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Della eccellenza e dignità delle donne/De la dilezione e amore

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De la dilezione e amore

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De la magnanimità De la dottrina


Resta a provare de la dilezione o amore, la quale tanto più è ne le donne quanto che di prudenza trapassano, imperò che, como scrive Aristotele, la natura ha dato al più prudente sesso la cura de’ figliuoli, la quale è opera de singulare amore, sì como noi leggemo di Cornelia matre de li Gracchi, che a quella matrona campana quale gloriavasi de tante sue richezze, gemme e vestimenti, mostrò i soi figliuoli dicendogli: «Questi sono li ornamenti miei».

E lasciando andare de l’amore a’ figliuoli portato, perché pare quasi impossibile che altramente sia, avendoli pur nove mesi con tanta cura e solicitudine nel proprio ventre portati e nutriti, che diremo de l’amore verso e mariti? Il quale avegna che ogni amore sia quasi una cosa infinita ad volere considerarlo, nondimeno questo tutti li altri trapassa, per il che Valerio prudentemente ne scrisse ne’ suoi Gesti memorabili un capitolo e pel contrario non pose quello de’ mariti verso la loro moglie, perché molto averìa penato a trovarne alcuni essempi, dove molti de femine valorose si ritrovano che hanno mille pericoli corsi e sonosi mille volte alla morte esposte o per la salute di quelli o per non vivere doppo il loro fine e giorno estremo, come fece Alceste, Ipsicratea, Artemisia, Laodomia, Evadne, Valeria, Porzia, Deidamia, Argia, Fila figliola de Demetrio, Stratonica di Deiotaro, Livia di Augusto, como si scrive etiam de le donne de India le quali, secondo la loro consuetudine abbruggiando i corpi de’ mariti, vive ne la fiamma del funereo rogo dentro si gettano, estimando convenevole al maritale amore con quelli insieme vivere e morire.

Quanto eziandio a l’amore che per bellezza o laudevoli costumi o proprie virtù i giovenili cori invesca, credesi per molti autori le donne vincere, imperò che essendo ne le ombrose case nutrite ociose e quasi in solitudine, cose tutte aconcie a secondare li piaceri d’amore e toltigli mille altri studi agli uomini concessi di ucellare, cacciare, giostrare, armegiare, li cui piaceri hanno forza ogni fiamma amorosa estinguere, che gli resta altro se non con pensieri continui nudrire il foco che le consumma? Sì como l’amoroso poeta Ovidio introduce Ero scrivere a Leandro: voi ora cacciando, ora piscando, ora bevendo, ora in mille altre cose trovate ove spendere li ociosi tempi senza noia, a me non rimane altro che ognora più ferventemente amare.

Non per tanto a me pare più per isperienza che per altra ragione che questa disputazione sia molto difficile da diffinire, vedendo infinito il numero di quelli che indarno a dietro loro s’affaticano, e io l’ho già non una volta isperimentato, ma bene estimo coloro felicissimi a cui è licito godere dil loro amore, senza temer di cosa che gli perturbi, e quelle donne essere da più che vincendo ne l’altre virtù non consentano in amore esser vinte, nel quale cedere sopra ogn’altra è cosa turpissima.