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Condizioni politiche e amministrative della Sicilia/III/3

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17 dicembre 2011 25% Da definire

§ 60. - Condizioni speciali dell'industria dei malfattori in provincia.

Il fenomeno dei predominio della violenza è nei suoi elementi essenziali, simile a Palermo e in provincia. Esso vi è ugualmente reso possibile dalle condizioni sociali già descritte. Per le ragioni storiche già esposte, l'esercizio della violenza vi è venuto in mano ad una classe indipendente di facinorosi che ha forza, mezzi di azione, ordinamento, industria ed interessi suoi propri. Questa ha acquistato il predominio coll'affermare la sua potenza con mezzi e per fini suoi propri. Ed una volta acquistata la preponderanza, reagisce a sua volta sui costumi e le condizioni sociali. L'esistenza di questo organismo indipendente e completo di per sè stesso, è assicurata contro la forza dell'autorità governativa per mezzo della protezione o della neutralità benevola della classe dominante, il cui ordinamento si appoggia su di esso. Ma la differenza fra Palermo e la provincia sta in questo: che il campo nel quale si esercita la industria indipendente dei facinorosi è nell'uno e nell'altra diverso; che in conseguenza questa classe assume in provincia caratteri diversi da quelli che ha in Palermo, e perciò la sua influenza sui costumi delle popolazioni ha effetti un poco differenti. Ed assumono pure forma diversa le relazioni che ha con essa la classe dominante.

La descrizione che adesso faremo dei fenomeni che presenta la mafia di provincia, il brigantaggio e il malandrinaggio, sarà dunque resa più facile dall'analisi già fatta, giacchè avremo solamente da esporre le cause locali che imprimono, in provincia, alla industria indipendente dei malfattori la sua forma speciale, e il modo in cui questa forma speciale reagisce sui costumi; finalmente le relazioni con questa industria della classe dominante, in quanto differiscono da quelle già trovate in Palermo.

L'impossibilità già da noi accennata(106), di stabilire una distinzione netta fra le varie forme dell'industria dei facinorosi, ci costringe, nel descrivere le sue condizioni in provincia, a scegliere per principiare fra tutte le forme che essa industria ivi assume, la più dissimile da quelle che abbiamo viste esistere in Palermo, per poi seguire la gradazione insensibile delle modificazioni che subisce a seconda della infinita varietà delle circostanze in mezzo alle quali si esercita, fino al punto in cui si manifesta con atti identici a quelli della mafia palermitana. Principieremo dunque col brigantaggio e il malandrinaggio. Lasceremo da parte le origini storiche di questo fenomeno. Esse hanno oramai per noi un interesse secondario dopo la descrizione già da noi fatta nel capitolo secondo, delle cagioni storiche della presente condizione sociale dell'Isola in generale. E ci partiremo dal fatto che nel 1860 esisteva, come in Palermo, così in una parte delle provincie di Sicilia, una classe di persone dedita all'industria del delitto, la quale ebbe dai fatti della rivoluzione occasione di accrescersi. Esporremo più tardi le ragioni per cui questa classe di facinorosi non esista in talune parti della Sicilia, quantunque le condizioni sociali e morali siano simili in tutta l'Isola. Per adesso non abbiamo carico di dimostrare altro, se non che questa classe di persone ha potuto dopo il 1860, come prima e meglio di prima, continuare l'esercizio della sua industria. L'industria del malfattore in provincia si esercita principalmente per mezzo del brigantaggio e del malandrinaggio, sotto forma di grassazione, lettera di scrocco, abigeato (ossia furto di bestiame) e ricatto. Questi sono, per la natura stessa delle cose, i principali generi di speculazione, perchè da questi soli il malfattore può trarre guadagni costanti e fino a un certo punto sicuri. E ciò a cagione delle condizioni della industria e del commercio nell'interno della Sicilia. Ivi infatti gli interessi sono quasi esclusivamente agricoli. La classe della quale il malfattore è sempre certo di poter trarre guadagni è quella dei proprietari e capitalisti agricoltori. Il fondo sul quale è assicurato di poter sempre prelevare il suo profitto, è la ricchezza agricola sotto tutte le sue forme, i raccolti, gli alberi e i caseggiati rurali, dove ve ne sono, e il bestiame. Le persone sulle quali il malfattore esercita le sue speculazioni devono inevitabilmente stare in campagna o sempre, o spesso, o di quando in quando; giacchè il proprietario o il fittaiuolo deve pur sorvegliare le colture, devono pure i suoi impiegati risiedere sui fondi a loro affidati. La campagna è dunque sede principale della industria dei malfattori provinciali.

Non mancano del tutto, è vero, a questi anche altre materie sulle quali esercitare il loro mestiere, giacchè gl'interessi agricoli per essere principalissimi nell'interno dell'Isola pure non sono i soli; ma gli altri sono troppo poco numerosi e poco considerevoli per dare occasioni a guadagni continuati, e ne parleremo dopo. Oltre alle cagioni adesso descritte, favoriscono l'industria dei malfattori in campagna anche le condizioni topografiche. Il piccolo numero delle case rurali, il terreno nudo d'alberi, leggermente ondulato, permettono al malfattore di sorvegliare uno spazio estesissimo e di riconoscere da lontano così la forza pubblica dall'uniforme, come le persone ch'egli intende assalire, mentre non l'impediscono di nascondersi al bisogno dietro una piega di terreno. D'altra parte, non avendo egli stesso nulla che lo distingua dal pacifico cittadino in un paese dove niuna persona agiata gira la campagna senza schioppo, il vedere da lontano gli giova, l'esser visto non gli nuoce.

In mezzo a queste circostanze di fatto, che del resto non hanno nulla di esclusivamente siciliano, ed anche nella stessa Isola si presentano pure in altre parti, dove la sicurezza pubblica è perfetta, operano i loro effetti quelle condizioni che in una parte della Sicilia favoriscono l'industria dei malfattori. Ci rimane da descrivere sotto quali forme si manifestino, in siffatte circostanze, gli effetti di queste condizioni. E fra queste forme analizzeremo per la prima quella del brigantaggio come la più completa e la più perfetta. Il malandrinaggio verrà dopo.


§ 61. - I Briganti.

Il brigantaggio si distingue dalle altre forme dell'industria del malfattore in questo, che una banda di briganti ha un'organizzazione fissa, colla sua gerarchia di gradi espressamente definita, colla sua disciplina. Si compone di persone dedite alla professione del delitto violento in campagna ad esclusione di qualunque professione regolare anche apparente, insomma, tengono la campagna, per così dire ufficialmente. Ciò non toglie che ad una comitiva brigantesca non si aggiungano occasionalmente membri temporanei. Ma il nucleo della banda nelle circostanze ordinarie, si compone sempre delle medesime persone.

Il numero dei componenti una banda brigantesca, la necessità in cui sono di girar la campagna per lo più uniti, crea per loro dei bisogni, delle difficoltà e dei pericoli maggiori che quelli dei malandrini, i quali stanno isolati o si uniscono fra di loro o coi briganti solo occasionalmente. E non basta a togliere siffatti inconvenienti il sistema che hanno le bande di disperdersi momentaneamente il più spesso possibile. Ma d'altra parte, la salda organizzazione di ciascuna comitiva, le dà una potenza materiale e in conseguenza un'autorità morale, che fa molto più che compensare i sopraddetti inconvenienti, come apparirà da ciò che stiamo per dire del modo in cui esercitano la loro industria e delle loro relazioni colla popolazione.

