Degli edifizii/Libro quinto/Capo II

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CAPO II.

Cose fatte in Elenopoli, e sul fiume Dragone.


Nella Bitinia è una città chiamata dal nome di Elena, madre dell’imperadore Costantino: dicendosi ivi nata quella donna. E come dianzi il luogo era ignobile, Costantino volendo mostrarsi grato alla madre, il nome e la dignità gli concedette di città, senza però lasciarvi alcun monumento d’imperiale magnificenza. Infatti se si considera la struttura e l’ornato, si vede che il luogo conservava il suo primo stato, insigne soltanto pel nudo titolo di città, ed unicamente glorioso del nome [p. 452 modifica]della donna, che ivi avea avuta la vita. Ma l’Imperador nostro, onde temperare il rimprovero che avesse potuto farsi al fondatore dell’Impero, prima di tutto veggendo quella città angustiata per mancanza d’acqua, vi costruì un superbo acquidotto; e lo spettacolo inatteso vi offrì di tanta abbondanza d’acqua, che non solo corrispondesse al bisogno della sete e del vitto, ma eziandio ad ogni modo di lavanda, e a tutte le altre delizie, che dall’abbondanza dell’acqua si ottengono. E fece ancora un nuovo bagno; ed un altro ne ristaurò, che parte per la detta mancanza di quell’elemento, parte per la incuria era guasto e rovinoso. Di più vi fabbricò tempii, palazzi, portici, abitazioni pe’ magistrati, e con queste ed altre cose, mirabilmente abbellì, e fece lieta quella città.

Presso ad essa scorre un fiume, che gl’indigeni per la forma del medesimo chiamano Dragone, atteso che va errando tortuoso fra strette sassose, e declina, e si torce, sovente ripiegandosi ed ora torna indietro, ora si volta a destra, ora a sinistra; sicchè chi viaggia a quella parte è costretto a passarlo venti volte, e più: onde poi avveniva che molti perissero nel passaggio, sorpresi inaspettatamente dal repentino ingrossarsi delle acque, nè facile a prevedersi. E si aggiungeva pur anche, che diventava più pericoloso per la circostanza, che un folto bosco, ed un canneto vasto, e fitto ne impediva lo sbocco in mare: per lo che ne pativano ancora i luoghi vicini. E non è molto tempo, che cresciuto fortemente per grosse piogge ristagnò, e rovesciando le acque sulle adiacenti terre, recò gravissimi danni, [p. 453 modifica]essendosi per l’alluvione perdute molte ben lavorate campagne, e vedutesi strappate dalle radici viti, olivi, ed innumerabili piante d’ogni genere; e distrutte case prossime alle mura della città; ed ampiamente cagionate agli indigeni mille calamità diverse. Per le quali tocco di compassione l’imperadore Giustiniano, venne in deliberazione di quanto sono per dire. Fatto tagliare quel bosco, e strappare tutte quelle canne, fece spedita al fiume la via, onde libero corresse al mare; nè più s’alzasse fuori del letto, ed inondasse il paese all’intorno. In oltre fatti aprire in mezzo i monti, che minacciosi soprastavano, dove pendevano precipizii e dirupi aprì una strada comoda ai carri; onde succede che gli abitanti non abbiano per lo più alcun bisogno di passare quel fiume, come dianzi: al quale avendo anche fatto fare due ponti larghissimi, ognuno può passarlo con tutta sicurezza.