Comunicare il museo con i social media: il caso Caltagirone/Capitolo2/Paragrafo2 2

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Paragrafo 2.2: La comunicazione digitale: musei social e virtuali

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Paragrafo 2.2: La comunicazione digitale: musei social e virtuali
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Se le nuove tecnologie consentono di comunicare in modo innovativo, di conseguenza a maggior ragione, mai come ora, si sente la necessità, per ogni singola istituzione museale che voglia definirsi 2.0, di pianificare e attuare la comunicazione digitale.

La fase determinante per l’impostazione della strategia della comunicazione digitale prevede l’analisi di “benchmark” del posizionamento web e social del museo e dell’impiego delle tecnologie digitali con finalità di comunicazione (Fitzcarraldo, 2014). Essa ha la funzione di “evidenziare un numero di dati e dettagli finalizzati a comprendere le numerose dimensioni del fenomeno” (Fitzcarraldo, 2014, p. 28) e, per questo motivo, si avvale principalmente di tre analisi:

• L’analisi quantitativa che è impiegata per comprendere l’utilizzo che un set demografico fa di uno specifico canale digitale poiché in questo modo si cerca di avere un’immagine delle abitudini degli utenti di una determinata istituzione (Fitzcarraldo, 2014);

• L’analisi di contesto che permette di affrontare e di rispondere alle domande che riguardano il contesto di utilizzo delle nuove tecnologie (Fitzcarraldo, 2014): “Cosa stanno facendo le persone mentre utilizzano questo canale e vengono a contatto con l’istituzione? Dove si trovano? In che momenti della loro giornata interagiscono?” (Fitzcarraldo, 2014, p. 28);

• L’analisi qualitativa che consente di puntualizzare i contenuti ricercati e le modalità di comportamento degli utenti (Fitzcarraldo, 2014). Ad esempio possiamo domandarci: “A quali bisogni potrebbe rispondere il museo su questi canali? Come interagiscono gli utenti con questi canali?” (Fitzcarraldo, 2014, p. 29).

Detto ciò, adesso possiamo proseguire approdando all’altra fase della strategia che prevede la costruzione della cosiddetta “community”. I musei che vogliono accrescere la visibilità e interagire con più persone possono aumentare il numero di persone in target privilegiando l’approccio qualitativo (attirare le persone che sono attinenti a temi e valori specifici) a quello esclusivamente quantitativo (fare entrare chicchessia) (Fitzcarraldo, 2014).


Dunque, affinché i musei possano definirsi “social”, essi stessi devono per prima cosa prendere confidenza con i numerosi social media e successivamente utilizzarli nella loro interezza. Inoltre, “il potenziale per i musei è enorme, soprattutto in termini di engagement e di quelle che nel marketing chiamano brand awareness e brand image, ovvero la riconoscibilità di un museo e il tipo di percezione che è in grado di generare presso il pubblico” (#Svegliamuseo, 2014, p. 68).

Detto ciò, a questo punto possiamo passare all’analisi dell’altro canale digitale, il quale, anche se viene annoverato nella fase del web 4.0, sta riscoprendo negli ultimi anni un graduale impiego perfino in ambito museale: stiamo parlando dell’“immersività”. Questo sviluppo della tecnologia digitale ci consente di avere un’esperienza grafica – visiva del museo a tutto campo, per così dire, “virtuale” (Antinucci, 2007). Con l’esperienza virtuale il visitatore viene immerso in un mondo tridimensionale di assoluto realismo cosicché i mondi del passato possono nuovamente divenire veri, come se abitassero un’altra volta nella nostra realtà (Antinucci, 2007).

Ebbene, è chiaro allora che l’utilizzo del sito web, dei social media e della tridimensionalità rappresentano i segnali importantissimi di innovazione digitale per tutte le istituzioni museali; inoltre, il tutto è una chiara risposta “non solo al bisogno sociale di relazione, ma anche e soprattutto a un’esigenza di condivisione” (Solima, 2012, p. 30).