Quando uno abbia stabilito la sua reputazione di uomo temibile con qualche delitto in cui abbia dato prova di coraggio o crudeltà; quando abbia acquistato sopra alcuni malfattori abbastanza autorità perchè si sottopongano alla sua direzione, e disponga di qualche intelligenza nella popolazione, ha tutti gli elementi della terribile potenza del capo-brigante: sta nelle sue qualità personali l'acquistarla, e acquistatala, il mantenerla. L'aver sotto di sè dei compagni, gli dà modo di essere informato di ciò che si fa e si dice, di far conoscere le sue intenzioni e di fare eseguire i suoi ordini e le sue vendette in più luoghi nel medesimo tempo, come pure di unire insieme i suoi uomini senza ritardi per le imprese difficili e pericolose. Se egli è capace di mantenere colla sua autorità personale la disciplina nella sua banda, se la sua mente e il suo carattere sono all'altezza della sua posizione, i potenti mezzi di cui dispone, lo pongono in grado di acquistare in breve tempo quella riputazione di onnipotenza e di invincibilità colle quali la sua autorità morale si stabilisce al punto di non aver rivali di nessun genere negli animi della popolazione. Dell'autorità e della forza pubblica non ha bisogno di preoccuparsi, perchè quando fra quelle e sè ha messo la popolazione, il pericolo che vien da loro è tanto remoto che quasi non esiste.

Il suo principale scopo deve essere di apparire sempre il più forte. E per questo, deve usare un finissimo tatto nella scelta degli alleati, dei neutri, dei nemici; trovar modo di essere sempre e prontamente informato di ogni atto, di ogni parola ostile e trarne vendetta pronta, crudelissima; colpire dieci innocenti pur di non lasciar sfuggire un colpevole. Deve, nel misurare e nel distribuire le offese disinteressare il più possibile chiunque si senta tanto potente o sia tanto ardito da non temere di vendicarsi. Deve per quanto sia possibile appoggiarsi sulla classe infima. Questa parte della politica brigantesca, è tanto importante per la prosperità dell'industria, che è diventata tradizionale, e fra i briganti e nella popolazione. La leggenda del brigante benefico passa di generazione in generazione, e non v'ha capo banda di vaglia che non colga qualche occasione di dotare una ragazza povera, o di pagare il debito a un contadino, o di rimproverare pubblicamente un suo sottoposto per aver svaligiato un povero mulattiere, e condannarlo alla restituzione. Ciò non l'impedirà di mangiarsi al bisogno egli e i compagni le capre o il maiale, unica fortuna di un pover'uomo, senza pagarli. Fu denunziato alla truppa il nascondiglio di una banda di briganti per vendetta di un fatto simile; ma il capo-brigante evita per quanto è possibile di farlo, e la cosa gli riesce facile, giacchè per poco egli abbia riputazione, le masserie dei grandi proprietari gli sono sempre aperte. Ad ogni modo, il brigante ha bisogno che si possa raccontar di lui qualche atto generoso, per dare al sentimento che ispira alla popolazione quel colorito superficiale consacrato dalla tradizione.

A misura che egli stabilisce la sua riputazione di onniscienza e di onnipotenza, quel sentimento che viene prodotto in Sicilia da ogni uomo che sappia farsi rispettare colla forza, ma che ha il suo tipo più perfetto in quello ispirato dal brigante, cresce e si conferma senza contrasto possibile. Imperocchè egli può sorvegliare ogni atto, ogni parola, quasi ogni pensiero di ciascuno; la rapidità e l'efficacia delle sue vendette non lascia il tempo di dare il benchè minimo principio ad un accordo per reagire. Per tal modo il pensiero della resistenza non ha nemmeno il tempo di nascere e non si affaccia nemmeno alle menti. Rimane negli animi l'impressione che la forza del brigante è ineluttabile al pari di quelle della natura. Ed è pur troppo un fenomeno costante della mente umana che, per essa, la forza ineluttabile per quanto dannosa e iniqua secondo le idee generalmente ricevute sulle relazioni fra gli uomini, è legittima ed in conseguenza è riconosciuta e rispettata spontaneamente. Tale è il fondamento del sentimento che il brigante ispira, e di cui cercammo di descrivere gli effetti nel capitolo primo. Sono accessorii gli altri elementi come le generosità intermittenti di cui parlavamo or ora, gli atti cavallereschi, intermittenti però anch'essi, come la fedeltà alla parola data, il rispetto a chi faccia prova di arditezza ec., ec.

Nè bisogna credere che malgrado i numerosi atti che contraddicono a queste azioni generose, i briganti le facciano sempre per calcolo. Spesso vi sono spinti senza ragionare da una specie d'istinto di conservazione. Inoltre, quel sentimento generale di cui abbiamo testè ragionato, che ha la sua origine nel rispetto della forza, ed assume la forma di simpatia per il tipo brigantesco leggendario, s'impone, per una specie di contagione morale comunissima, ai briganti stessi. Sono uomini fatti come gli altri e, come quello scultore che si prosternava davanti alla statua di Giove appena datogli l'ultimo colpo di scalpello, essi credono in sè stessi come crede in loro il rimanente della popolazione di ogni classe. Per un fenomeno analogo, quel colorito di simpatia che assume il sentimento del contadino pel brigante, e che nel contadino è giustificato dalla vista della propria miseria e della ricchezza del padrone e, fino ad un certo punto, dalle intermittenti generosità brigantesche, quel colorito, dico, si comunica anche al sentimento che prova il signore, per quanto in questo non abbia niuna ragione di essere. Il fondamento però è sempre l'impressione della forza ineluttabile del brigante, la quale s'impone a tutte le menti senza distinzione. Già parlammo nel primo capitolo del modo in cui in Sicilia, si sente generalmente parlare dei briganti. Del resto, quelli fra i nostri lettori che abbiano avuto occasione di parlare sul Continente con Siciliani della classe colta, saranno stati probabilmente colpiti del tuono di simpatica indulgenza, e talvolta di ammirazione, colla quale molti fra loro ne discorrono. Alcuni ne parlano in tal modo per interesse personale, perchè traggono guadagni diretti dal brigantaggio, ed hanno interesse che la opinion pubblica non si sollevi al punto di spingere il Governo a misure energiche. Molti lo fanno anche per amor proprio e patriottismo locale. Ma quasi tutti, abbiano essi o no altri moventi, lo fanno sinceramente, perchè dominati da quel sentimento di cui stiamo parlando. Quel proprietario che, richiesto per lettera dai briganti, di formaggi e di denari glie ne portava egli stesso il doppio del domandato, era sinceramente persuaso di fare un'azione bella e generosa, ed avrebbe creduto disonorarsi denunciandoli. E quei briganti agivano probabilmente, non per calcolo, ma per sentimento spontaneo quando, colpiti dall'arditezza e dalla generosità dell'atto, rifiutavano ogni cosa, anche ciò che avevano chiesto ed accettavano solamente alcuni formaggi, per mostrare che gradivano la cortesia. Nè si può dire che quel sentimento che i briganti ispirano spesso anche a coloro che li odiano, sia la simpatia ispirata da caratteri generosi perfino nei nemici. Non è mai stato considerato come atto generoso, od eroico, che noi sappiamo, il vendicarsi di un supposto denunciatore, uccidendo non solo lui, ma la madre e la sorella, e promettendo di uccidere anche i bambini alla prima occasione. Eppure questo fece nel 1876 a San Mauro il Rinaldi che, dopo la morte del brigante Valvo, era considerato in Sicilia come il rappresentante il più perfetto del tipo brigantesco. Il fondamento del sentimento ispirato dai briganti qualunque forma esso assuma, è, non potremmo ripeterlo troppo, il rispetto della forza, nel quale entra naturalmente come elemento principalissimo il timore. Tant'è vero che, quando sia stata dalla pubblica forza sgominata una banda, uccisi o presi i capi e i membri principali più temuti personalmente, i semplici gregari sbandati si vedono spesso rifiutare asilo e vitto perfino dai contadini.

