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Dalla Terra alla Luna/Capitolo XIV

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Capitolo XIV

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Jules Verne - Dalla Terra alla Luna (1865)
Traduzione dal francese di C. o G. Pizzigoni (1872)
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ZAPPA E CAZZUOLA.

La sera stessa di quel giorno Barbicane ed i suoi colleghi rientravano a Tampa-Town, e l’ingegnere Murchison rimbarcavasi nel Tampico per la Nuova Orleans. Egli doveva arruolare un esercito d’operai, e trasportare la maggior parte del materiale. I membri del Gun-Club rimasero a Tampa-Town per regolare i primi lavori, valendosi degli uomini del paese.

Otto giorni dopo la sua partenza, il Tampico ritornava nella baia Espiritu-Santo con una flottiglia di battelli a vapore. Murchison aveva riunito millecinquecento operai. Nei cattivi giorni della schiavitù avrebbe speso inutilmente denaro e fatica. Ma da che l’America, la terra della libertà, non contava più che uomini liberi nel suo seno, questi accorrevano dovunque li chiamasse un lavoro largamente retribuito. Ora non mancava il danaro al Gun-Club; esso offriva ai suoi uomini una grossa paga, con gratificazioni considerevoli [p. 121 modifica]e proporzionali. L’operaio arruolato per la Florida poteva contare, a lavoro compiuto, sopra un capitale deposto in suo nome alla banca di Baltimora. Murchinson non ebbe dunque che l’imbarazzo della scelta, e potè mostrarsi severo sovra l’intelligenza e l’abilità de’ suoi lavoratori. È dunque lecito ritenere ch’egli abbia compresi nella sua laboriosa legione il fiore dei meccanici, dei fochisti, dei fonditori, dei fornaciai di calcina, dei minatori, dei mattonieri e dei manovali d’ogni specie, neri o bianchi, senza distinzione di colore. Molti di costoro erano in compagnia della famiglia. Insomma pareva una vera emigrazione.

Il 31 ottobre, alle 10 di mattina, tutto questo esercito sbarcò sulle spiagge di Tampa-Town; comprendesi il movimento e l’attività che regnarono nella piccola città, di cui raddoppiavasi la popolazione in un solo giorno. Infatti, Tampa-Town doveva avvantaggiare assai con questa iniziativa del Gun-Club, non pel numero degli operai che furono diretti immediatamente sopra Stone’s-Hill, ma in virtù dell’affluenza de’ curiosi che conversero a poco a poco da tutti i punti del globo verso la penisola floridiana.

Durante i primi giorni, principale occupazione fu di scaricare tutti gli arnesi portati dalla flottiglia, le macchine, e i viveri, come pure un gran numero di case di latta fatte di pezzi staccati e numerati. Nello stesso tempo Barbicane piantava le prime biffe d’una rotaia lunga quindici miglia e destinata ad unire Stone’s-Hille a Tampa-Town.

È noto in quali condizioni si facciano le ferrovie [p. 122 modifica]americane: capriccioso nelle svolte, ardito nelle inclinazioni, disprezzando i paracarri e le opere di arte, scavalcando colline, precipitandosi per colli, il rail-road corre come un cieco e senza darsi briga della linea retta; non è costoso, non imbarazza, soltanto si va fuori dalle rotaie e vi si salta entro liberissimamente. La strada da Tampa-Town a Stone’s-Hille non fu che una bazzecola e non richiese nè gran tempo nè molto denaro per istabilirsi.

Del resto, Barbicane era l’anima di tutta quella gente accorsa alla sua chiamata; ei l’avvivava, le comunicava il suo soffio, il suo entusiasmo, la sua convinzione; egli era presente in ogni luogo, quasichè avesse avuto il dono dell’ubiquità, e sempre seguito da J. T. Maston, mosca che ronzavagli sempre d’intorno. La sua mente pratica inventava mille cose. Con lui non v’erano ostacoli nè difficoltà, non mai un impaccio; egli faceva da minatore, da muratore, tanto da meccanico quanto da artigliere, aveva risposte per tutte le domande e soluzioni per tutti i problemi. Corrispondeva attivamente col Gun-Club e colla fucina di Goldspring, e giorno e notte, coi fochi accesi, il vapore mantenuto sotto la pressione, il Tampìco aspettava i suoi ordini nella rada d’Hillisboro.

Barbicane, il 1.° novembre, lasciò Tampa-Town con un distaccamento di lavoratori, e subito il giorno susseguente una città di case meccaniche s’innalzò intorno a Stone’s-Hill; la si circondò di palafitte, e pel suo moto continuo, pel suo ardore, per poco la si sarebbe creduta una delle grandi [p. 123 modifica]città dell’Unione. La vita vi fu regolata disiplinarmente, ed i lavori cominciarono con perfetto ordine.

