Della eccellenza e dignità delle donne/Della carità de la donna, speranza e fede

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Della carità de la donna, speranza e fede

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Adduce le ragioni perché la femina sia da manco che l'uomo De la iustizia


Prima adunque nella carità, quale como dice l’apostolo è de l’altre virtù maggiore, la donna è vincitrice. E questo vedemo per isperienza senza altro essempio, imperò che le donne più frequentano le chiesie e li divini offici e hanno d’ognora più per le mane i paternostri e li officioli che li uomini. Né bisogna costoro n’adducano che visitano li tempî solamente per esser vaghegiate, perciò che anzi gli uomini ne fanno intendere quanta sia la loro malvagità, che sempre appigliano le cose al peggio, e certo non so quello si faranno de l’opre cative quando de le buone hanno ardimento condannarle; oltra che se in questo è peccato alcuno, solamente è degli uomini, quali vedemo ne le chiesie in circoli posti sì intentamente vaghegiar le donne come si fossero ne’ teatri a mirare qualche novo spettacolo e l’uno a l’altro insusurarsi all’orecchie dicendo: «Vedi mona tale», «Quella pare con quelle poppe che paiono dui mantici che gonfiano», e mille altre cose che sarìa soverchio e forse poco onore a scriverle, dove le donne tacite e vergognose con gli occhi bassi non ad altro attendono che a’ suoi paternostri. Ma per tornare alla carità, nui vedemo naturalmente le donne più pietose, più misericordiose verso poveri, più volentieri far la elemosina. Legge di Paula, di Marcella dil beato Ieronimo, legge di Melania quale recita il Petrarca nella Vita solitaria, che pare grandissima maraviglia una donna aver speso uno regno in lemosine. Che diremo di Elisabeth, figliola dil re d’Ungaria? Di Elena madre di Constantino, che edificò Terra Santa, ornò tante chiesie? Che diremo de molte altre, quali lascio per non esser fastidioso?

E per non pretermettere de la speranza e de la fede, chiaramente si vede quanto in queste due virtù le femine vagliano, imperò che dove ne’ casi adversi gli uomini biastemiano Dio e santi e talora si dispongono presso che disperati a trapassar la vita sempre in sceleragine, le donne dicono – Sia Dio lodato – e alora più ricorrono alla devozione come a fontana di salute.

Che diremo de la fede? Conciosia che noi leggiamo che ne la morte di colui, il quale morendo ridusse tutta l’umana generazione dannata a perpetua morte ad immortale vita, li uomini eziandio che infiniti miracoli prima veduti avessero, aver perduta la fede e ne le donne solamente esser rimasa. E se pur questo non basta, piglia argomento da l’arte magica, e queste incantazioni, quali lasciamo andare che vere o false siano imperò che al presente non appartiene ciò investigare, tutte ne la fede consistono, credendosi certamente con sue parole trar la rotonda luna e le scintillanti stelle dil cielo e con sugo d’erbe e altre sue novelle gli uomini in bestie tramutare, e universalmente più sono femine che maschi incantatori ritrovati, come avemo di la tebana Manto, di Medea, di Circe e finalmente de tutte le donne de Tessaglia anticamente, e ne’ nostri tempi ancora nui vedemo queste incantatrici da nui chiamate streghe, con più constanza che li uomini perseverare ne la sua falsa credenza e non risparmiare d’esser nel foco abruggiate per vivere e morire ne la loro sciocca oppinione.