Commedia (Lana)/Inferno/Canto X

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Canto X

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Inferno - Canto IX Inferno - Canto XI


[p. 204 modifica]là dove diffosamente ne tratta.1 E però, com’è ditto, che le eresie sono corrumpenti cose, si è da schifarle ed in nullo modo attendere ad esse; lo qual schifare si è usare in le predicazioni pubbliche, ed usare colli savi autenticati religiosi2come sono i predicatori, minori, eremitani, ed altri che per la Chiesa romana sono autenticati, e lassare certi romiti e frati di penitenza, in li quali può essere molto dubbio per le sue secrete e gelate predicazioni e riformazioni, sicome pone l’autore che avenne a uno papa, lo qual credette a uno eretico, ch’ebbe nome Fotino, come appare in lo testo, XI capitolo. Poscia ch’è ditta la intenzione di questo nono capitolo, a perfezione è ad esponere lo testo sì come promesso fu nel principio.


Quel color che viltà di fuor mi pinse,
     Veggenndo il duca mio tornare in volta,
     Più tosto dentro il suo nuovo ristrinse.
Attento si fermò coni’ uom che ascolta;
     Che l’occhio noi potea menare a lunga
     Per l’aer nero e per la nebbia folta.5
Pure a noi converrà vincer la punga,
     Cominciò el: se non... tal ne s’offerse.
     Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga?




V. 1. Dice che Virgilio accorgendosi della paura ch’avea Dante a lui sovravvenuta per viltà, si restrinse lo suo nuovo colore, cioè che Virgilio per ira della porta che a lui era vietata, si arrossì; e tornato quasi scornato, era tutto stemperato; e questo fece per non sconfortare Dante del buono e stabile proposito. E soggiunge ch’elli, cioè Virgilio, si mise in ascolto, aspettando messo dal cielo, il quale li fèsse una cotal pugna, perchè veder non si potea da lungi per la folta nebbia e per la oscurità dell’aire ch’era lìe. Ed ascoltando, cosi recita Dante che Virgilio dicea fra sé stesso: pur noi vinceremo la pugna, avegna che tal ne s’offerse; e non

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Io vidi ben sì com’ei ricoperse 10
     Lo cominciar con l’altro che poi venne,
     Che fur parole alle prime diverse.
Ma non dimen paura il suo dir dienne,
     Perch’io traeva la parola tronca
     Forse a peggior sentenzia ch’ei non tenne. 15
In questo fondo della trista conca
     Discende mai alcun del primo grado,
     Che sol per pena ha la speranza cionca?
Questa question fec’io; e quei: Di rado
     Incontra, mi rispose che di noi 20
     Faccia il cammino alcun per quale io vado.
Ver’è che altra fiata quaggiù fui
     Congiurato da quella Eriton cruda,
     Che richiamava l’ombre a’corpi sui.
Di poco era di me la carne nuda, 25
     Ch’ella mi fece entrar dentro a quel muro,
     Per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
Quell’ è il più basso loco e il più oscuro,
     E il più lontan dal ciel che tutto gira:
     Ben so il camin: però ti fa securo. 30
Questa palude, che il gran puzzo spira,
     Cinge d’intorno la città dolente,



disse più oltre. Le quali parole così mozze miseno a Dante dubbio. Vero è che adesso Virgilio scoprì così dubbioso parlare, e disse: oh quanto tarda a me etc.; quasi a dire: elli pur ne viene soccorso.

V. 10. Parla qui Dante faciendo una tal comparazione, che sicome il color che acquistò Virgilio per ira elli lo ricoperse stringendolo entro, così similemente lo parlare che fe’ prima dubbioso ello ricoperse, mostrando ch’aspettava l’aiuto. E però dice che l’ultime parole fanno dalle prime diverse.