Ripetuti scandagli praticati con diligenza avevano permesso di riconoscere la natura del terreno, e l’escavazione potè essere incominciata fino dal 4 novembre. In tal giorno Barbicane riunì i suoi capi officina, e disse loro:

«Tutti sapete, amici miei, perchè io vi abbia riuniti in questa regione selvaggia della Florida. Si tratta di fondere un cannone che misuri nove piedi di diametro interno, sei piedi di grossezza delle pareti e diciannove piedi e mezzo di rivestimento di pietra; vuolsi dunque scavare un pozzo largo sessanta piedi, alla profondità di novecento. Questo lavoro considerevole dev’essere compiuto in otto mesi; ora voi avete duemilioni e cinquecentoquarantatremila e quattrocento piedi cubi di terreno da estrarre in duecentocinquantacinque giorni, e cioè, in cifra tonda, diecimila piedi cubi al giorno. Ciò che non presenterebbe veruna difficoltà per mille operai che lavorassero liberamente, sarà più penoso in uno spazio relativamente ristretto. Nullameno, dappoichè questo lavoro va fatto, si farà, ed io conto tanto sul vostro coraggio, quanto sulla vostra abilità.»

Alle otto antimeridiane il primo colpo di zappa fu dato nel suolo floridiano, e da quel momento il valido utensile non istette più ozioso un solo istante nella mano de’ minatori. Gli operai davansi il cambio ogni quarto di giornata.

D’altra parte, per quanto grandiosa fosse l’operazione [p. 124 modifica], non eccedeva il limite delle forze umane: tutt’altro. Quanti lavori di una difficoltà più reale, e ne’ quali gli elementi dovettero essere direttamente combattuti, furono condotti a buon fine! E per non parlare che delle opere dello stesso genere, basterà citare il Pozzo del Padre Giuseppe, costruito vicino al Cairo dal sultano Saladino, in un tempo in cui le macchine non erano ancora venute a centuplicare le forze dell’uomo, e che discende al livello del Nilo, ad una profondità di trecento piedi! E l’altro pozzo scavato a Coblenza dal margravio Giovanni di Baden fino a seicento piedi sotto il suolo (altezza doppia)! Ebbene! di che trattavasi in sostanza? Di triplicare quella profondità e sopra una larghezza decupla, ciò che renderebbe la foratura più facile! E poi non v’era un capo, non un operaio, che dubitasse del buon esito dell’operazione.

Un’importante decisione, presa dall’ingegnere Murchison, d’accordo col presidente Barbicane, giunse in buon punto a permettere che si accelerassero i lavori. Un articolo del trattato portava che la Columbiad sarebbe guernita con cerchi di ferro battuto a caldo. Inutile lusso di precauzioni, giacchè la terribile macchina poteva evidentemente far senza degli anelli compressori. Si rinunziò dunque a questa clausola. Da ciò una grande economia di tempo, pel motivo che si potè così impiegare questo nuovo sistema di scavamento, ora adottato nella costruzione dei pozzi, col quale la muratura si fa contemporaneamente all’escavazione. In virtù di questo sistema semplicissimo, [p. 125 modifica]non è più necessario di puntellare il terreno; il muro lo contiene con forza invincibile e scende da sè per il proprio peso.

Tale manovra non doveva aver principio che nel momento in cui la zappa avrebbe toccata la parte solida del suolo.

Il 4 novembre, cinquanta operai scavarono nel centro medesimo del recinto palizzato, cioè alla parte superiore del Stone’s-Hill, un buco circolare largo sessanta piedi.

La zappa incontrò prima una specie di terriccio nero, alto sei pollici, del quale presto si sbarazzò. Al terriccio tennero dietro due piedi di una sabbia fina, che fu diligentemente ritirata, perchè doveva servire alla formazione della forma interna.

Dopo la sabbia apparve un’argilla bianca piuttosto compatta, simile alla marna d’Inghilterra, e disposta a strati, per un’altezza di quattro piedi.

Poi il ferro de’ picconi scintillò sullo strato duro del suolo, una specie di roccia formata da conchiglie pietrificate, molto asciutta, molto solida, e che gli utensili più non dovevano abbandonare. A tal punto il buco offriva la profondità di sei piedi e mezzo, ed i lavori di murature cominciarono.

Nel fondo di questa scavazione si costruì una ruota di legno di quercia, specie di disco fortemente inchiavardato e di una solidità a tutta prova; esso aveva al centro un buco di un diametro eguale al diametro esterno della Columbiad. Fu sopra questa ruota che posarono le prime opere di muratura, il cui cemento idraulico incatenava le pietre con inflessibile tenacità. Gli operai, dopo aver [p. 126 modifica]lavorato dalla circonferenza al centro, trovavansi racchiusi in un pozzo largo ventun piedi.

