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De mulieribus claris/VII

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Venere, Reina di Cipro

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Venere, Reina di Cipro
VI VIII
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CAPITOLO VII

Venere, Reina di Cipro

Opinione è d’alcuni, che Venere fosse una donna di Cipro; ma è dubbio appresso di molti chi fosse suo padre, o sua madre. Per che alcuni vogliono che essa fosse figliuola di uno che si chiamò Ciro, e d’una donna che si chiamava Ciria; e alcuni dicono che ella fu figliuola di Ciro e di Diona, donna Cipriana. Alcuni per magnificare, secondo che io penso, la sua bellezza, affermano, quella generata da Giove e dalla predetta Diona. E certamente di qualunque padre sia nata, penso, quella porre fra le famose donne piuttosto [p. 59 modifica]per la sua bellezza eccellente, che per la sua vituperosa invenzione. Dunque fu tanto splendida per la bellezza della faccia, e di tutto il corpo, che spesse volte ingannava lo vedere di quelli che la vedevano. Perchè alcuni credevano, quella essere stella, che noi chiamiamo Venere, altri credevano che fosse femmina celestiale discesa in terra di grembo di Giove e, brievemente, tutti presi d’oscura ignoranza confermavano, quella essere immortale Dea, la quale eglino sapevano, essere partorita da mortale femmina1; e affermavano con tutte le forze, quella madre dello infelice Amore, lo quale egli chiamano Cupidine. E non mancavano a quella l’arti di pigliare con varj atti la mente degli stolti che guardavano quella. Le quali opere lavorando, fu proceduto, che non potendo contrastare alle disonestà di quella donna, le quali non scriverò tutte per ordine, fu reputata figliuola di Giove, e una delle venerabilissime Dee. E non fu onorata solamente [p. 60 modifica]d’incenso appresso quelli di Pafo, antica città di Cipro; (pensavano quelli, che quella femmina morta, e disonesta si dilettasse di quell’odore2, nello quale vivendo si rinvolgeva per li disonesti luoghi) ma ancora fu onorata presso le altre genti; e appresso dei Romani, i quali edificarono un tempio sotto titolo di Venere madre, e di Verticordia, ancora fu onorata d’altri ornamenti. Fu creduto, questa aver tolto due mariti3; ma qual fosse il primo non è assai certo: ma, secondo che è piaciuto ad alcuno, ella fu la prima moglie di Vulcano, re di Lenno e figliuolo di Giove Cretese, il quale poi che fu morto, maritossi a Adone figliuolo di Cinira re dei Ciprj, e di Mirra: la qual cosa è più verisimile, che se noi diremo che Adone era stato lo primo [p. 61 modifica]marito. Perchè, o che fusse vizio di sua complessione, o che fusse per convenzione di quella regione, nella quale la disonestà parve avere grazia4, ovvero possanza, o che avvenisse per malizia di corrotta mente, essendo già morto Adone, discorse in sì gran furia di disonestà, che parve macchiare ogni fama di sua bellezza con la multiplicata disonestà a quelli che non avevano corrotta la vista5; essendo già manifesto nelle prossime regioni, quella essere stata trovata da Vulcano suo primo marito con un uomo d’arme. Per la qual cosa fu creduto che la favola del suo adulterio con Marte fosse trovata, finalmente, acciocchè ella paresse tor via alquanto di vergogna dalla sua disonesta faccia, e a sè concedesse più ampia licenzia di sue lascivie, [p. 62 modifica]ella prima pensò vituperosa bruttura6; e, secondo che si dice, ella trovò vituperosi luoghi pubblici, e disoneste femmine, e costrinse entrare in quelli donne d’Asia: vituperosa usanza de’ Cipriani, prolungata per molti secoli, ne fa testimonianza. Perchè quelli osservano per lungo tempo mandare le sue fanciulle ai lidi7, acciocchè elle pigliassero diletto co’ forestieri che venivano; e così parevano pagare a Venere il fiore della sua virginità per la castità che doveva seguire; e così guadagnavano la dote per suo matrimonio. La quale vituperosa mattezza dappoi passò in Italia, perchè si legge che i disonesti Locresi facevano così8.

Note

  1. Cod. Cass. la quale gli sapevano quella essere partorita, ecc.
  2. Cod. Cass. chello quale vivendo si rinvolgeva per li dissonesti luoghi. Test. Lat. quo vivens in prostibulorum volutabatur spurcitie.
  3. Cod. Cass. Fu creduto, ma qual fusse il primo, ecc. Test. Lat. eam duobus nupsisse viris creditum est. Alle quali parole, mancanti nel codice, e necessarie pel senso, abbiamo sostituite quelle tradotte dal Betussi: questa aver tolto due mariti.
  4. Cod. Cass. di quella regione della quale disonesta che parve aver grazia, avvera possanza.
  5. Cod. Cass. che parve macchiare ogni fama di sua bellezza cholla multiplichata disonestà e quasi che non avevano corrotta la vista. Invece delle parole e quasi ponemmo a quelli; e tale ne sarebbe il senso: che parve a quelli, che non avevano corrotta la vista, (Venere) macchiare, ecc.
  6. Cod. Cass. Prese vituperosa bruttura. Test. Lat. infanda turpitudine excogitata.
  7. Cod. Cass. alli Dii. Test. Lat. ad littora.
  8. Cod. Cass. Si legge che i disonesti facevano così. Test. Lat. idem fecisse Locrenses.