Spiegata in tal modo, l'inaudita potenza dei briganti non ha più nulla che sorprenda; ed è naturale che un capo banda, nel territorio dove predomina, sia la sola autorità riconosciuta, faccia le parti e adempia gli uffici di un Governo regolarmente costituito. Invero, se da un lato riscuote una parte dei prodotti sotto forma di tasse più o meno regolari, dall'altro riserva questo diritto a sè solo, punisce qualunque attentato di un malandrino minore, non autorizzato da lui, con un'energia ed un'efficacia che non sarebbe mai raggiunta da un Governo costituito; e così, mantiene sotto la sua autorità un ordine pubblico relativo, più saldo di ogni altro, perchè fondato sulla forza effettiva.

Le sue relazioni colle persone dalle quali esige tasse, sono regolari e pacifiche quanto e più di quelle di un esattore delle imposte. Quando vuole oggetti o denari, li manda a chiedere all'uno od all'altro proprietario, spesso colle forme le più cortesi, ed il proprietario con forme non meno cortesi ottempera al suo desiderio. Egli per lo più non deve ricorrere per ottenere ciò che gli fa bisogno, nemmeno ad una mezza minaccia. Il brigantaggio si risolve dunque per i proprietari, nelle circostanze ordinarie, ad una tassa, piuttosto grave, ma fino a un certo punto regolare. I furti ingenti di bestiame, i ricatti clamorosi, sono, relativamente alle condizioni della pubblica sicurezza, piuttosto rari, quantunque possa sembrare a persone di altri paesi che si seguano con una rapidità spaventevole. Essi avvengono solamente quando i briganti siano in un bisogno straordinario, o abbiano a vendicarsi di qualche torto più o meno grave contro un proprietario, o quando si presenti un'occasione molto favorevole. Veramente, occasione favorevole è talvolta semplicemente la gran ricchezza del proprietario da ricattare. Per operare siffatti sequestri, si sono viste perfino delle alleanze temporanee fra le principali comitive brigantesche di Sicilia.


§ 62. - I malandrini.

I malandrini si possono dividere in tre categorie: quelli già ricercati dalla giustizia, e latitanti; quelli solamente sospetti e sorvegliati dalla polizia, finalmente quelli occulti, che menano vita regolare, e non sono nemmanco sospettati dall'autorità. A qualunque di queste tre specie appartengano, l'esercizio dell'industria, è per loro sotto certi rispetti più arduo, sotto certi altri più facile che per i briganti veri e propri. Difatti, per il latitante isolato, il nascondersi, lo sfuggire alle ricerche, il trovar ricovero e mezzi di sussistenza è molto più facile che per una comitiva di persone. Perciò è meno pericoloso per lui che per i briganti l'aver qualche nemico nella popolazione infima. Difatti, si ode di mulattieri e di povera gente svaligiata da malandrini molto più spesso che da briganti. Per il malandrino che, sorvegliato o no dalla polizia, mena vita apparentemente regolare in paese, non esiste la quistione di trovar ricovero sicuro e vitto nelle circostanze ordinarie. Ma d'altra parte il malandrino isolato non gode dei vantaggi che si assicurano vicendevolmente colla loro unità di azione il capo brigante e i suoi uomini; non ha l'autorità di questo sulla popolazione, nè i suoi mezzi per agire con prontezza ed energia. Ma questi danni sono compensati da vantaggi: se i mezzi d'informazione del capo brigante sono più estesi, quelli del malandrino sono più minuti. Salvo casi eccezionali, come quello del Rinaldi, un capo brigante non ha relazioni continuate colla popolazione di un centro abitato, come le hanno generalmente i malandrini isolati, che sono in grado di essere per tal modo informati più minutamente e più prontamente di ogni minimo accidente che li possa interessare. Ma ciò che contribuisce soprattutto alla potenza dei malandrini, è la loro stretta unione. Non staremo qui a ripetere il già detto sulla forma che le relazioni fra malfattori assumono spontaneamente in Sicilia. Osserveremo solamente che quelle fra i malandrini di provincia differiscono da quelle fra i malfattori di Palermo in questo, che mentre le speculazioni principali di quelli di Palermo, sono d'indole tale da generare spesso opposizioni d'interesse fra di essi, la grassazione, il ricatto e le altre speculazioni principali dei malandrini di provincia essendo invece scopo a sè stesse e mirando al vantaggio esclusivo dei malfattori come tali, non possono implicare opposizione d'interesse fra loro, e perciò rendono quasi sempre possibile la loro stretta unione non solo nel difendersi dall'autorità, ma anche nel compiere le singole operazioni. Le relazioni fra i malandrini di provincia di fronte a quelle fra i malfattori palermitani segnano dunque un passo nell'insensibile gradazione di sfumature che finisce per giungere all'associazione di malfattori nel senso dell'articolo 427 del Codice penale, e talvolta, portandolo le circostanze, ne assumono i caratteri veri e propri. Ad ogni modo, lasciando ora da parte i casi frequentissimi di unione fra più malandrini per una o più imprese particolari, l'unione fra quelli di ciascun vicinato fa sì che siano strettamente legati fra loro quando si tratti degli interessi della professione non solo contro i poteri costituiti, ma anche di fronte al pubblico in generale, e che tutti assumano le vendette di ognuno nell'interesse del mantenimento dell'autorità della intera classe sulle popolazioni. E le occasioni di eseguire tali vendette non mancano mai anche senza essere cercate, in un paese dove quasi ogni persona agiata deve di quando in quando girar la campagna per i suoi interessi. Non sapremmo citare in tal proposito fatto più caratteristico di quello già raccontato, di quei proprietari obbligati a fare ammenda onorevole presso la mafia di un paese per aver liberato colla forza un loro fratello sequestrato dai malandrini. La persona presa di mira dal malandrinaggio potrà scamparla una ed anche più volte con una difesa coraggiosa. Ma messasi una volta in guerra con lui è necessariamente vinta, a meno che mangi, beva, dorma, giri in campagna e in città in mezzo ad uno stretto cerchio di guardie armate e sicure, e badi a non passar pei luoghi dove si possa tirargli una schioppettata e poi avere il tempo di fuggire. Ciò spiega in parte, come un uomo solo con uno schioppo in una strada, faccia così spesso, metter faccia a terra anche a sette od otto persone; se pure questo fatto ha bisogno di spiegazione all'infuori di quella del contagio della paura e della demoralizzazione.


§ 63. - Speculazioni dei briganti e malandrini.