16. Qui fa una questione Dante a Virgilio, s’alcuna di quelle anime che sono in lo primo giro là dove è Virgilio, discese mai in questo sesto giro là dove elli erano; e questo per introdurre una favola poetica la qual pone Lucano, che dice che al tempo, over poco dopo che Virgilio fu morto, una Eritto incantatrice, che facea tornare li animi alli corpi, sì lo scongiurò, cioè Virgilio, e fecelo tornare al corpo e andare dentro alla città di Dite, e tòrre una anima dell’infimo circolo, cioè del circolo dov’è Juda. E questa è una allegorìa che Virgilio trattò di quelli luoghi nel suo volume, e che raro di loro faceano quel cammino: quasi a dire che raro poetando si trattava di tal materia; e sicome appar nel testo quel circolo è lo più lontano e il più remoto che sia dal cielo e che possa essere. Soggiungendo per confortarlo come sapeva bene lo cammino di quella puzzolenta palude.

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     U’ non potemo entrare omai senz’ira.
Ed altro disse, ma non l’ho a mente;
     Perocché l'occhio m’avea tutto tratto 35
     Ver l'alta torre alla cima rovente,
Ove in un punto furon dritte ratto
     Tre furie infernal di sangue tinte,
     Che membra femminili avìeno, ed atto;
E con idre verdissime eran cinte: 40
     Serpenti di ceraste avean per crine,3
     Onde le fiere tempie eran avvinte.
E quei, che ben conobbe le meschine
     Della regina dell’eterno pianto:
     Guarda, mi disse, le feroci Erine. 45
Questa è Megera dal sinistro canto:
     Quella, che piange dal destro, è Aletto:
     Tesifone è nel mezzo: e tacque a tanto.
Coll' unghie si fendea ciascuna il petto;
     Batteansi a palme, e gridavan sì alto, 50
     Ch’io mi strinsi al poeta per sospetto.
Venga Medusa: sì il farem di smalto,


  1. La citazione di questo autore qui chiarisce l’antichità sua non bene affermata dall’opera dei Quetìf ed Eebard. Per altro il periodo sebbene del tempo sembrami stato nota marginale entrata sin da prima nel testo.
  2. Il Codice L. XC, 115, finisce cosi, di Santa Chiesa Romana, e ogni altro credere lasciar stare. Tutto quello che segue qui è nel Codice Laur. XC, 121, e nella Vindelina: cosi l’un esemplare aiuta bene l’allro.
  3. V.41.La comune ha serpentelli e ceraste; il Cortonese, com’io accetto, che accorda col Lana.




V. 34. Segue suo poema, e dice come furono apresso della torre e che videno tre furie infernali le quali erano sanguinose ed eranoin forma di femmine. E dice ch'erano cinte con idre verdissime, cioè serpenti venenosi, e le lor crine erano ceraste, che è una specie di serpentelli, e da tali capelli erano adornate le lor tempie.

43. Cioè che Virgilio li disse quelle che erano, cioè Megera, Aletto e Tesifone. Questi funno tre sorori, le quali in sommo grado d’ira s’ebbono il mondo. E ponenli li poeti per allegoria, ma a significare la incontinenza, la qual corre troppo avaccio ad ira: la seconda significa malizia, la quale si drizza a ira: la terza significa la bestialitade, la quale significa quella pessima ira, la quale è in supremo grado, sicome qua inanzi in lo XI capitolo dichiarerà. E però che non entra anco l'autore in la città, ed è nel pantano delli iracondiosi, fa menzione di quelle furie; puniscele con serpenti a mostrare lo venenoso moto delli irati e la sua impia voluntade.

