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Del veltro allegorico di Dante/XLVI.

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XLVI.

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XLV. XLVII.

[p. 84 modifica]XLVI. Minori successi ove non era Uguccione ottenevano gl’imperiali: Cane assaliva spesso i padovani, ma non di rado con danno: i Buonaccolsi di Mantova tentavano inutilmente di sorprender Ferrara, e di rimettervi gli esuli ghibellini. Pino della Tosa, di cui si è fatto parola, comandava in Ferrara pel re Roberto. Aiutati dai mantovani, gli usciti s’imbarcarono [p. 85 modifica] sul Po; ma una tempesta guastò il loro disegno: e furono la piú gran parte o presi od uccisi (giugno). Con assai pochi scamparono Lancillotto, e Claruccio ed Antoniolo degli Alighieri Fontana, pronipoti dell’estense ministro Aldigerio: la loro affinitá col poeta, e il dolore di cui la loro malvagia sorte il gravò, mi stringono a narrare quel caso.

Rifuggiti a Feltre, Alessandro vescovo e principe della cittá, fu liberale ad essi di un salvo condotto: ma in quei giorni assaltavalo il vescovo di Trento per consiglio di Cane Scaligero, e la signoria di Trevigi aveagli promesso il soccorso di cento lance (luglio 5). Le aspettava egli allorché improvvisi tre ambasciadori Gualperto Calza, Guglielmo Ravagnini e Francesco da Franza giungono a Feltre: venivano in nome dello stato di Trevigi a chiedere i fuggitivi per farne dono a Roberto: avea Pino della Tosa potuto trovar tali modi che il popolo trivigiano erasi piegato a questo suo intendimento. Che avrebbe fatto Alessandro Novello? Non meno che il vescovo di Trento e lo Scaligero, temeva ei l’ira del re capo dei guelfi. Alessandro consegnò i Fontanesi: e Pino della Tosa, trattili a Ferrara, li fe’ impiccar per la gola. Di così esecrabile debolezza giudicò l’Alighieri non esservi pari supplizio (Farad. IX, 52-60): pur non dee tacersi che il vescovo non era di coloro i quali vendono per vaghezza il sangue degl’infelici; e che videsi condotto a quella difficile sommitá delle umane cose, nella quale chi non vuol essere ingiusto forza è che perisca.

Lo Scaligero intanto raddoppiava gli sforzi contro i padovani: alfine gli fu si amica la sorte delle battaglie che, disfatto il loro esercito (settembre 17), egli ottenne pace gloriosa, per cui divenne assoluto signor di Vicenza (ottobre 20). Questa fu la prima e forse la più insigne delle sue vittorie, quantunque infino allora ei si fosse mostrato alla Lombardia valente guerriero ed audace, sostenendo con forte animo l’impeto dei padovani; ma l’esito non per anco avea coronato la sua impresa di Vicenza. Giá volgeva il suo anno vigesiino terzo, e giá piú maturi pensieri erano in lui sottentrati al bollor primo dell’adolescenza: la pace allora gli consenti che ponesse l’animo a [p. 86 modifica] meritarsi lode non meno di valoroso che di magnifico. E tanto adoprò con le sue liberalitá, che in pochi anni dopo il trattato coi padovani la corte dello Scaligero levò gran nome di essere delle piú gentili d’Italia, e vi accorsero quanti uomini si distinguevano per le armi, per l’ingegno, e per le sventure. Nello stesso giorno della pace coi padovani, così propizio alla gloria dello Scaligero, in Germania fu eletto imperatore Ludovico duca di Baviera; ma la scelta venne turbata da due soli elettori, che salutarono re dei romani Federigo di Austria figliuolo di Alberto.