Del veltro allegorico di Dante/XXXVI.

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XXXVI.

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XXXV. XXXVII.

[p. 63 modifica]XXXVI. Non appena l’Alighieri giungeva in Francia che inaspettata novella occupò l’attenzione degli uomini. Clemente V, per consiglio di Niccolò cardinale di Prato, avea fatto eleggere in re dei romani (col nome di Arrigo VII) uno dei minori principi di Germania, il conte di Lucemburgo: e gl’impose, fra due anni venisse in Italia. I ghibellini ed i bianchi, drizzando il volto, crederono il loro esilio finito: il Cardinal di Prato, e ancora quel degli Orsini, scherniti entrambi dai neri di Firenze, che non avrebbero fatto in favore dei fuorusciti? E che non avrebbe oprato il conte di Lucemburgo per piacere al cardinale, che procacciogli l’imperio? I ghibellini quindi ed i bianchi non furono lenti ad accorrere in Germania per implorare propizio il principe favorito della Chiesa romana; innanzi tutti gli esuli [p. 64 modifica] fiorentini, qualunque non fosse da estrema indigenza trattenuto. Se Dante avesse differito alquanto a partire di Lunigiana per Parigi, non avrebbe passato i monti che per recarsi lá dove i suoi traevano tutti. Ma le guerre germaniche contro i conti di Carinzia e di Vittemberga lungamente impedirono Arrigo VII.

In quel tempo, nella primavera del 1309, l ’Inferno di Dante giunse ad Uguccione in Arezzo. Frate Ilario avea disteso le sue brevi sposizioni, e fe’ pervenire il volume al guerriero in nome dell’autore con una lettera, di cui non rimane che un frammento senza data, in un codice piú antico dell’etá di Giovanni Boccaccio. L’ingenuitá e la naturalezza del dire fanno amare lo scrittor della lettera; né si scorge perché di essa, che pur si legge in codice così vetusto, abbia non ha guari uno straniero mosso alcun dubbio. L’impostura non avrebbe giovato ad alcuno: e se un impostore menti la lettera, niuno meglio di lui conobbe le cose di Dante. Imperocché la lettura del poema intero, e i detti dei contemporanei confermano quelli di frate Ilario. Giovanni Boccaccio narra gli stessi fatti della dedica dell ’Inferno ad Uguccione, del Purgatorio a Moroello, e del Paradiso a Federigo di Sicilia, quantunque invece di Federigo l’avesse poi l’Alighieri offerto a Can della Scala; gli stessi fatti dei primi versi del poema latino, quali Dante li recitò a frate Ilario; gli stessi fatti dell’essere il poeta ito in Francia non molto innanzi l’elezione di Arrigo. Se il Boccaccio trasse i suoi racconti dalla lettera di frate Ilario, ed ei la tenne per vera: se di altro luogo, ed ei le accrebbe la fede con notizie da lui altrove raccolte. Ben egli è danno che alla lettera manchi la data. Nondimeno il supplirvi sembrò facile al conte Marchetti, che le assegnò quella del 1309; osservando che non havvi nel VInferno di Dante né motto né cenno di privati o pubblici fatti, che fossero stati dopo il 1308; e che di quelli avvenuti di poi cominciasi a toccare nel Purgatorio. Alla veritá della quale osservazione punto non nuoce la notizia di uno scoscendimento nell’Adige dei monti della Chiusa, che presso Rivoli rumarono il 20 giugno 1310; essendosi veduto che 1 ’ Alighieri parla di altra rovina piú antica, né avrebbe messo in [p. 65 modifica] forse se percossi da tremuoto avessero quei monti crollato. Mirabilmente poi confortano la sentenza del conte Marchetti le cose che si sanno dei restanti giorni deH’Alighieri, cui bastarono appena i tredici anni che sopravisse così per eseguire i suoi tanti viaggi, come per comporre le sue molte opere in prosa, e per dettare le due cantiche piú difficili del poema. E poiché il poeta era premuto dalla povertá, non avrebbe per semplice vaghezza ricovrato in Francia quando Clemente V, in sembianze così propizie ai fuorusciti, ebbe dato legge ad Arrigo VII di passare in Italia. Dante adunque, che nel 1308 dimorava presso Scarpetta degli Ordelaffi, non terminò l’Inferito e noi commise, partendo, alla fede di frate Ilario se non prima della scelta di Arrigo VII, nell’autunno del 1308. E però a questo autunno si deve attribuire la pubblicazione ilariana o faggiolana, che voglia dirsi, dell ’Inferno di Dante: dopo la quale cessò egli dal poter fare in esso alcuna correzione o verun cangiamento, come altri vorrebbe, affermando che piti di una edizione deWInferno avesse l’Alighieri dato in luce: nelle quali edizioni aveva in alcuna guisa rimutato a sua posta ed accresciuto massime il primo canto. Ma di esse per veritá non è vestigio in alcuno dei tanti codici che si conoscono, e che, tranne le varie lezioni, punto non si discostano dal testo comune o ilariano.