Allorchè questo lavoro fu terminato, i minatori ripigliarono il piccone e la zappa ed intaccarono la roccia sotto la stessa ruota, avendo cura di sostenerla di mano in mano sopra una specie di cavalletti solidissimi. Ogniqualvolta il buco erasi accresciuto di due piedi di profondità, ritiravansi successivamente i cavalletti; la ruota si abbassava a poco a poco, e con esso il massiccio circolare di muratura, al cui strato superiore lavoravano senza posa i muratori, lasciando degli sfogatoi che dovevano permettere al gaz di fuggirsene durante la fusione.

Siffatto genere di lavoro esigeva da parte degli operai abilità grandissima ed attenzione continua: alcuni scavando sotto la ruota furono gravemente feriti dalle schegge di pietra, ed anche mortalmente; ma l’ardore non si rallentò un solo minuto nè di giorno nè di notte; di giorno, ai raggi di un sole che versava, alcuni mesi più tardi, novantanove gradi1 di calore sopra quelle pianure calcinate, e la notte, sotto i bianchi fasci di luce elettrica, lo strepito dei picconi sopra la roccia, lo scoppio delle mine, lo stridío delle macchine, i turbini di fumo sparsi nell’aria, tracciarono intorno a Stone’s-Hille una cerchia di spavento, che i greggi di bisonti e le orde di Seminoli più non osavano di varcare.

Nulladimeno i lavori progredivano regolarmente, [p. 127 modifica]le gru a vaporte attivavano il trasporto dei materiali; di ostacoli inattesi pochi ce ne furono, ma soltanto difficoltà previste, e queste erano saggiamente superate.

Passato il primo mese, il pozzo aveva raggiunta la profondità assegnata per tale spazio di tempo, e cioè centododici piedi. In dicembre questa profondità fu raddoppiata e triplicata in inverno. Durante il mese di febbraio i lavoratori ebbero a lottare contro una colonna d’acqua che si aperse un passaggio attraverso la scorza terrestre. Bisognò far uso di pompe efficacissime e di apparecchi ad aria compressa per toglierla tutta, allo scopo di intonacare di calcestruzzo l’orificio delle fonti, come si ottura una via d’acqua a bordo di una nave. Finalmente si poterono vincere le malaugurate correnti. Soltanto, per effetto della mobilità del terreno, la ruota cedette in parte, occasionando un frammento parziale. Che si giudichi dello spaventevole impeto di quel disco di muratura alto sessantacinque tese! Tale accidente costò la vita a parecchi operai.

Tre settimane dovettere essere impiegate a puntellare il rivestimento di pietra, e riprenderlo in sostruzione ed a ristabilire la ruota nelle sue primitive condizioni. Ma in virtù dell’abilità dell’ingegnere, dell’efficacia delle macchine adoperate, l’edificio, un istante compromesso, riacquistò la prima solidità, e la foratura continuò.

D’allora in poi nessun nuovo incidente venne ad arrestare il corso dei lavori, ed il 10 giugno, venti giorni prima dello spirare delle dilazioni stabilite [p. 128 modifica]da Barbicane, il pozzo, interamente rivestito della sua armatura di pietra, aveva raggiunto la profondità di novecento piedi. In fondo, l’opera muratoria posava sopra un cubo massiccio della grossezza di trenta piedi, mentre nella parte superiore era a livello del suolo.

Il presidente Barbicane ed i membri del Gun-Club fecero le loro sincere congratulazioni all’ingegnere Murchison; il lavoro ciclopico erasi compiuto con istraordinaria rapidità.

Nel corso di otto mesi Barbicane non lasciò un istante Stone’s-Hill; mentre seguiva da vicino le operazioni, il forastiere era in continua sollecitudine per i comodi e per la salute dei suoi lavoratori, e la fortuna gli accordò d’evitare contagi sì comuni nelle grandi agglomerazioni d’uomini e sì disastrosi nelle regioni del globo, esposte a tutte le influenze del tropico.

È pur vero che parecchi operai pagarono colla vita le imprudenze inerenti a lavori così pericolosi; ma siffatte deplorevoli sventure sono impossibili ad evitarsi, e del resto sono particolari cui gli Americani poco abbadano. Costoro si curano piuttosto dell’umanità in generale che dell’individuo in particolare. Ma Barbicane professava principî contrari e li applicava in ogni occasione. E però, per effetto delle sue cure, della sua intelligenza, del suo utile intervento nei casi difficili, nella sua prodigiosa e più che umana sagacia, la media delle catastrofi non superò quella dei paesi d’oltremare, citati pel loro lusso di precauzioni, e tra gli altri della Francia, dove contasi circa un caso disgraziato sopra dugentomila franchi di lavoro.

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... i lavori progredivano regolarmente.

(Pag. 126).

Note

  1. Quaranta gradi centigradi.