Con siffatti mezzi diversi nei particolari, uguali nelle caratteristiche fondamentali, i briganti e i malandrini assicurano la loro autorità sulle popolazioni, e per mezzo di questa, i loro mezzi di esistenza e le loro difese contro le ricerche della forza pubblica. Questa autorità dà agio ad essi di operare le loro speculazioni. I modi che tengono gli uni e gli altri sono, per la maggior parte di queste, simili. La lettera di scrocco, la grassazione, il sequestro di persona, l'assassinio puro e semplice si eseguiscono coi medesimi mezzi e nei medesimi modi da una banda di briganti, da due o più malandrini uniti momentaneamente in comitiva, e dal malandrino isolato. Tutti preparano il colpo dietro le informazioni avute, e per mezzo delle intelligenze che mantengono in paese, e si valgono talvolta di queste anche per compierli. Nei generi di speculazione adesso enumerati i briganti e i malandrini sono ugualmente in grado di non usare gli estranei che come complici molto secondari e principalmente per averne informazioni. Non è che spesso estranei non prendano una parte molto più importante ed all'esecuzione ed ai guadagni di siffatte operazioni; avremo luogo di parlarne fra poco. Ma tale loro partecipazione per l'indole stessa dell'operazione non è necessaria. Non così per l'abigeato. Le circostanze nelle quali si opera mettono il brigante in condizioni diverse da quelle del semplice malandrino. Il capo brigante, per il numero delle sue relazioni in varie provincie dell'Isola, può facilmente allontanare il bestiame rubato dal suo luogo d'origine, magari trattare con qualche commerciante in un porto di mare per farlo esportare. La sua autorità personale lo mette in grado d'imporre a qualche gran proprietario che lo riceva in deposito nelle sue tenute in mezzo ai suoi armenti. Potrà anche, se vorrà, trovare chi lo prenda a soccida. I gregari della banda si valgono del prestigio della loro qualità di brigante per rubare animali per conto proprio, e per trattare la restituzione mediante un compenso in denari. Il malandrino invece, quando non sia di quelli più temuti e che partecipano piuttosto della natura del brigante, non ha generalmente relazioni seguite all'infuori di una cerchia di territorio relativamente ristretta. Non può sempre far conto sull'aiuto dei colleghi per un interesse secondario come quello del furto di qualche capo di bestiame. In conseguenza, s'egli non ha occasione di venderlo, appena rubato, in qualche mercato o fiera, o se non si trova in circostanze specialmente favorevoli per farsi pagare la restituzione dal proprietario, egli è costretto a consegnare gli animali rubati a qualche proprietario o mercante di bestiame, che sia in grado di nasconderlo nei suoi fondi o di trasportarlo lontano, o di commerciarlo, o di adoperarlo nella coltura. L'indispensabile necessità del concorso di siffatte persone per la riuscita dell'abigeato commesso da un malandrino ordinario, fa sì che queste sono in grado di esigere una grande, se non la maggior porzione del provento dell'operazione. Difatti la parte principale in un gran numero di furti di bestiame è tenuta da proprietari o da mercanti che spesso non sono solamente soci nell'operazione, ma committenti e accomandanti.


§ 64. - La mafia nelle province.

Ma se le speculazioni fin qui enumerate sono le principali dei malfattori in provincia, non sono le sole. Non mancano anche in provincia occasioni di guadagno analoghe a quelle che sono gli oggetti principali dell'industria del malfattore in Palermo e dintorni, e per cagione di questa analogia sono generalmente qualificate per atti di mafia. Nel medesimo modo anche ai malfattori in Palermo e nei dintorni non mancano occasioni di commettere atti di malandrinaggio vero e proprio, come grassazioni, lettere di scrocco, talvolta anche ricatti. Solamente a Palermo come in provincia, i generi di speculazione secondari non essendo sufficenti ad assicurare guadagni continuati, non impiegano generalmente un personale a parte, ma sono occupazioni accessorie di quei malfattori, dei quali abbiamo descritto le caratteristiche principali. Essi in conseguenza traggono la loro forza e la loro autorità dall'esercizio delle speculazioni principali, adoperano poi questa loro forza nell'esercizio delle secondarie. Perciò, il malfattore di provincia, che eseguisce operazioni simili a quelle che fanno l'oggetto principale dell'industria dei facinorosi palermitani, avrà nonostante tutti i caratteri del malandrino; mentre viceversa il mafioso di Palermo e dintorni, anche quando compie atti di malandrinaggio, conserva le sue caratteristiche. Le varietà nell'industria dei malfattori in Sicilia, non si devono dunque, a nostro avviso, distinguere a seconda delle varie speculazioni, colle quali siffatta industria si pratica, bensì, a seconda della qualità delle persone che l'esercitano. E questa qualità stessa è determinata dalle varie circostanze locali, in mezzo alle quali queste persone la esercitano: da un lato, quelle di Palermo e dintorni, o di taluni altri centri di popolazione, in quanto le loro condizioni si ravvicinano a quelle di Palermo, e dall'altro, quelle delle province. Molto più, l'industria del brigantaggio ha a Palermo uno dei suoi principali centri d'informazione e di azione. A Palermo stessa si combinano molte delle operazioni di brigantaggio da commettersi nell'interno. A Palermo viene a finire buona parte del provento di queste. Insomma uno dei centri del manutengolismo vero e proprio, spontaneo e socio nei guadagni dell'industria, è Palermo. La cosa si spiega facilmente dall'esser questa città soggiorno per buona parte dell'anno di molti importanti proprietari delle terre percorse e dominate dai briganti, centro considerevole di affari e di ricchezze, finalmente sede d'importanti amministrazioni civili, giudiziarie e militari, sui procedimenti e intenzioni delle quali i malfattori hanno necessità di essere minutamente informati, e colle quali hanno continuamente bisogno di avere mezzi di contatto e d'influenza. Queste intime relazioni con Palermo non tolgono però all'industria dei malfattori di provincia i suoi caratteri speciali, nel medesimo modo che una società per la costruzione di ferrovie, o l'escavazione di miniere nell'America Centrale può avere la sede principale della sua amministrazione e dei suoi interessi pecuniari a Londra, senza diventare perciò una società bancaria o commerciale. L'essere generalmente invalso l'erroneo criterio delle varie specie di speculazioni, per distinguere le varie specie dell'industria facinorosa, si spiega facilmente. Fra i diversi modi nei quali si esercita l'industria dei facinorosi in Sicilia, quelli che hanno prima e più d'ogni altro colpito le menti di chi riflette, parla e scrive dentro e fuori dell'Isola, sono da un lato il brigantaggio e il malandrinaggio, dall'altro i fatti che avvengono a Palermo. Di modo che, da una parte fu dato, e a buon diritto, il nome di brigantaggio e malandrinaggio agli atti simili a quelli che sul Continente erano designati con questi nomi. E dall'altra parte, invalsa nell'uso comune (sempre indeterminato e inesatto) la parola mafia (nel suo significato volgare ed improprio) per designare genericamente gli atti di qualunque specie coi quali si esercita l'industria dei facinorosi in Palermo e dintorni, venne naturalmente fatto di applicare il medesimo nome a quelle speculazioni dei facinorosi in provincia, che avevano una somiglianza formale con quelle di Palermo. La similitudine del nome genera naturalmente nelle menti l'idea della similitudine della cosa, e così accade che a prima vista nasca nella mente, se non il pensiero, almeno l'impressione che in provincia le speculazioni analoghe a quelle che costituiscono l'oggetto e il guadagno principale dei malfattori di Palermo, e per la loro natura e per le persone che praticano, siano una cosa distinta dal brigantaggio e dal malandrinaggio, e si confondano con l'industria della mafia palermitana, mentre è vero precisamente il contrario. Posta la distinzione fra i facinorosi della città e dell'agro palermitano da un lato, e quelli di provincia dall'altro, senza pretendere di trarre fra le due categorie una linea di demarcazione che non esiste, se ricerchiamo una caratteristica costante che le distingua, troviamo la seguente cui già accennammo. In provincia l'unione fra i malfattori di un territorio per i loro fini immediati esiste quasi sempre, a Palermo no. Le rivalità e le lotte che talvolta avvengono fra bande brigantesche, sono fatti accidentali, che non mutano nulla ai caratteri generali, giacchè nella popolazione dei malfattori, il brigante è l'eccezione, e il malandrino la compone quasi esclusivamente. La necessità già dimostrata di questa unione nei fini immediati per i malandrini fa sì che, anche quando si adoperano nelle relazioni fra le persone estranee alla loro classe, i malandrini di un dato territorio, si mantengono quasi sempre uniti. Il che è, del resto, reso loro molto facile come lo esporremo or ora per l'indole delle relazioni sociali nella maggior parte dei paesi di provincia, dove non esiste gran varietà d'interessi di forza uguale, ma predomina l'interesse di uno, di due, o tutt'al più di tre gruppi di persone.

