Clelia/XXX

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XXX. — Il Castello

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XXIX XXXI

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CAPITOLO XXX.

IL CASTELLO.

Il periodo di grandezza e li gloria — durante il quale la capitale del mondo maggiormente rifulse — si chiuse colla Repubblica, — e la maestà del sistema Repubblicano — con gli Scipioni. — Dopo la battaglia di Zama1 — quando Roma non ebbe più nemici potenti — e facile divenne mettere le mani su ciò che v’era ancora da conquistare lei paesi conosciuti, — i Romani impinguati delle spoglie dei vinti dieronsi alle gare interne e ad ogni sorta di lussuria — da cui furon trascinati poi all’ultimo stadio di degradazione — a diventare gli schiavi dei loro schiavi. E fu giustizia che così avvenisse: Dio li pagò della stessa moneta con la quale essi avevano trattate le nazioni.

Ma l’ultimo periodo della Repubblica ha in sè qualche cosa di grande — Prima di [p. 162 modifica] morire, quella schiatta di giganti (parlo degli ultimi Repubblicani), presenta alla storia un complesso di uomini tali da far giustamente maravigliare — Lucullo, Sertorio, Mario, Silla, Pompeo, Cesare — son tali uomini — tali generali, uno solo dei quali basterebbe per illustrare i fasti guerrieri d’una grande nazione.

Se la perfezioxe fosse possibile all’uomo — e Cesare alle sue qualità, — avesse unita l’abnegazione di Silla — io direi come l’autore della Grandezza e Decadenza dell’Impero romano «Cesare è il più grande di tutti i grandi uomini del mondo.»

Di Silla in fatti strenuo generale anche lui questo racconta la storia. — Dopo aver voluto correggere i Romani e sottrarli alla corruzione con mezzi terribili — sino ad ordinare l’eccidio di ottomila cittadini in una volta — un bel giorno radunò il popolo nel Foro e sedendo in mezzo all’adunanza al posto di dittatore, rimproverò ai Romani i loro incorreggibili vizj — quindi disse loro: «Tenni la dittatura colla speranza di migliorarvi — oggi mi son convinto che non lo posso — ritorno privato cittadino, pronto a dar ragione del mio operato a chi me lo chieda.» Così dicendo scese dalla tribuna, e si confuse [p. 163 modifica] nella folla tranquillo ed altero — mentre dei Romani non uno — gli chiese conto dì un torto.

E sì a molti dei presenti egli avea ucciso congiunti, amici, fratelli.

Cesare non sanguinario al pari di Silla — ma d’un’intelligenza a lui superiore, non seppe imitarne l’abnegazione — si lasciò cullare dalla propria ambizione, e sognò di poter cingere la fronte d’una corona. — I pugnali degli ultimi Romani distrussero il suo sogno trafiggendolo a morte.

Sulle rovine della Kepubblica surse l’Impero.

Fra gl’Imperatori ve ne furono dei meno tristi — come Trajano, Tito Antonino e Marco Aurelio — la maggior parte però furon mostri — che non contenti delle immense ricchezze che possedevano nelle loro condizioni supreme — cercavano ancora usurpare le sostanze altrui, e guai al ricco Romano — ch’essi potevano depredare con uno od altre pretesto! —

I cittadini che possedevan grandi ricchezze procuravano d’allontanarsi da Roma — alcuni cercavan rifuggire in paesi stranieri, altri in siti reconditi ove non vi fosse probabilità di venire molestati. — Tra questi ultimi un discendente di Lucullo — sotto il regno di Nerone [p. 164 modifica] — era andato a stabilirsi nel luogo ove all’estremità della foresta i nostri viaggiatori avevano scorto un antico monumento. Colà egli si credette di trovarsi al sicuro dalle carezze di quel pezzo di galantuomo ch’era l’incendiario di Roma2.

Il sito adunque ove Marco Lucullo edificò il suo castello — era lo stesso in cui noi lasciammo la nostra Clelia coi compagni — e forse alcuna fra le quercie che ne adornavano il parco ricordavasi del figlio di quel vincitore dell’Asia3.

L’architettura del castello era superba e superbamente conservata. — Le facciate esterne dell’edificio — erano ricoperte d’edera ingigantita dai specoli, ma. l’interno ripulito accuratamente dai moderni abitatori — se non presentava tutti gli agi che si possono aspettare in una casa moderna, offriva buon numero di sale e stanze ben conservate e spaziosissime.

Privo d’abitatori per molto tempo — oltre all’edera che lo tappezzava — il castello era pure nascosto dalle piante gigantesche che lo circondavano — e questa circostanza lo [p. 165 modifica] deva acconcio ai bisogni d’Orazio e dei suoi compagni di proscrizione. — Di più — come tutte le abitazioni edificate in quei tempi di sospetto — il castello aveva i suoi sotterranei in cui non solo era agevole il nascondersi, ma a traverso i quali si poteva percorrere immenso tratto di paese — nel seno della terra.

Chi avesse chiesto qualche cosa ai pochi pastori il cui gregge pascolava nei dintorni della foresta — avrebbe udito rispondersi, che nel centro di quella v’era un castello abitato dagli spiriti — cui nessuno aveva mai potuto avvicinarsi — perchè de’ più coraggiosi che lo tentarono non se n’ebbe mai più notizia.

Raccontavano ancora, che una figlia del ricco principe I..., che con la famiglia s’era trovata ai bagni marini di porto d’Anzo — essendosi avvicinata colle sue damigelle all’orlo del bosco, era stata, a’ loro occhi veggenti, portata per aria dagli spiriti — e più nulla se ne era saputo ad onta delle minute indagini fatte praticare dal padre in tutti gli angoli della foresta.

Ecco in qual paese di meraviglie capitò la comitiva condotta da Orazio.

  1. Zama in Africa, ove Annibale fu disfatto da Scipione.
  2. Nerone un giorno fece metter fuoco a Roma per godere lo spettacolo dell’incendio dall’alto del suo Belvedere.
  3. Lucullo fu uno dei generali romani die maggiori conquiste ebbe a fare nell’Asia.