Codice cavalleresco italiano/Libro I/Capitolo V

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Soddisfazione e riparazione

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V.

Soddisfazione e riparazione1

ART. 30.

Il gentiluomo, offeso da altro gentiluomo, ha il diritto e l’obbligo di pretendere una soddisfazione od una riparazione all’ingiuria patita, quando l’ingiuria ha carattere serio, e non esclude l’azione cavalleresca.

ART. 31.

La soddisfazione consiste nell’ottenere dall’avversario la negazione o una ritrattazione dell’offesa [p. 24 modifica]subìta, se il grado e la natura di questa lo comportano, e la riparazione al danno subìto.

La negazione dell’offesa (art. 2, 3, 4, 35) è fatta dal supposto offensore in iscritto o verbalmente ai rappresentanti dell’offeso, i quali redigono apposito verbale da rilasciarsi al loro rappresentato, dopo datane comunicazione e copia al supposto o reale offensore.

La ritrattazione, invece, deve essere scritta dall’offensore, o dai rappresentanti di questi, e consacrata in un verbale in duplice copia (una copia per ciascuna parte), redatto con l’intervento e la sottoscrizione di quelli della controparte.

Nota. — Negare l’offesa, quando questa non venne realmente fatta, non implica alcuna responsabilità cavalleresca. E nemmeno la ritrattazione porta seco conseguenze morali, allorquando venga disdetto ciò che innanzi era stato detto o fatto di offensivo, per la successiva conoscenza di circostanze documentate, che l’offensore ignorava al momento dell’offesa, e che lo convincano di aver egli ingiustamente — benchè in buona fede — recato ingiuria a chi non la meritava. Quando la ritrattazione non ha per base la paura, ma il profondo convincimento di essere caduto in errore per una non esatta conoscenza dei fatti, il ritrattare non disonora, sibbene onora chi lo fa, perchè è dovere di ogni uomo onesto e da bene di riconoscere il proprio torto, quando senza giustificato motivo o per una ingiusta interpretazione, o per una imperfetta conoscenza delle cose, abbia recato lesione alla onorabilità di un galantuomo. In tal caso, il verbale dei rappresentanti di una o di ambedue le parti, dovrà essere redatto in modo, che mentre suoni riparazione all’offeso, onori l’involontario offensore. Ad esempio:

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. . . . . a dì 18 ore

I sottoscritti C. e D. rappresentanti del sig. A., che si riteneva offeso dal sig. B. (perchè . . . . . . . . . .) avendo esposto al sig. B. il mandato ad essi affidato dal loro rappresentato, provarono al sig. B. con [documenti, lettere, testimonianze, ecc.], essere egli caduto in errore nello apprezzare [giudicare, pensare, stimare, credere, ecc.] i fatti [o le cose, ecc.] che lo indussero a recare offesa al sig. A.

Il sig. B., dopo aver preso conoscenza [atto] dei documenti [lettere, testimonianze, ecc.] dai rappresentanti del sig. A. sottoposti al suo esame; ed avendo da questo esame ottenuto prova luminosa che la sua buona fede era stata sorpresa, ha dichiarato di essere lieto di ritrattare l’offesa fatta al sig. A., perchè non meritata e perchè, se mantenuta, dopo l’esame dei documenti [lettere, testimonianze, ecc.], costituirebbe un sopruso ed una ingiustizia a danno di A. e si dichiara disposto a risarcire il danno arrecato, nella misura e nel modo che i quattro rappresentanti o un giurì d’onore stabiliranno.

I signori C. e D. e nella loro qualità di rappresentanti del sig. A. e in nome proprio, ringraziano il sig. B. [o i rappresentanti del sig. B.] della ritrattazione, che essendo conforme al vero e all’onesto, li obbliga ad affermare che onorano nel sig. B. il vero galantuomo e il gentiluomo perfetto per l’atto di giustizia compiuto verso il sig. A.

Firmato: C. D.  E. F.


ART. 32.

La riparazione consiste nell’ottenere dall’offensore le scuse per l’offesa fatta patire; o l’accettazione di uno scontro con le armi, semprechè i primi rifiutino l’appello a un giurì o alla Corte d’onore, proposto per dovere dai quattro rappresentanti, affinchè venga [p. 26 modifica]pronunciata la censura e stabilito il compenso del danno arrecato.

Nota. — Resta quindi fermo, che la domanda di soddisfazione non è sfida a duello nel senso voluto dall’articolo 237 del Codice penale: mentre lo è la domanda di riparazione.