Questa differenza tra Palermo e le province, insignificante a prima vista, genera una diversità importantissima nei costumi dell'una e delle altre. Difatti, a Palermo, come già lo osservammo, il solo interesse comune che leghi insieme i facinorosi in modo costante, è la conservazione della loro classe come tale, in altri termini la sicurezza nell'esercizio della violenza, qualunque sia il fine al quale è diretta, contro le forze intese a sopprimerla in genere. Le regole di condotta prevalse nella classe dei facinorosi e da loro imposte materialmente o moralmente al rimanente della popolazione, sono quelle che per la natura delle cose hanno efficacia per tutelare l'esercizio della violenza, e, come tutte le altre che hanno carattere sociale, fanno astrazione dagli interessi momentanei ed immediati degli individui, anzi, sono spesso in contraddizione con quelli. Laonde il codice dell'omertà, in Palermo, non ammette eccezioni, e ne soffre nel fatto poche. In provincia invece, l'interesse della classe violenta s'identifica e si confonde con quello di determinate persone. In conseguenza l'interesse, la cui forza predomina, ed il quale per ciò si impone materialmente e moralmente a tutta la popolazione, è quello di determinati individui, che hanno fra di loro interessi comuni, oppure sono divisi in due, o tutt'al più, in tre campi avversarii. Chi adopera la violenza per reagire contro coloro che predominano, se riesce ad avanzarli di forza, piglia il loro posto, se rimane più debole, è vinto e distrutto. Chi adopera le sole leggi, rimane inevitabilmente più debole e ugualmente distrutto, e, se vien dai vincitori dichiarato infame, è per un di più. In conseguenza, ognuno, nella lotta, può usare a suo piacere, in aiuto alla violenza anche le leggi, senza rischio di dar di cozzo contro l'ostacolo fisso ed immutabile della consuetudine e dell'opinione pubblica. Perchè non vi sono altri violenti per reclamare e sancire a nome di un interesse di classe l'applicazione del codice dell'omertà, all'infuori dei componenti e aderenti del partito contrario. Il quale, se sarà più forte, potrà anche darsi il lusso di dichiarare i vinti infami, ma, in fin dei conti non farà che una sola vendetta e per le loro violenze, e per le loro insidie legali; e se sarà vinto, non avrà alcuna influenza sull'opinione pubblica. Sicchè il codice dell'omertà non è sicuro di essere rispettato che nei casi, non molto frequenti, di lotte fra malfattori di mestiere. Non abbiamo ormai bisogno di spiegare il perchè. In conseguenza, nelle province, le regole dell'omertà, non si sono imposte all'opinione pubblica che in quanto giovano ai più forti; valgono a favore di questi, non contro di loro. Lo prova il fatto molto caratteristico già da noi citato, non di una denuncia, ma di una calunnia giudiziaria commessa dal vero colpevole, uomo temuto, a danno di un meschino impiegato del macinato, colla complicità del silenzio di un'intera popolazione. Lo prova anche meglio l'andamento dell'istruzione del processo cui diede luogo quell'omicidio. Finchè l'istruzione rimase in mano del pretore locale, per la fiaccona o per la poca autorità di questo, o per altre cagioni, gli indizi e le prove si accumulavano addosso all'innocente. Appena l'autorità superiore, avvisata, si mise in moto, mandò sul luogo il sotto-prefetto, il procuratore del re fece sentire che anch'essa era forte, sorsero per incanto le testimonianze a carico del vero colpevole. Del resto senza citar casi tanto estremi, accadono ogni giorno fatti, i quali provano che in provincia, il codice dell'omertà non ha fatto presa sull'animo delle popolazioni nel grado medesimo che a Palermo, e che soffre numerose eccezioni. I ladruncoli che non sono stati ancora buoni ad uccidere uno, sono dai proprietarii denunciati all'autorità, mentre o un brigante, o un malandrino temuto, può, meno rare eccezioni, uccidere chi gli pare senza pericolo di denunzia, neppure per parte dei prossimi parenti della vittima. L'unica volta, crediamo in cui contro il famoso brigante Angiolo Pugliese sia stato, innanzi al suo arresto, presentato lamento all'autorità, fu prima che egli si fosse dato all'esercizio del brigantaggio in Sicilia. E fu portato lamento per la detenzione di un cavallo prestatogli dal proprietario stesso, e che egli, nella sua confessione dichiara non avere avuto intenzione di rubare(107). Va pure citato il fatto seguente: due partiti si combattevano in un Comune. Un membro dell'uno fu ucciso, per opera dei capi del partito opposto, credettero i congiunti della vittima; i quali da una parte tentarono di fare uccidere alcuni di quel partito, dall'altra porsero querela contro i suoi caporioni accusandoli di mandato per omicidio. E ciò senza scandalizzare punto l'opinion pubblica. Fra le infinite forme colle quali si esercita in provincia la mafia, parleremo di una sola, di quella cioè che è caratteristica delle condizioni delle campagne siciliane, dove fiorisce l'industria dei malfattori. Vogliamo parlare della protezione delle proprietà e fino a un certo punto anche delle persone, che del resto si esercita da essi anche in Palermo, ma più nelle campagne dell'interno dell'Isola. In un paese dove la classe dei malfattori ha l'importanza che ha in Sicilia, e dove l'autorità pubblica non ha o non usa forza sufficiente per distruggerla, bisogna pure che si trovi un modus vivendi fra essi ed i privati. Il quale, del resto, giova agli uni come agli altri; perchè se i malfattori usassero fino all'estremo la loro facoltà distruttiva, mancherebbe loro ben presto la materia rubabile. Essi sono in grado d'intenderlo, perchè la loro industria, stabile e regolare da tanti anni, ha tesori di esperienza e di tradizioni, e permette a coloro che la praticano di capire in quali condizioni possa sussistere e prosperare. È dunque invalso un sistema di transazioni e quasi diremmo di tassazioni regolari per parte dei malfattori, il quale pur lasciando luogo a molti disordini, nonostante è più tollerabile che uno stato di guerra aperta e continua. Una delle forme principali di queste transazioni è l'accollo preso dai malfattori stessi della protezione delle cose e delle persone. Già accennammo il modo con cui i capi briganti potenti fanno a proprio profitto le parti di un governo regolare. Ma tal sistema è eccezionale, come è eccezionale nell'industria dei malfattori la forma del brigantaggio. Più generalmente, alcuni fra i malfattori assumon ufficialmente le funzioni di guardiani della sicurezza delle cose e delle persone non solo dai privati, ma anche dai Comuni e perfino dal Governo. Limitandoci per adesso a parlare dei primi; senza ritornare qui sul già detto intorno all'importanza del campiere facinoroso nell'economia agraria siciliana(108), osserveremo solamente che ciò che fa di questi campieri una istituzione caratteristica ed attissima a dare un'idea netta delle condizioni siciliane, è il fatto che sono in provincia uno dei principali fra gl'infiniti modi delle relazioni continue fra i malfattori di mestiere e le classi agiate e ricche. Cercheremo adesso di analizzare codeste relazioni.


