per sei ore al giorno hanno contemplato e ascoltato questa stupida farsa. Ma perchè queste persone si sono recate a Bayreuth, e perchè si continua ad andar a vedere queste opere, e perchè le si ammirano? È un quesito che s’impone fatalmente. Come si spiega il successo delle opere del Wagner?
La spiegazione è molto semplice. Grazie a una condizione eccezionale, potendo disporre dei mezzi d’un re, il Wagner si trovò in grado dì concentrare tutti i metodi inventati prima di lui per contraffare l’arte; e maneggiando tutti questi metodi con estrema abilità, produsse un modello perfetto della contraffazione dell’arte. Ed è appunto per questo che ho parlato così a lungo dell’opera sua; nessun’altra che io conosca mi fa vedere combinati con tanta accortezza ed efficacia tutti i metodi che valgono a contraffare l’arte, cioè i prestiti, i fronzoli, gli effetti, e l’appello alla curiosità. Cominciando dal soggetto, ricavato dalle vecchie leggende, per venire alle nubi, al sorgere del sole e della luna, il Wagner s’è valso di tutto ciò che è considerato come poetico. Nella sua opera troviamo la bella addormentata in mezzo al bosco, e le ninfe e i fuochi sotterranei, e i gnomi, e le battaglie, e le spade, e l’amore, e l’incesto, e un mostro, e degli uccelli canori; l’arsenale del poetico ci si trova su tutta la linea.
Aggiungete che lì dentro tutto è bello. Sono belle le scene, e le vesti, e le ninfe, e la valkiria. Anche i suoni sono belli. Poichè Wagner, che era tutt’altro che privo d’ingegno, ha inventato — alla lettera, inventato — per accompagnare il suo testo delle combinazioni di suoni belle non meno d’armonia che di metallo. Tutta codesta bellezza è d’un ordine piuttosto basso e d’un gusto deplorevole, come sono le belle donne che si vedono dipinte sugli affissi, o come dei begli ufficiali in grande uniforme; ma tutto ciò è incontestabilmente bello.
In terzo luogo tutto vi è sbalorditivo in sommo grado e di grande effetto: i mostri, le fiamme miracolose, le scene che avvengono nell’acqua, l’oscurità della sala, l’orchestra invisibile, e poi delle combinazioni armoniche nuove, e perciò sorprendenti.
Infine tutto è “ interessante ”. L’interesse non istà solo nella questione di sapere chi ammazzerà e chi sarà ammazzato, chi si sposerà, e ciò che avverrà in seguito; l’interesse risiede altresì nel rapporto tra la musica e il testo. Il moto delle onde del Reno; come lo renderà la musica? Compare sulla scena un gnomo sensuale; come mai la musica potrà esprimere un gnomo; come potrà colorire la sua sensualità? Come saranno rappresentati musicalmente il coraggio, o il fuoco, o un anello? Come farà l’autore a intrecciare il leit-motiv delle persone che parlano con quello delle persone e delle cose di cui egli parla? E l’interesse delle opere del Wagner non si ferma lì. La musica, anche di per sè è un appello costante alla nostra curiosità. S’allontana da tutte le leggi ammesse prima di essa e produce le modulazioni più inaspettate, delle modulazioni affatto nuove (cosa non solo possibile, ma anche facile a una musica che s’è liberata da ogni legge organica). Le dissonanze sono nuove e sono risolute in un modo affatto nuovo. Tuttociò è pure molto interessante.
E sono questi elementi, l’apparato poetico, la bellezza, l’effetto, e l’interesse, che, grazie alle singolarità dell’ingegno del Wagner e a quello della sua condizione, si trovano nelle opere di lui portate al sommo della perfezione: di modo che ipnotizzano lo spettatore, come sareste ipnotizzati se ascoltaste per parecchie ore le divagazioni d’un pazzo declamate con grande potenza rettorica.
