Del coraggio nelle malattie/X.

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Opposte alle surriferite affezioni dell’animo, le quali tengono lontano il coraggio, ve n’ha altre che anzi gli sono, [p. 39 modifica]quasi direi, congenite, e che potentemente lo commovono e lo mettono all’atto.

Le virtù tutte dovrebbero considerarsi di questa classe, segnatamente la prudenza. Le azioni dell’uomo, finchè sono regolate dalla ragione, o dall’abitudine, tendono tutte o a procacciare un piacere, o a fuggir un dolore; e la prudenza è quella che deve esser guida nell’uno e nell’altro intento, e per conseguenza nella ricerca de’ mezzi per conseguirlo. Sì conosciuto è questo virtuoso sentimento, e sì universale, che alle bestie ancora se lo attribuisce, raccontandosi di loro mille tratti di naturale prudenza.

Da questo derivano quasi tutte le altre qualità, che concorrono a conservare, e a beneficiare la vita. E in effetto, che altro è mai il cercar di rimediare a’ mali, il sottoporsi alle leggi mediche, il nutrirsi malgrado la propria ripugnanza, e simili, se non la prudenza applicata a [p. 40 modifica]tali bisogni, o sentiti realmente, o dagli altri avvertiti? Gli stessi sforzi che fa ’l ammalato per gettarsi ad una passeggio, ad un viaggio proposto, per entrar in un bagno, per assumere una cura laboriosa e lunga, e per altre operazioni, sono tutti prodotti d’una vera prudenza fissata nell’oggetto del ricuperare la perduta sanità. Ma il principale prodotto suo è il coraggio, che ci determina senza esitanza alle decisioni dello spirito, e ai cimenti degli ostacoli che per ottenere il disegno proposto s’incontrano. In tutte le linee delle umane azioni veggiamo queste pratiche verità; a noi importa rintracciarle soltanto in linea medica.

La prudenza dunque nell’uomo infermo è la principale motrice del coraggio. Se esso infermo non è affatto irragionevole, deve lasciar libero l’adito nell’animo suo a questa virtù, che con sè tragge necessariamente questo effetto. E il Medico [p. 41 modifica]suo ministro gli è quello, che alla medesima fa strada, onde penetri nell’infermo; nel che ei riesce quando ponderando aggiustatamente la malattia, sa darle quell’aspetto che è capace di persauadere l’infermo stesso, e di renderlo prudente, cioè avveduto e coraggioso.

Infatti, comunque alcuni la pensino, io sono di parere che sia sempre tratto prudenziale e proficuo dalla parte del malatto il non mai disperare del suo incomodo, anzi il sostentarlo sempre all’intima opinione di averne a scampare; è tratto del pari laudevole dalla parte del medico il tener l’ammalato fiancheggiato di tal principio, anzi l’inspirarglielo, se estinto in lui fosse giammai.

Per troppo ho presenti i dettami di Religione in questo proposito, che sogliono ricordare che la lusinga di aver a campare dal male può o indebolire, o cacciar dall’infermo que’ sentimenti di pietà, che [p. 42 modifica]indispensabilmente debbe nutrire per ricomporre gli sconcerti della propria coscienza e per disporsi al passo dell’altra vita, che forse aperto allora gli sta. Io non mi vi contrappongo. Ma questa Religione è troppo giusta, nè la sua voce è così severa ed indiscreta, che s’abbia l’altra voce della propria esistenza e conservazione e soffocare. Sono elleno compatibili ambedue, perchè può l’uomo, anzi deve bramare di conservarsi tra’ vivi, e fortificarsi nella resistenza col più vivo coraggio; e insieme procacciarsi la savia rassegnazione all’editto supremo e soddisfare agli obblighi dalla Religione ingiunti. Il debito di provvedere all’anima non si disgiunge dal debito di provvedere al corpo, nè dal desiderio di riuscirvi, nè dal coraggio per arrivarvi.

Io ho veduto moltissimi infermi supplire eroicamente a questi due doveri, sicchè si disponevano da uomini saggi a [p. 43 modifica]finir di vivere, e da uomini forti non perdevano il coraggio per rintuzzare il male, o almeno per non ismarrirsi sotto gli attacchi del nemico della loro vita.

Questa combinazione di doveri non è nuova a chi sa apprezzare i sacri dogmi della Chiesa e li sa quadrare al livello delle leggi naturali, e a chi è versato nelle opere filosofiche de’ santi nostri Legislatori, i quali non forzano gli uni per annichilare le altre, facendo torto evidente al sommo Essere, ed alla natura umana di lui dipendente.