Dei delitti e delle pene (1780)/Capitolo XXV

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Capitolo XXV. Divisione dei delitti.

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Capitolo XXV. Divisione dei delitti.
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§. X X V.


Divisione dei delitti.


Alcuni delitti distruggono immediatamente la società, o chi la rappresenta; alcuni offendono la privata sicurezza di un cittadino nella vita, nei beni, o nell’onore; alcuni altri sono azioni contrarie a ciò che ciascuno è obbligato di fare o non fare in vista del ben pubblico.

Qualunque azione non compresa tra i due sovraccennati limiti, non può essere chiamata delitto, o punita come tale, se non da coloro che trovano il loro interesse nel così chiamarla. La incertezza di questi limiti ha prodotta nelle nazioni una morale che contraddice alla legislazione, più attuali legislazioni che si escludono scambievolmente, una moltitudine di leggi che espongono [p. 120 modifica]il più saggio alle pene più rigorose; e però resi vaghi e fluttuanti i nomi di vizio e di virtù; e però nata l’incertezza della propria esistenza, che produce il letargo ed il sonno fatale nei corpi politici.

L’opinione che ciaschedun cittadino deve avere di poter far tutto ciò che non è contrario alle leggi, senza temerne altro inconveniente che quello che può nascere dall’azione medesima, questo è il dogma politico che dovrebb’essere dai popoli creduto, e dai supremi magistrati, colla incorrotta custodia delle leggi, predicato: sacro dogma, senza di cui non vi può essere legittima società; giusta ricompensa del sacrifizio fatto dagli uomini di quell’azione universale su tutte le cose; che è comune ad ogni essere sensibile, e limitata soltanto dalle proprie forze. Questo forma le libere anime e vigorose, e le menti rischiaratrici, rende gli uomini virtuosi, ma di quella virtù che sa resistere al timore, e non di [p. 121 modifica]quella pieghevole prudenza, degna solo di chi può soffrire una esistenza precaria ed incerta.

Chiunque leggerà con occhio filosofico i codici delle nazioni e i loro annali, troverà quasi sempre i nomi di vizio e di virtù, di buon cittadino o di reo, cangiarsi colle rivoluzioni dei secoli, non in ragione delle mutazioni che accadono nelle circostanze dei paesi, e per conseguenza sempre conformi all’interesse comune, ma in ragione delle passioni e degli errori che successivamente agitarono i differenti legislatori. Vedrà bene spesso, che le passioni di un secolo sono la base della morale dei secoli futuri; che le passioni forti, figlie del fanatismo e dell’entusiasmo, indebolite e rose, dirò così, dal tempo che riduce tutt’i fenomeni fisici e morali all’equilibrio, diventano a poco a poco la prudenza del secolo, e lo stromento utile in mano del forte e dell’accorto. In questo modo nacquero le oscurissime [p. 122 modifica]nozioni di onore e di virtù; e tali sono, perchè si cambiano colle rivoluzioni del tempo, che fa sopravvivere i nomi alle cose, si cambiano coi fiumi e colle montagne, che sono bene spesso i confini non solo della fisica ma della morale geografia.