§ 65. - Relazioni fra i malfattori di mestiere e le classi agiate e ricche della popolazione. Molte delle cose dette su questo argomento a proposito di Palermo, si possono applicare anche alla provincia. Ma rimangono da aggiungere molti particolari determinati dalla differenza delle circostanze, e che sono atti a dare un'idea sempre più chiara delle condizioni sociali e morali di Sicilia. Già accennammo(109) come sia impossibile ritrarre dalla semplice osservazione delle relazioni fra cittadini e malfattori, le cagioni dell'impotenza di quelli contro questi. Ci lusinghiamo che l'analisi ormai fatta delle condizioni sociali dell'Isola avrà dato modo al lettore di spiegarsi quali sieno queste ragioni. Quell'analisi medesima ci permette adesso di ragionare con vera cognizione di causa di queste relazioni, e di renderci chiaramente conto del fenomeno del manutengolismo esercitato dalle classi abbienti.

Colui che volesse giudicare il manutengolismo siciliano ed apprezzarne la moralità od immoralità coi criteri ammessi nei paesi dell'Europa centrale, generalmente considerati come in istato normale, si ingolferebbe in una confusione inestricabile di equivoci, dove la sua mente si perderebbe inevitabilmente, e finirebbe o coll'abbandonare la questione come insolubile, o col portare un giudizio parziale ed avventato. In Sicilia, la distinzione fra il manutengolismo moralmente scusabile perchè imposto dal timore di un danno grave, e quello moralmente condannabile perchè provocato dal desiderio di avvantaggiarsene, non ha significato. Tenga in mente il lettore che si tratta qui di un paese dove il criterio del diritto è la forza, dove per circostanze speciali, una classe di malfattori è venuta in possesso di una forza considerevole, e dove in conseguenza le azioni dei malfattori non sono considerate come delitti dal senso giuridico dell'universale, come già cercammo di dimostrarlo, e come lo prova specialmente il già descritto sentimento ispirato dai facinorosi alle popolazioni. Le condizioni di fatto che hanno prodotto nei Siciliani questo modo di sentire il diritto, sussistono ancora, e per tal modo uno dei principali mezzi di promuovere od anche di tutelare i propri interessi materiali e morali (parliamo qui di una porzione della Sicilia) è la forza, cioè i malfattori. Da ciò resulta che, negli animi dei cittadini non è legato il concetto d'immoralità coll'atto di valersi di quelli. Manifestamente, in una siffatta condizione degli animi e delle cose, l'usare i malfattori piuttosto per difendere che per avvantaggiare i propri interessi potrà dipendere da una infinità di cause secondarie, come il carattere più o meno intraprendente di una persona o da circostanze indipendenti dalla volontà umana, o dalle occasioni. Ben più, l'essere amici o nemici dei malfattori potrà dipendere, da una questione avuta con loro per caso, da un malinteso, da un calcolo di tornaconto più o meno falso, ma non da una diversità di concetto sul valore morale della violenza in generale e degli atti dei malfattori in particolare. Tutte le specie di relazioni coi malfattori sono moralmente lecite in modo uguale. Insomma le condizioni di fatto della Sicilia non permettono l'esistenza di un criterio per distinguere il manutengolismo lecito, perchè forzato. Non è che le teorie giuridiche importate da altri paesi non abbiano colpito le menti di molte persone, e che queste non abbiano accettato il concetto dell'immoralità e dei malfattori. Ma, nelle condizioni attuali, l'opera dei malfattori è così inestricabilmente mescolata colle relazioni sociali, che queste persone non hanno scelta che fra accettar quella o rinunziare a queste. Ed allorquando, (il che accade nella quasi totalità dei casi), non vogliono o non possono scegliere la seconda delle alternative, il concetto dell'immoralità della violenza e dei malfattori rimanendo per loro una teoria contraddetta ad ogni momento dalla pratica della vita, finisce per perdere il suo significato, e rimanere solamente una frase che intendono genericamente e in modo vago, ma senza legame alcuno coll'indirizzo delle loro azioni. Nè può essere altrimenti, giacchè, data la potenza e l'autorità che hanno adesso i malfattori, chi è con loro in relazioni anche necessarie non può nelle circostanze ordinarie, per quanto abbia tutto un catechismo in testa, provare per essi quella ripulsione dalla quale è nell'animo umano costituito il sentimento dell'immoralità di una persona o di una cosa. Perchè, se uno di cui riconosciamo la forza superiore ci risparmia un danno che potrebbe farci, il sentimento che naturalmente proviamo per lui, è la gratitudine e in conseguenza la simpatia, e non ci viene in testa di pensare ch'egli ha semplicemente fatto il suo dovere. Parimente, se ci vien risparmiato un danno che nulla impediva ci fosse fatto, in che differisce il sentimento che proviamo, da quello che proveremmo se ci fosse addirittura recato un vantaggio? La distinzione fra il danno evitato e il vantaggio recato è fino ad un certo punto artificiale. È giustificatissima quando, prevedendo una gran massa di fatti, si dividano questi all'ingrosso in due categorie. Prendendo i casi estremi, la differenza fra il danno evitato e il vantaggio recato non lascia dubbio nella mente, ma la linea che li divide è impossibile a determinarsi, o piuttosto non esiste nel sentimento umano. Da tutto ciò risulta che in un proprietario delle province di Sicilia infestate dai malfattori, il quale viva della vita ordinaria, non può nascere sentimento di antipatia per i malfattori, meno il caso di gravi danni od insulti ricevuti, e che ancor quando egli voglia sottoporre la sua condotta ad una regola per così dire, meccanica, e transigere coi malfattori solamente per evitare danni, e non per acquistar vantaggi, egli non è in grado di stabilire fra l'una e l'altra cosa una linea di demarcazione nella sua mente. Inoltre, dove i malfattori intervengono e dominano gran parte delle relazioni sociali, quella distinzione fra danno evitato e vantaggio recato che non esiste nelle menti, neppure esiste nel fatto, e d'altronde, l'atto medesimo che salva dall'inimicizia dei malfattori, può recare la loro amicizia con tutti i vantaggi che ci sono inerenti, senza che a procurarli intervenga il fatto di nessuno. Citeremo degli esempi a chiarire o confortare le nostre asserzioni. Se un brigante temuto, già stato campiere, rispetta i beni del suo antico padrone mosso da un sentimento di deferenza, naturale sopratutto in Sicilia, non si potrà certamente imputare a delitto al proprietario se si lascia rispettare, se approfitta della libertà di girare sicuro gratuitamente le campagne. Ma se questa amicizia gli procura il rispetto altrui, che colpa ne ha esso? Potrassi nemmeno rimproverargli, se tollera, senza trarne guadagno, che quel brigante ricoveri nei suoi fondi il bestiame rubato? Opponendosi, non otterrebbe nulla e se ne farebbe un nemico. E se pure in fondo in fondo quel proprietario provasse un sentimento di gratitudine per quel brigante che potrebbe nuocergli senza pericolo, anzi con suo guadagno, e non lo fa, un tale sentimento nelle circostanze in cui si trova la Sicilia, non solo sarebbe naturale ma anche segno di un'anima ben nata. Chi potrà dire il punto dove i proprietarii finiscono di favorire il malfattore per timore della sua inimicizia e principiano a farlo nella speranza di trar vantaggio dall'amicizia sua? Nessuno, e nemmeno i proprietari stessi. Una volta ottenuta la loro sicurezza con questa preziosa amicizia, è naturale, che presentandosi l'occasione di valersene e compensarsi per tal modo, delle gravi spese che è loro costata, ne approfittino. Trovano la forza bell'e pronta a loro disposizione, come potrebbero non usarne? Molto più che, giova ripeterlo, l'usarne, in Sicilia non è ritenuto disonorante.