49. Qui distingue lo loro esercizio e movimento ch’era tutto avalorato d’ira, come appar nel testo.

52. Questa Medusa, secondo che ponon li poeti, fu una bella giovine delle parti d’occidente, la qual giacque con Nettuno dio del mare carnalmente in lo tempio di Pallas, overo Minerva, che è tutt’uno, la quale è appellata dea di scienzia. Saputo questo

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     Gridavan tutte riguardando in giuso:
     Mal non vengiammo in Teseo l’assalto.
Volgiti indietro; e tien lo viso chiuso; 35
     Che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi,
     Nulla sarebbe del tornar mai suso.
Così disse il Maestro; ed egli stessi
     Mi volse, e non si tenne alle mie mani,
     Che con le sue ancor non mi chiudessi. 60
O voi, che avete gl’intelletti sani,
     Mirate la dottrina che s’asconde
     Sotto il velame degli versi strani.
E già venia su per le torbid’onde
     Un fracasso d’un suon pien di spavanto, 65
     Per cui tremavan amendue le sponde;
Non altrimenti fatto che d’un vento




Pallas e commossa per tale oltraggio ad ira, si li fe’ divenire li suoi capilli serpenti, ed a dispetto di Nettuno li fe’ che qualunque la vedesse, diventasse pietra. In processo di tempo avenne che Perseo figliuolo di Juppiter e di Diana udito tal transmutazione, si mise in cuore di volerla vedere; e fèssi fare uno scudo di vetro e andò a questa Medusa; videla entro lo scudo. Questa per veder lui acciò che diventasse pietra, li andava atorno; e questi coprendosi quanto potea, e in fine non potendo più li tagliò con una spada la testa, e questa testa portò in sue contrade; la qual testa è appellata per li poeti Gorgon, perchè questa Medusa, anzi tal transmutazione, era appellata di Gorgona, e poi fu nell’inferno posta; lo qual Gorgon avea nell’inferno simile proprietà. Sichè dice che quelle furie gridavano: vegna Medusa, si ’l farem di smalto, cioè di pietra, dicendo l’una all’altra, giammai non ci vendicheremo dell’assalto che li fe’ Perseo1 se noi non faremo costui diventar pietra, quasi a dire: Medusa sarà vendicata se si trasmuta costui in pietra.

V. 55. Qui mostra Dante poetizando lo salutifero consiglio, pronto e maturo di Virgilio dicendo come sotto tali versi è sentenzia affettiva; quasi a dire che chi si lascia a tali vizii vincere si disumana e diventa insensibile pietra.

64. Qui incomincia a narrare lo impetuoso movimento con lo quale venia l’angel dal cielo ad aprirli la porta. E dice ch’era si grande che ambe le sponde, cioè le rive di quel circolo, tremavano; esemplificando che sicome li impetuosi venti che schiantan li albori in le selve e vanno polverosi nel lor capo, cioè che levano inanzi a sé ogni rusco e polvere, e spaventan li animali de’ boschi e le fiere, ed anche li pastori che sono con lo bestiame, così facea anzi sè quel messo.

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Impetuoso per gli avversi ardori,
     Che fier la selva, e senza alcun rattento
     Li rami schianta, abbatte, e porta fori:2 70
Dinanzi polveroso va superbo ,
     E fa fuggir le fiere e li pastori.
     Gli occhi mi sciolse, e disse: Or drizza il nerbo
     Del viso su per quella schiuma antica
     Per indi ove quel fummo è più acerbo. 75
Come le rane innanzi alla nimica
     Biscia per l’acqua si dileguan tutte,
     Fin che alla terra ciascuna s’abbica;
Vid’io più di mille anime distrutte
     Fuggir così dinanzi ad un che al passo 80
     Passava Stige colle piante asciutte.
Dal volto rimovea quell’aer grasso,
     Menando la sinistra innanzi spesso;
     E sol di quell’ angoscia parea lasso.
Ben m’accorsi ch’egli era del ciel messo , 85
     E volsimi al Maestro : e quei fé’ segno,


