Del veltro allegorico di Dante/LV.

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[p. 104 modifica]LV. Uguccione della Faggiola intanto e Can della Scala cingevano si fattamente Trevigi e la condussero a tali termini, che quel popolo si diè a Federigo d’Austria; quello dei due imperatori eletti cui lo Scaligero favoreggiava. Il qual Federigo, per mezzo di Arrigo conte di Gorizia, prese possesso della cittá, speditovi ancora Ugone di Duino (giugno): per questa venuta, Can Grande intermise l’opera di Trevigi. E tosto cominciò a veder modo di rompere i recenti patti con Padova, chiedendo insolite cose: per le quali di nuovo egli ed Uguccione della Faggiola strinsero di assedio quella cittá (agosto 5). Ma sotto le mura di lei, soprappreso dall’infermo aere delle paludi della Brenta, Uguccione mori (novembre 1); ed a Castruccio Castracani, cui aveva giá dischiuso le porte di [p. 105 modifica] Lucca e mostrato in Montecatini le vie della vittoria, tramandò l’arte di guerreggiare i fiorentini e d’insignorirsi di gran parte della Toscana.

Privo del suo capitano, Can della Scala ordinò che con magnifica pompa si celebrasse la funebre festa, e che insigne monumento coprisse le ceneri del guerriero. Non è vero adunque ciò che si crede, il Faggiolano essere morto povero ed esule dopo la cacciata da Pisa. Delle sue fattezze si è detto, e della facondia; di questa non pochi esempi adduce Albertino Mussato che o il conobbe nelle guerre dei padovani, o in Genova quando vi fu legato ad Arrigo re dei romani: Ferreto vicentino il vide signore nella sua patria. Uguccione fu molto destro nei motti: la somma ilaritá dell’aspetto impediva, per giudizio di Albertino, che altri lo giudicasse capace di alcuna dissimulazione. Pur egli sapeva dissimulare, alto nascondendo il segreto nel petto: ma vinti dall’eloquenza i cuori si aprivano ad esso. Cauto e lento deliberava; senza indugio eseguiva; valoroso nei consigli, audacissimo in campo, lasciò dubitare se in lui la fortuna superasse l’arte o l’industria. Barbaramente usò in Lucca della vittoria: ma il terrore nei suoi nemici e la fama delle valide membra crebbero la voce delle sue crudeltá. Uguccione fu ristoratore sommo del ghibellinismo; senza la vittoria di Monte Catini si sarebbe abolito atíatto appo gl’italiani fino il nome della parte dell’imperio. E se Roberto avesse avuto il frutto di quella giornata, né Matteo né Can della Scala gli avrebbero piú vietato la signoria di tutta l’Italia. Nato Uguccione in piccol castello di angusta e poco nota provincia, bene di lui Dino Compagni narrò che di basso stato erasi ei rilevato. L’oscuritá di quel castello fece credere che vili fossero i natali di Uguccione: assai male informato Ferreto vicentino cosi diceva di esso, e del nobilissimo Tolosato degli Uberti. L’invidia o gli odii delle fazioni poterono del pari che l’ammirazione dei contemporanei accreditare questa novella; presso gli uni per vendicarsi della fortuna del vincitore, presso gli altri per ingrandire il prodigio. Le cose medesime, quantunque false, si ripetevano intorno agli Scaligeri; e nel secolo seguente [p. 106 modifica] pubblicaronsi degli Sforza, non meno che degli Appiano i quali tennero Pisa. La storia così delle guerre come delle parentele del primo Ranieri della Faggiola, innanzi che il figlio venisse in eccellenza di capitano, bastano a chiarire che questi non provenne di bassa mano. La stessa patria di Uguccione fu argomento di dispute, poiché gli aretini lo dicono loro, del pari che i romagnuoli: entrambi forse a ragione, incertissimi essendo stati nel secolo terzo decimo i confini dei due paesi, ed avendo i Faggiolani posseduto le loro terre ugualmente nel contado aretino che nella Romagna. Ma errarono al certo coloro che posero la Faggiola ora nel Casentino, ed ora in altri luoghi fuori del Monte Feltro; i quali, sforniti affatto di storia e di rimembranze furono luoghi non abitati, e non trassero il nome che dall’esservi stati piú fitti boschi di faggi. Ludovico il bavaro dichiarò espressamente nel suo diploma, che la Faggiola di Uguccione appartiene al distretto ed alla diocesi di Monte Feltro.