La domanda di soddisfazione è un semplice invito a chi fu ritenuto offensore a nominare due rappresentanti, i quali con quelli dell’appellante giudicheranno se offesa realmente ci fu; e, in caso affermativo, indicheranno la misura di riparazione cavalleresca e civile da accordarsi al supposto o reale offeso. Se i rappresentanti del convenuto si rifiutassero di accordare all’offeso reale questa giusta soddisfazione nel campo pacifico; allora si farà appello a un Giurì o alla Corte d’onore, perchè stabiliscano la qualità e la quantità di riparazione dovuta dall’offensore all’offeso.

ART. 33 (già 32).

Tutti gli atti e le parole, che senza avere i caratteri di un’offesa apparente, si prestano ad una interpretazione offensiva, dànno diritto a pretendere spiegazioni da chi se ne rese autore (Châteauvillard, Bellini, Angelini, Viti, ecc.).

Nota. — Talune volte, nei rapporti dalla vita sociale, accade che il gentiluomo è costretto a ricorrere all’azione cavalleresca, non per punire chi lo chiamò vile o bugiardo: non per vendicare il dolore di una bastonata, o per cancellare l’onta o la vergogna di uno schiaffo; ma per qualche cosa di più e di meglio delle stesse offese con vie di fatto. È la pace domestica; è la reputazione della propria donna; è il sacro onore della famiglia, che bisogna difendere e tutelare da una serie di atti, da una serie di parole, che senza ledere, in apparenza, l’onorabilità del [p. 27 modifica]gentiluomo, pure, sono di pretesto a supposizioni o a dicerie malevoli, che potrebbero compromettere, se non lo hanno già compromesso, l’onore di lui.

ART. 34.

L’azione cavalleresca ha luogo tutte le volte in cui le spiegazioni chieste ed ottenute confermino la offesa (Corte d’onore di Firenze, 8 gennaio 1889, Angelini, cap. VIII, 2°).

ART. 35.

Negata l’offesa, decade nel supposto offeso ogni diritto a riparazione cavalleresca, semprechè l’offesa, per la natura sua, possa ammettere come valida la negata volontà di offendere, o la negativa di aver offeso (si veggano gli art. 1, 2, 3, 4).

Nota. — Si legga la nota all’art. 31. — Si tenga pure presente che vi sono offese per le quali non può essere in alcun modo ammessa «come riparazione» la negazione dell’offesa, o la negata volontà di offendere.

Se così non fosse, si cadrebbe facilmente nel paradosso.

Un Tizio p. es. dopo aver turbato la pace domestica di una famiglia, negando di aver voluto arrecare un’offesa, un’onta al marito, al fratello, o al padre, se la caverebbe a buon mercato anche nelle sue più indegne imprese.

ART. 36.

La negazione dell’offesa costituisce, in linea cavalleresca, la più ampia riparazione morale che possa pretendersi dall’offeso, quando sia provato che, invece, l’offesa vi fu. Però, la negativa non esonera dal risarcimento del danno. [p. 28 modifica]

Nota. — Accettando la negazione dell’offesa come riparazione d’onore, i rappresentanti redigeranno apposito verbale, in doppio originale, da consegnarsi alle due parti, affinchè anche il supposto o reale offensore sappia come fu giudicata la sua condotta e come fu riferito al suo avversario, al quale è riservata la facoltà di esigere il risarcimento del danno subito. Però, è necessario essere guardinghi, in quanto può avverarsi, come si è avverato, che un Tizio chieda una soddisfazione per un fatto insussistente, nel fine di provocare una vertenza per... rimettersi a galla. E perciò la negativa dell’offesa, quando l’offesa non vi fu, non costituisce ritrattazione.

ART. 37.

Negata l’offesa, i rappresentanti redigono apposito verbale da rilasciarsi al supposto offeso, e dichiarano chiusa la vertenza per la sola parte morale e cavalleresca.

ART. 38.

Se per una offesa si rifiutasse una legittima soddisfazione o riparazione, i quattro rappresentanti o quelli della parte ingiuriata, dopo avere proposto invano l’appello a un giurì, redigeranno verbale, dal quale risulterà la negata soddisfazione o riparazione, uniformandosi a quanto è prescritto dall’articolo 516 e consiglieranno il loro primo ad appellarsi alla Corte d’onore o al Tribunale, se la Corte d’onore permanente non funzionasse (Angelini, cap. V, 9°).

ART. 39.