  1. I Codici mss. e la Vindelina hanno Teseo.
  2. V. 76. La Vind. R., il Cassin., BU e parmig. I, 108, il Codice Cavriani e il DiBagno, e la Nidob. che la copia, han fuori. Il Landiano, il parmigiano 18, i tre
    dell’Archiginnasio bolognese, i due in’eri dell’Università, i marciani LII e IX, 339, il Viv. quattro Patavini, l’edizione 1494 hanno come ho scritto fori. Witte seguendo la Crusca di cui é idolatra, e il Foscolo, mette fiori che non v’ha a fare. Qui è il turbine che schianta, abbatte e porta fuor della selva. Non è a dissimulare che verso ragionevole e beilo è quest’altro di un bel Cod. della Magliabecchiana: I rami schianta, abbatte fronde e fiori; ma non l’accetto perchè que’ fiori nella selva non so trovare.



V. 73. Poscia ch’è esemplificato secondo lo senso dello audito del movimento che facea il messo , mo esemplifica secondo lo senso del viso. E dice che poiché Virgilio gli sciolse li occhi , li quali elli chiuse con le sue mani perchè non vedesse ’l gorgone, disse: mira, cioè guarda, in quella parte là dove tu vedi più acerbo, cioè più scuro e folto lo fumo; quasi a dire: li è lo fatto. Questi guardando inverso quella parte, dice che vedea fuggire tutte l’anime alla riva di tal fiume; tutto a simile modo come fanno ranelle quando senteno o vedeno venire per l’ acqua la biscia la quale è lor nemica. E connumerale, che secondo ch’era sua vista, cioè corta per la folta nebbia, ne vide più di mille. Le quali anime fuggìano dinanzi ad uno messaggio, lo quale andava suso per quella acqua ch’ello apella Stige, com’è ditto, senza bagnarsi i piedi, quasi a dire che anima beata non lede pene infernali. 82. Chiaro appare nel testo come la giustizia divina è costante e non lassiva contra li peccatori ch’ènno permanuti in tutto nel peccato, e che mai non hanno tolto penitenzia, nè detto confessione nella prima vita.

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     Ch’io stessi cheto, ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
     Venne alla porta, e con una verghetta 1
     L’aperse , che non v’ebbe alcun ritegno. 90
O cacciati del ciel, gente dispetta,
     Cominciò egli in su l’orribil soglia,
     Ond’esta oltracotanza in voi s’alletta?
Perchè ricalcitrate a quella voglia,
     A cui non puote il fin mai esser mozzo,95


  1. V. 89. Correggo Venne dove altri scrive Giunse. Me ne avvisan giusto anche il Cassio, e la Vind. accettata dal Witte, il Landiano. e i Cod. bolognesi BS. BV. Non sapendo Dante a che l’angelo fosse diretto non potea dir giunse; ben disse Venne poiché ’l vide alla porta fermarsi.




V. 89. Questa verghetta è possanza di Dio alla quale non puote contrastare nulla possanza di creature alcuna.

91. Qui per farli più stupore li ricorda suo danno; e mostra come ogni creatura gli ha a dispetto e cacciali, che sol quello luogo che più è di lungi al cielo li ritiene, e quello è dispettoso e rinchiuso e opposito tutto alla lor natura.