I proprietari sono costretti a favorire i briganti non solo in modo negativo fornendo loro ricovero e mezzi di sussistenza, ma talvolta anche positivo, dando armi ed anche informazioni utili al successo delle loro imprese. Taluno diventato per siffatta via amico loro per non averli nemici, otterrà, dall'influenza in tal modo acquistata, guadagni indiretti d'ogni specie. Diremo più. Quelle persone che, impadronitesi di un Comune, arruolano nelle guardie campestri i facinorosi dei dintorni, certamente acquistano con ciò grandissima autorità morale. Inoltre hanno i loro fondi ben guardati mentre sono saccheggiati quelli di chiunque altro. Ma d'altra parte è probabilissimo, per non dire certo, che se quei malfattori fossero stati lasciati a sè stessi, avrebbero fatto i danni medesimi che fanno adesso, più quelli che risparmiano a chi l'impiega. Malgrado tutto ciò, in molti Siciliani l'impressione delle teorie giuridiche di altri paesi, rinnovata ogni giorno dalla lettura di giornali, talvolta anche di libri, rimane abbastanza profonda; e senza portarli a fare una distinzione impossibile fra manutengolismo forzato o no, pure è cagione che vi sia in loro una tendenza a non adoperare i malfattori senza necessità o almeno a non trarre guadagno pecuniario diretto dalle relazioni con essi combinando insieme con loro atti di brigantaggio e dividendone il provento. Ciò non impedisce certamente ad essi di usare quel mezzo, spesso solo valevole a profitto delle loro ambizioni, dei loro odii ed anche negli affari d'indole economica. E le occasioni di usarlo sono tanto più frequenti, che, per la quasi assoluta mancanza d'industria e di commercio, il solo campo aperto all'attività o al desiderio di guadagni è quello delle gare locali da un lato, e dall'altro, degli accolli di lavori ed altre speculazioni simili, dove la riescita consiste nell'allontanare i concorrenti, al quale scopo l'intimidazione e in conseguenza l'alleanza dei malfattori è mezzo efficacissimo.

Del resto, la ripugnanza ad adoperare i malfattori cresce in proporzione dell'impressione ricevuta dalle teorie giuridiche di fuori, o semplicemente dal sentimento acquistato nel praticare in altri paesi ed in altri ambienti. Vi sono perfino taluni, che per aver soggiornato molto all'estero, e studiato nei libri o servito nell'esercito, provano ripugnanza tale per il genere delle relazioni sociali siciliane che, quando sono in grado di farlo, rimangono sistematicamente fuori di tutto il giro degli affari pubblici e privati, od anche vanno a stabilirsi sul Continente, o per lo meno vi stanno buona parte dell'anno. Peraltro quelle persone stesse contribuiscono indirettamente all'ordine di cose esistente per mezzo delle loro proprietà che sono in mano di fattori o di fittaiuoli, gente simile alla generalità della popolazione. Ma sono pur molte in Sicilia le persone, sulle quali le teorie giuridiche del Continente non hanno fatto punto presa, e per le quali non esiste distinzione alcuna fra l'approfittare dei malfattori direttamente o indirettamente, a vantaggio della propria ambizione o del proprio patrimonio. Il provento di molti ricatti e di molte grassazioni finisce in gran parte nelle tasche di siffatte persone. A qualunque di queste categorie appartengano i Siciliani che hanno relazione coi malfattori, è impossibile apprezzare queste relazioni coi criteri morali in vigore in altri paesi. Qualunque popolo nelle medesime circostanze farebbe lo stesso. Queste relazioni dureranno e non si potranno considerare come condannabili al punto di vista della morale astratta finchè durerà la forza dei malfattori. D'altra parte però i malfattori continueranno ad essere i più forti e si potranno difficilmente distruggere finchè dureranno le relazioni fra loro e i cittadini. Siamo in un circolo vizioso. Se non che abbiamo parlato fino adesso dell'imputabilità del manutengolismo ai Siciliani dal punto di vista della morale astratta, non dell'utilità che può trovare lo Stato italiano a distruggere la potenza dei malfattori siciliani. L'una cosa non ha nulla che fare coll'altra, e quando lo Stato giudichi importare all'interesse pubblico di sopprimere i facinorosi, e per giungere a ciò d'impedire gli atti che ne favoriscono l'esistenza, potrà definire, per quanto la confusione dei fatti lo permette, quegli atti, e sottoporli a sanzione penale. Ma questa è quistione di tornaconto politico, non ha nulla che fare coll'apprezzamento della moralità di un individuo o di una popolazione. Certamente, una sanzione penale regolarmente ed efficacemente applicata, contribuisce potentemente a modificare il senso giuridico di una popolazione, soprattutto in quei luoghi, dove il senso giuridico è solito uniformarsi alla forza. Ma dato che il manutengolismo siciliano si possa nel fatto colpire con sanzioni penali, quando si fosse realmente modificato per mezzo di un codice criminale il senso giuridico di quelle popolazioni, non bisognerebbe pretendere di averle moralizzate. Si sarebbe solamente sostituita la forza di un codice a quella dei prepotenti e dei malfattori, e il senso giuridico della popolazione si sarebbe uniformato alla volontà di quello, nel medesimo modo e per le medesime ragioni che adesso si uniforma alla volontà di questi. Il caso, o, ad ogni modo, circostanze indipendenti dalla volontà della popolazione, avrebbero fatto sì che le regole imposte da quel codice fossero conformi a taluni principii qualificati per morali da taluni popoli, che ritengono sè stessi per civili, ma nulla più.


§ 66. - Come il Governo non possa usare l'opera dei Siciliani per distruggere i malfattori in Sicilia.

