Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo V

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Della riabilitazione cavalleresca

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V.

Della riabilitazione cavalleresca.

La facilità con la quale da qualche tempo viene inflitta la squalifica nel campo cavalleresco, ha dato vita a lunga serie di dibattiti, risolti in grado di appello da Corti d’onore, costituitesi caso per caso. Da codesti giudicati d’appello è scaturito una completa giurisprudenza in materia, raccolta nei capitoli riflettenti la incapacità cavalleresca, l’intervento del giurì e delle Corti d’onore. Malgrado ciò, la coscienza pubblica è stata scossa dalla leggerezza con la quale persone, reputate equilibrate e ritenute competenti nelle vertenze tra gentiluomini, hanno ucciso civilmente chi non meritava tanto rigore, e discute ed esamina l’importante argomento della riabilitazione in materia d’onore. [p. 126 modifica]

L’opinione pubblica non ha torto. Nel passato si privavano delle prerogative cavalleresche solo coloro che s’erano macchiati di fatti contrari alla morale, e così luminosamente provati da non lasciare nell’animo del pubblico e dei giudici alcun dubbio che il colpevole s’era reso indegno di appartenere alla classe dei galantuomini. Verso coloro, invece, che avevano offeso piuttosto la forma che la sostanza morale delle leggi d’onore, s’era di manica larga.

Ed infatti chi scrive, avendo discusso in otto lustri oltre seimila vertenze1 tre volte solo, ha concorso col suo voto a dichiarare altrui decaduto dalle prerogative cavalleresche.

La prima si riferiva ad un Tizio, ch’era stato colpito dalla sentenza del Magistrato per maltrattamenti bestiali verso la vecchia madre;

la seconda a un Caio, il quale dopo aver goduto largamente e per anni della generosa e signorile ospitalità di un amico, si era servito di notizie familiari, sapute o perchè richiesto di consiglio, o perchè rappresentante dell’amico o da lui rappresentato, per diffamarlo e ricattarlo moralmente, gonfiando e travisando, ben inteso, codeste notizie;

la terza ed ultima a un Sempronio, condannato per aver imitato la firma altrui in calce ad effetti cambiari. [p. 127 modifica]

Ma si parla di... allora! Ma ora? Ora, recentemente, si è arrivati a squalificare un trentino, il quale, rischiando la forca austriaca, ha combattuto da valoroso per l’Italia, meritandosi due medaglie d’argento al valore. E lo si è squalificato perchè, esercitando un suo diritto cavalleresco, come rappresentante di un amico aveva recusato il fiduciario in un giurì d’onore!

Non è dubbio che l’applicazione bolscevica dei principi fondamentali delle leggi d’onore abbia prodotto nello spirito pubblico una tendenza verso la revisione di codeste assurde deliberazioni e la opportunità dello istituto della riabilitazione cavalleresca. Il tema è arduo ed il passato ammaestra poco, poichè uno solo è il caso conosciuto di riabilitazione in materia d’onore. Il cav. G. B. Serralunga, già deputato di Biella, in una assemblea nella quale si discuteva intorno alla necessità di un nuovo tronco ferroviario della regione, fu fatto segno a parole poco reverenti da parte di un contraddittore. Ne seguì una sfida e una querela per avanzata indegnità cavalleresca contro l’offensore in base a una sentenza d’appello passata in giudicato da venti anni circa. Il Pretore di Milano rimise la soluzione della vertenza ad un giurì, presieduto dal compianto senatore Ing. Cesare Saldini, e composto dal senatore Marco Pozzo, ex ministro di G. e G., dell’avv. Giuseppe Pugliesi, del comm. J. Gelli e del comm. ing. A. Manfredini.

Il 16 di aprile del 1904 il giurì, assolvendo il compito affidatogli, decise: «che le parole vivaci, per quanto meno corrette, non costituivano offesa che potesse dar luogo ad un’azione cavalleresca; ma [p. 128 modifica]faceva obbligo all’offensore di riconoscere di avere inopportunamente ecceduto».

Nei riguardi della posizione morale cavalleresca dell’offensore statuì: «per quanto consta al giurì, il signor X. Y. ha tenuto da allora (dalla pubblicazione della sentenza ricordata) in poi una condotta irreprensibile, nè oggi avrebbero più ragioni d’essere apprezzamenti d’ordine morale a di lui carico per un fatto risalente alla gioventù. Per tali considerazioni il giurì ecc., restituendo al sig. X. Y. la capacità cavalleresca, fa obbligo ecc. e dichiarando chiusa la vertenza invita le parti a stringersi la mano alla presenza del giurì».

Ma poichè un fiore non fa primavera, e malgrado che il ghiaccio sia rotto, ritengo che in tema di riabilitazione cavalleresca bisognerà lasciar correre ancora molta acqua sotto il ponte del tempo.

Note

  1. Questo è stato il solo vantaggio di aver pubblicato un Codice Cavalleresco. Comunque, sono ben grato a coloro che mi hanno dato prova della loro stima e fiducia, ben sapendo che l’opera e la missione del giudice d’onore, non essendo una professione, non si paga col danaro, ma con l’amicizia e la gratitudine.