Questo verbale contenente il fatto (senza apprezzamenti o commenti) verrà pubblicato, anche se [p. 29 modifica]l’offesa non fu pubblica, acciochè si sappia chi fu, tra l’offeso e l’offensore, quello che abbandonò il campo della cavalleria. E ciò, ben inteso, qualora non si faccia appello alla Corte d’onore permanente, se esiste, o ad una Corte occasionale, nominata conforme è detto all’art. 8 (nota), o al Tribunale ordinario.

ART. 40.

Per una stessa offesa e per una stessa vertenza si deve dare e ricevere una soddisfazione sola, o riparazione.

Nota. — Questo principio fu confermato dall’arbitrato del generale Raffaello Reghini (Firenze 10-12-1922) nella vertenza Onori, Lami, Canovai ed altri.

ART. 41.

La domanda collettiva di soddisfazione, o di riparazione, deve essere respinta (Châteauvillard, capitolo III, 7°; Bellini, cap. V e VI; Angelini, capitolo II, 3°).

ART. 42.

Allorchè la stessa offesa è diretta a più persone (famiglia, associazione o riunione), e queste ne domandino collettivamente o individualmente soddisfazione, la sorte designa quale, tra gli offesi, deve sostenere le ragioni di tutti nella vertenza (così opinarono anche: Viti, art. 11; Angelini, cap. II, 4°).

Nota. — Per sollevare eccezione sulla domanda di soddisfazione è necessario che la domanda sia fatta in nome della collettività e che il richiedente l’avanzi in nome della famiglia, dell’associazione o della riunione. Altrimenti [p. 30 modifica]dovrà considerarsi come una richiesta personale di chi si ritenne leso nell’onore. In tal caso l’offensore ha il diritto di respingere altre domande collettive o individuali che potessero giungergli sempre per quel principio che per una stessa offesa si deve una sola riparazione.

Anche questo principio fu consacrato nel lodo del generale Reghini nella vertenza citata all’art. 40.

ART. 43.

Ma se l’offesa, di cui all’art. 42, è accompagnata da vie di fatto, la famiglia, l’associazione, la riunione designa chi la rappresenti contro l’offensore (così opinò anche il Viti, art. 11).

ART. 44.

Le offese dirette, da una famiglia, associazione o riunione, per la medesima causa, contro una stessa persona, dànno all’offeso il diritto di scegliere tra gli offensori quegli che deve rispondere per tutti.

ART. 45.

Nelle offese dirette da più persone contro un solo individuo, la parte ingiuriata designa quale tra gli offensori deve rappresentare la parte di tutti. Questa designazione generalmente è rimessa alla sorte, esclusi coloro che la legge considera irresponsabili (della stessa opinione fu anche l’Angelini, cap. II, 5°).

ART. 46.

Se lo stesso individuo offende contemporaneamente più persone, la precedenza nei diritti di riparazione spetta al primo offeso, se le offese sono dello stesso grado. In caso diverso, ha la precedenza colui che [p. 31 modifica]fu offeso più gravemente (così opinò anche l’Angelini, cap. II, 6°).

ART. 47.

Semprechè non si faccia appello alla Corte d’onore, e si voglia risolvere violentemente la vertenza, l’offeso con oltraggio, o con onta, è in diritto di imporre le condizioni più gravi e, messo fuori di combattimento può dichiararsi non soddisfatto e ritentare la prova delle armi appena ristabilito.

Nota. — Opinione espressa dall’Angelini, Cap. V, 6°, ma ormai bandita, perchè maschera un duello ad oltranza, contrario alla cavalleria e alla legge, ed inammissibile tra gente onesta per il carattere feroce e selvaggio del combattimento.

ART. 48.

Nemmeno nel caso di turbata pace domestica, o quando alla percossa si è aggiunta la ferita, è ammissibile la errata consuetudine di ricorrere al duello ad oltranza.

Nota.— Il duello ad oltranza è quello nel quale i contendenti combattono fino a che uno dei due non si trova più in grado di difendersi. E anche dicesi duello ad oltranza quello nel quale i contendenti duellano fino a che uno di essi si trovi nella impossibilità di scendere ulteriormente sul terreno.

È opportuno notare che questi duelli eccezionali cadono sotto il disposto dell’art. 243 del Cod. penale, e squalificano nel senso cavalleresco chi li propone, perchè quasi sempre desiderati per spaventare l’avversario, e quindi cavarsela a buon mercato.

Note

  1. Gelli, Manuale del duellante, pag. 41, 2a edizione (Hoepli).