Mi si dice: “Non potete giudicare di tutto ciò senza aver veduto le opere del Wagner a Bayreuth, nella sala oscura, coll’orchestra nascosta del tutto e un’esecuzione inappuntabile!„ Sono pronto ad ammetterlo; ma questo prova precisamente che non si tratta d’arte, ma d’ipnotismo. È appunto nello stesso modo che parlano gli spiriti. Per convincerci della realtà delle loro apparizioni, ci dicono infallibilmente: “Non potete giudicare a casa vostra, venite alle nostre sedute„. In altri termini: “Venite, e rimarrete seduti, per parecchie ore di seguito, al buio, con altre persone mezze matte, ripetete questa esperienza una decina di volte, e vedrete quello che vediamo noi„. E perchè non lo vedrei? Mettetevi solamente in siffatte condizioni, e vedrete tutto quello che volete vedere, sebbene possiate giungere più facilmente allo stesso risultato ubbriacandovi di vino o d’oppio. Lo stesso avviene per l’audizione delle opere del Wagner. Rituffatevi per quattro giorni di seguito nell’oscurità in compagnia di persone che si trovano in uno stato di mente anormale, e per il veicolo dei vostri nervi acustici sottomettete il vostro cervello all’azione potente dei suoni fatti apposta per eccitarlo; dovrete per forza trovarvi in condizioni anormali sicchè le assurdità peggiori vi faranno piacere. Ma per arrivare a tanto non vi occorrono neppure quattro giorni; bastano le sei ore che dura la rappresentazione d’una delle giornate. Che dico mai? Un’ora basta per delle persone che non hanno alcuna idea chiara di quello che dovrebbe essere l’arte, e che hanno anticipatamente deciso che quanto vanno a vedere è eccellente, e sanno che mostrarsi indifferenti o malcontenti dinanzi a codesta opera sarebbe imputato loro come una prova d’inferiorità e di scarsa cultura.
Ho osservato a Mosca l’uditorio del Siegfried. C’erano delle persone che dirigevano gli altri e davano loro l’imbeccata; ce n’erano di quelle che avevano già subito altre volte l’azione ipnotica del Wagner, e vi si abbandonavano di nuovo, essendovisi abituate. Coloro, trovandosi in uno stato anormale di mente, provavano un’estasi perfetta. Accanto ad essi c’erano i critici d’arte, uomini assolutamente privi della facoltà di provar commozione per l’arte, e che quindi sono sempre pronti a lodare delle opere come quelle del Wagner, in cui ogni cosa è affare d’intelligenza; perciò non mancavano di sfoggiare tutta la loro profondità nel lodare un’opera che forniva loro così ampia materia di raziocinii. Dietro a questi due gruppi camminava la turba dei cittadini, uomini indifferenti all’arte, o tali che la capacità d’esserne tocchi era in essi pervertita e in parte atrofizzata; e costoro si schieravano servilmente coll’opinione dei principi, dei caporioni della finanza e altri dilettanti, che alla loro volta abbracciano sempre le idee di coloro che esprimono il loro parere più forte e con maggior baldanza. — “Oh! che poesia! che meraviglia! principalmente gli uccelli! Ah sì! m’arrendo!„ Così esclama tutta quella folla ripetendo a gara ciò che ha or ora udito affermare dagli uomini di autorità riconosciuta.
Ciononostante forse ci sono delle persone che si sentono urtate dall’assurdità e dalla volgarità di questa così detta arte nuova; ma tacciono timidamente, come un uomo digiuno rimane silenzioso e timido quando sì vede circondato da ubbriachi.
E così avviene che, grazie alla maestria prodigiosa con cui contraffà l’arte senza aver nulla di comune con essa, un’opera grossolana, bassa e vuota di senso si trova ammessa dal mondo intiero, costa per la rappresentazione migliaia di rubli, e contribuisce sempre più a pervertire il gusto delle classi superiori, allontanandole sempre più dall’arte vera.