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Della congiura di Catilina/XLVIII

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[p. 29 modifica]Palesata così la congiura, la plebe che prima per amor di novità favoriva la guerra, mutatasi di parere abbominava ora i disegni di Catilina; Cicerone al cielo innalzava; e, quasi scampata da servitù, nell’animo e nell’aspetto gioiva. Stimavan essi dai comuni eventi di guerra ritrarre più guadagno che danno; ma di Roma l’incendio riputavano cosa crudele immoderata e gravosissima a loro stessi, che altro sostegno non aveano che il giornaliere lavoro. Fu poco dopo condotto in Senato un Lucio Tarquinio, arrestato, dicevasi, mentre a Catilina n’andava. Costui offerendo indizj della congiura mediante l’impunità, ottenutala, disse dell’incendio, delle uccisioni, dell’inoltrarsi de’ nemici, quasi le cose stesse da Volturcio indicate: di più; essere egli da Crasso a Catilina mandato per incoraggirlo ad avvicinarsi a Roma, benchè già presi vi fossero Lentulo, Cetego, ed altri congiurati; che anzi, vieppiù affrettandosi, egli rincoraggirebbe i rimanenti, e più facilmente sottrarrebbeli dal pericolo. All’uscire di bocca a Tarquinio il nome di Crasso, uomo nobile, ricchissimo, ed oltre tutti potente; chi la cosa stimando incredibile, chi vera credendola; siccome pure in tali circostanze un tant’uomo da raddolcirsi più che da irritarsi parea; e molti essendogli privatamente obbligati; tutti esclamano esser falso l’indizio, e chieggono che si chiarisca. Quindi consultato perciò da Cicerone il Senato, quasi a pieni voti decretasi: non esser