92. Cioè la porta infernale, la quale per la eternitade delle pene e delli martiri si è orribile ad ogni intelletto.

94 Cioè : è duro recalcitrare contra lo stimolo che tanto più si dannifica lo recalcitratore, quasi a dire: voi non potete contra Dio, lo quale è sempiterno, e non può essere sua eternitade mozza; perchè dunque vi opponete voi contra, adducendo per argomento che voi sapete che voi avesti già più larga possanza contra l’umana generazione: e questo fu anziché ’l figliuol di Dio fusse crocifisso; posciachè tal morte fu, vi fue accresciuta la pena , che d’allora inanzi non avete possanza sì grande da tentare li uomini per li sacramenti della Chiesa e per la fede cattolica ch’elli hanno. E nota qui che al demonio è pena quando non può avere possanza di tentare e di far perdere l’ anima umana. 97. Qui poiché ha detta la condizione de’ demonii secondo la scrittura cristiana, introduce una fabula poetica, la quale è che Teseo figliuol del duca d’Atene, lo quale uccise lo Minotauro in Creti, per consiglio della sorore del detto Minotauro, come apparirà nel XII capitolo, e Proserpina figliuola di Cerere, e Optito 1 si funno incantati e andonno allo inferno, e volendo entrar dentro dalla cittade di Dite, li demoni li lo volseno vietare. Questi non aspettavano grazia né poder d’altri, sì miseno a farla alle mani con loro; alla fine questi tre vinseno la pugna. Vero è che nella messeda Cerbero demonio fu molto aruffato e fulli schiantata tutta la barba ch’ancora dall’un de’ lati l’avea mozza e schiantata. Or lo detto messo a più dolor di loro li ricordò tal zambello.

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     E che più volte v’ha cresciuta doglia?
Che giova nelle fata dar di cozzo,
     Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
     Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo.
Poi si rivolse per la strada lorda, 100
     E non fé’ motto a noi: ma fé’ sembiante
     D’uomo, cui altra cura stringa e morda,
Che quella di colui che gli è davante.
     E noi movemmo i piedi in ver la terra,
     Sicuri appresso le parole sante. 105
Dentro v’entrammo senza alcuna guerra:
     Ed io , ch’avea di riguardar disio
     La condizion che tal fortezza serra,
Com’io fui dentro, 1’ occhio intorno invìo;
     E veggio ad ogni man grande campagna 110
     Piena di duolo e di tormento rio.
Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,2

  1. Laur. XI. 36 ha cho pito.
  2. V. 112. Così i Cod. migliori, e il Landiano il BP e i due interi dell’Università bolognese.

V. 100. Qui mostra com’en sollicite l’anime beate a fare suo uffizio. 104. Come appare nel testo entronno dentro alla città dolente. 109. Qui tratta del sito e della condizione di quelli ch’eran dentro, dicendo che grandi tormenti e dolori erano dentri, e aduce per esempio arche e sepolture che ivi erano, là dove pistilenziati li eretici di Arli, che è una terra che è in Provenza, alla qual va il Rodano e falli grande stagno over laco 1; e trovasi per croniche che al detto Arli anticamente fu grandissima battaglia tra Cristiani e Pagani, per lo quale oste ne morì innumerabile quantità di ciascuna delle parti; in la qual briga mori Guiglielmo d’Oringa. Alla fine rimase lo campo a’ Cristiani. Sichè quelli che rimasero vivi, li quali erano cristiani, volendo per pietà seppellire li suoi, e gli altri, cioè li infedeli, no, e non conoscendoli feceno prego a Dio che a loro dovesse per grazia revelare quali fosseno li fedeli. Esauditi costoro dalla benignitade di Dio, apparve sopra ciascun corpo, ch’era in vita cristiano una cedola, in la quale era scritto lo nome e la condizione sua; costoro, visti tali nomi e facultadi feceno fare tumoli, overo arche, a ciascuno secondo sua condizione, a chi basse, a chi più alte, e a chi di maggior essere: ancora per la moltitudine di morti, mettenno più d’una condizione in una arca, e quelli ch’ebbono al mondo maggior essere, miseno soli. 113. Pola è in Istria, ed è una cittade in lo cui contado è grande moltitudine d’arche , le quali funno anticamente fatte per quelli

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     Sì com’a Pola presso del Quarnaro ,
     Che Italia chiude e i suoi termini bagna,
Fanno i sepolcri tutto il loco varo: 115
     Così facean quivi d’ogni parte,
     Salvo che il modo v’era più amaro ;
Che tra gli avelli fiamme erano sparte.
     Per le quali eran sì del tutto accesi,
     Che ferro più non chiede verun’arte. 120
Tutti gli lor coperchi eran sospesi,
     E fuor n’uscivan sì duri lamenti ,
     Che ben parean di miseri e d’offesi.
Ed io: Maestro, quai son quelle genti ,
     Che seppellite dentro da quell’ arche 125
     Si fan sentir con gli sospir dolenti?
Ed egli a me: Qui son gli eresiarche2