Da tutto ciò risulta che, se lo Stato italiano giudica opportuno di distruggere la forza dei malfattori e della violenza dove predominano in Sicilia, e sostituirvi quella delle sue leggi, la prima condizione per riescire è di non usare l'opera degli abitanti nel ricercare e combattere gli attuali malfattori, se non in quanto possono essere istrumenti ciecamente ubbidienti; e di non seguire i loro consigli intorno alla scelta dei provvedimenti atti ad impedire i malfattori di ripullulare una volta distrutti. Difatti, lasciando da parte le classi inferiori e limitandoci a ragionare di quella abbiente, non si può chiedere l'opera di coloro che per ottener guadagno o per evitar danni sono in relazione coi malfattori, poichè queste relazioni stesse, ne abbiano essi o no coscenza, sono il primo ostacolo alla distruzione di quelli, ed impediscono soprattutto qualunque unione che si volesse far nascere fra i cittadini contro i facinorosi. Nè manco si possono sperare da questa categoria di persone buoni consigli intorno ai provvedimenti generali e stabili atti a mantener l'ordine; perchè, quantunque molte di esse siano tali da dare il loro avviso col fine sincero di raggiungere l'oggetto proposto, pure non possono conoscere i rimedi opportuni, essendo incapaci di sottrarre le loro menti all'influenza dello stato sociale che le assorbe per tutti i lati. Riguardo a coloro che, ripugnanti dalle condizioni Siciliane si tengono fuori dal giro degli affari e delle ambizioni, l'opera loro poco può giovare, perchè, rinunziando ad usare le vie comuni, hanno rinunziato alla influenza ed in genere ai mezzi di azione. E son pochi tra essi coloro dei cui consigli si può far profitto, perchè, quantunque provino un sentimento negativo di ripulsione per l'attuale stato del loro paese, pur ben pochi hanno dottrina ed ingegno sufficente per rendersi conto di ciò che dovrebbesi sostituire a questo per rimediarvi.

Rimangono coloro che sono per caso in lotta coi malfattori. Sul loro aiuto per perseguitare questi non si può far conto per cagione dell'impotenza già tante volte accennata, dei privati contro i malfattori. In quanto ai loro consigli, già dicemmo che per il massimo numero di essi l'essere in lotta coi malfattori è quistione, per così dire, di caso fortuito, e non è segno che vi sia differenza alcuna fra il loro stato di mente e d'animo, e quello degli alleati più fedeli dei facinorosi. Saranno pronti ad unirsi coll'autorità pubblica, a suggerirle rimedi, anzi a chiederglieli. Ma saranno quei rimedi soli che le loro menti siano atte a concepire. Insomma, chiedono forza brutale in loro servizio, e nulla più. Ora l'esperienza dimostra che se il Governo non vuol subire esso stesso il contagio delle condizioni dell'Isola invece di guarirlo, se non vuol diventare in Sicilia una mafia di più, esso non può ricorrere per governarla ad altra forza che a quella propria degli Stati d'indole moderna: Una legge comune a tutti e uguale per tutti. Per ciò, esso non può valersi in Sicilia dei suggerimenti nè dell'appoggio morale dei più acerbi nemici della classe facinorosa. Questi non provano quel sentimento sociale, il quale è cagione che si chieda alla autorità pubblica non solo di salvarci da' danni immediati, ma d'impiegare salvandoci modi tali, che ci assicurino che essa non potrà mai in nessun caso anche lontano, usare a nostro danno quella forza che adesso adopera a nostro vantaggio. Insomma, non provano il bisogno delle garanzie che sono fondamento di quelle forme legali, cui nelle società moderne si sottopone la forza sociale, anche nelle sue manifestazioni violente. Aspettano dal Governo quel medesimo aiuto che altri aspetta dalla banda brigantesca o dalla mafia, colla quale è amico. Quel che sentono dire di altri paesi, influisce certamente sulla loro mente e ha modificato le loro idee in questo senso, che vedono esser vantaggioso che l'ordine pubblico sia mantenuto, e i suoi interessi protetti dalla forza del Governo, piuttostochè dalla tale o tal'altra forza privata; ma non ne capiscono il perchè, nè concepiscono come la forza sociale debba procedere con criteri differenti da quella privata, e tener conto non di un interesse solo ma di tutti, anche a costo che quel singolo interesse non riceva tutta la soddisfazione alla quale avrebbe diritto. Nulla può dare idea della sorpresa o del disinganno che cagiona il sentire persone della classe relativamente colta, della classe che ha in mano il governo del paese, la cui opinione esercita influenza sul Governo centrale, le quali, dopo aver promesso la tanto cercata e tanto desiderata soluzione del problema della pubblica sicurezza siciliana, vengono fuori con proposte d'arbitrii, e nient'altro che arbitrii puri e semplici senza regola nè misura, senza nemmeno la garanzia, nelle persone cui siano affidati, dell'intelligenza e dell'onestà, del sentimento del diritto e dell'interesse generale. Avremo più tardi luogo di studiare la quistione se sia mai ammissibile per parte dell'autorità pubblica in Sicilia l'agire senza assoggettarsi alle forme legali. Certo è che quando pure si possa ammettere l'arbitrio in via transitoria, straordinaria ed eccezionale, questo dovrebbe esser circondato da garanzie, soprattutto informato nel suo esercizio ai criterii di quegli interessi sociali dei quali la generalità dei proprietari colti, specialmente dell'interno della Sicilia non sospetta neppure l'esistenza. Intendasi bene che qui parliamo della generalità, non della totalità dei proprietari siciliani. Le eccezioni sono numerose, ma non abbastanza perchè il carattere generale nel modo di sentire della classe alta e media in Sicilia non sia quale lo abbiamo descritto. Insomma, la società in Sicilia è in quello stadio stesso nel quale era in Firenze quando le sentenze del podestà o del gonfaloniere di giustizia contro quei grandi che avessero commesso delitti erano eseguite popolarmente colla distruzione delle loro case. Con questa differenza però, che in Sicilia non esiste quel Popolo, il quale non era altro che la classe media, industriale e commerciante, la classe che aveva interesse al mantenimento di quell'ordine pubblico relativo che comportavano i tempi, per modo che dalle sentenze del podestà o del gonfaloniere di giustizia, veniva tutelato il suo interesse, come nel suo interesse e per la sua volontà era stato creato l'ufficio del podestà stesso.

Da tutto ciò che precede risulta quanto abbiano torto così quelli che dicono i Siciliani tutti complici e manutengoli volonterosi dei malfattori, come pure quelli che li dichiarano tutti vittime innocenti. Risulta soprattutto quanto sia senza fondamento il giudicare il popolo siciliano più immorale di altri. Non esiste fatto alcuno che dia diritto di affermare che nella popolazione dell'Isola siano in proporzione diversa che altrove quegli elementi psicologici che in una società di tipo moderno spingono gli uomini a quegli atti i quali, secondo i criterii di siffatta società, si qualificano per buoni o per cattivi. Solamente, i medesimi elementi psicologici, producono nelle diverse condizioni di società, atti diversi. La radice dell'errore, sta nel non intender questo. Si mutino prima in Sicilia le condizioni sociali, si assimilino a quelle delle società che si prendono per tipo quando si giudica la Sicilia, si sostituisca insomma la forza della Legge alla forza privata, ed allora solamente si avrà il diritto di chiedere ai Siciliani di contribuire all'ordine pubblico, e di chiamarli immorali se non lo fanno. Ma finchè una forza estranea all'Isola non le avrà fatto subire siffatta trasformazione, il volere che in una Società medioevale prevalgano gli stessi criteri dell'ordine e del disordine, del giusto e dell'ingiusto che in una Società moderna, è inammissibile; la esigenza è ingiustificabile e il giudizio assurdo. D'altra parte non è meno ingiusto il chiedere alle forze esistenti in una Società medioevale, che esse in Sicilia operino su di sè stesse in un breve giro di tempo quelle trasformazioni che nel rimanente d'Europa hanno richiesto parecchi secoli. La forza che trasformi in poco tempo le condizioni della Sicilia per la pubblica sicurezza come per il resto, deve dunque venire di fuori, cioè dal Governo. Dunque, fintantochè il Governo si appoggerà sugli elementi locali e s'ispirerà da loro per stabilire l'ordine pubblico in quelle parti dell'Isola dove manca, l'opera sua sarà miseramente inefficace, se pure non sarà nociva.