Del coraggio nelle malattie/IX.

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IX.

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VIII. X.
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Dai pochi articoli premessi si possono congetturare gli altri molti impedimenti, da me non accennati, ad una potenza dell’animo cotanto necessaria in tutta la condotta di una malattia. Lo si replichi, il coraggio è indispensabile. L’uomo è pura macchina, se non è fornito di questa fiamma animatrice. L’uomo non mai ha da conoscere la diffidenza, ed è appunto nelle avversità che ha ad adoperar tutto sè stesso per sortirne, o per non cedere da disperato. Le malattie esigono, per esser vinte, un lodevol complesso di azioni di tutto il sistema corporeo, e questo sarà sempre imperfetto, se dall’animo non riceverà un favorevole influsso e [p. 37 modifica]concorso adeguatamente cooperante; nè altra affezione dell’animo è più pronta ed immediata dell’affezion del coraggio a procurarlo.

Ma io credo finalmente che nei più manchi il coraggio nei veri bisogni di averlo, per motivo principalmente di abitudine contraria al medesimo. Questa abitdine la si contrae dal cominciare fino dai teneri anni, alla comparsa di ogni malattia, a rifidarsi troppo nella medicina. Scoppia la malattia, e tosto si suppone che al di fuori di noi vi sia una materia, un ajuto, un certo chè, che vaglia a risanare. Dalla continuazione di questo supposto, e dai replicati atti dell’uso dei detti esterni oggetti, si genera cotal abitudine. Anco dall’altra continuazione del veder gli altri a fare lo stesso, la medesima in noi e nasce, e si conferma. Quindi si abbandona ciecamente la macchina [p. 38 modifica]inferma in braccio a questi esteriori strumenti; e lo spirito stesso non altro fa che sentire il disturbo del male, e secondare questa rinunzia e questo abbandono, senza avvedersi e senza usare della sua forza, che come vedemmo sarebbe di tanta importanza, quasi che l’impazienza sia rimedio migliore della pazienza, come riflette il suddetto Montagna.

Una più acuta riflessione dal canto degl’infermi potrebbe garantirli dall’attacco di questo vizio; e meglio forse dal canto de’ Medici una disinteressata esposizione sì della limitata facoltà delle loro medicine, che della efficiente attività dello spirito, il quale alla cura de’ mali si presti e concorra.