  1. Correggo coll’aiuto dell’Ottimo il passo stazione over loco.
  2. V. 127 Così i due dell’Università bolognese, e altri egregi, e anche 1’ Allavanti.

che abitavano in Dalmazia e Croazia e Schiavonia, che moriano e venivansi a sepellire alla marina: ed eravi differenza secondo la facultade delle persone in essere messi in onore vili sepolcri. La qual Pola, secondo che recita l’autore, è apresso del Quarnaro, lo qual Quarnaro è in golfo che dura XL miglia ed è molto pericoloso a’ naviganti ch’hanno a passar per quello: e da esso è denominato un vento che li fa tempesta e tumulto 1, che è appellato quarnira, lo qual vento è tra Greco e Levante 2. V. 114. Qui per specificare lo luogo poetizando mette che Pola è fine e termine de Italia, e che lo detto Quarnaro, cioè l’acqua di quel golfo, bagna lo confine. 116. Or fa la comparazione che sicome in li predetti luoghi sono sepolcri d’ogni condizione, così dentro a Dite è sepolcri d’ogni condizioni, salvo che non è dritta comparazione, perchè dentro a Dite la maniera era più amara, cioè che l’anime erano pestilenziate dai demonii, quelli corpi ch’erano nei sepolcri ad Arlì e a Pola erano solo da vermi rosi e senza sentimento. 118. Qui mostra di lor pena dicendo che fiamme usciano delli avelli over arche, li quali mostravano e faceano l’anime essere si accese e piene di fuoco, che non è nessuna arte, né fabbrile, né quelli che tranno lo ferro della miniera, che ’l vogliano più rosso e fusibile. 121. Qui, come appar nel testo, recita di lor lamenti, lo qual suono mosse lui a dimandare a Virgilio la condizione di quelli, quando dice: ed io, Maestro. 127. Dice che Virgilio li disse ch’erano li eresiarche , cioè li

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     Co’ lor seguaci d’ogni setta, e molto
     Più che non credi, son le tombe carche.
Simile qui con simile è sepolto: 130
     E i monimenti son più, e men caldi.
     E poi ch’alla man destra si fu volto,
Passammo tra i martìri e gli alti spaldi.



eretici principali3 e li loro seguaci, che erano d’ogni setta e d’ogni condizione, ed erano troppo più ch’ elli non credea, quasi a dire: molti sono li errori che sono in li uomini, li quali non sono palesati né corretti, de’ quali nel mondo non è notizia né si sanno. V. 130. Quasi a dire: ogni setta hae d’una qualità sepultura e pena, e questo perchè la giustizia di Dio fa egualmente sua operazione alli eguali peccatori. Poi poetizando compie suo capitolo dicendo come andonno a man destra, tra li spaldi della terra e le arche, dov’erano dentro li martirii delli eretici predetti.


  1. Cosi la V., e Laur. XC, 115; mentre Laur. IX, 21, ha rumore, come la R.
  2. Altri mss hanno Scirocco e Vestro
  3. Di questa interpretazione ho già notato al proemio: V. la prefazione.



Nota. Dopo il canto VI a tutto questo IX l’ Ottimo è altra cosa che il Lana. È notevole in questi antichi commenti la indifferenza sulla nazionalità e la topografia italica, le quali pur si sentivano dall’Alighieri, dal Boccaccio, e più ancor dal Petrarca. Coloro che non consentono l’Istria essere parte d’Italia pensino un poco sui da quando si canta Quarnaro. Che Italia chiude e i suoi termini bagna. Italia! il bel paese Ch’appenin parte e ’l mar circonda e l’alpe.