Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro sesto/5. Arrigo V
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5. Arrigo V [1106 1125]. — Ora, mentre venivasi costituendo il governo delle cittá (libero internamente, non indipendente di fuori, è necessario non perderlo di mente), veggiamo come ne usassero e lo difendessero poi. — Ad Arrigo IV succedette il ribelle figliuolo di lui Arrigo V, senza contrasto, anzi con applauso, della parte papalina in Italia. Ma fin dall’anno seguente trovasi rinnovata tra lui e Pasquale la contesa delle investiture ecclesiastiche; e continuare le guerre tra cittá e cittá, per l’Imperio o la Chiesa, pro e contra Matilde, per l’uno o l’altro vescovo, per altri interessi di vicinato; e moltiplicarsi tanto piú ora che avevano governo piú costituito. Cosí guerreggiaronsi Milano e Pavia [1108], Milano e Brescia contro Lodi, Pavia e Cremona [1109], Pisa e Lucca [1110], e principalmente e lungamente Genova e Pisa per la Sardegna, per la Corsica e per rivalitá commerciale, la piú acre di tutte; ed altre poi, che non abbiamo spazio a notare. — Nel 1110, discese Arrigo; non fu ricevuto a Milano, tenne dieta a Roncaglia, trattò con Matilde, passò a Firenze, a Pisa, prese terre e castella. Appressatosi a Roma [1111], seguirono sull’investiture negoziati e trattati oscurissimi, rotti in breve ad ogni modo; tantoché Arrigo fece prigione il papa, il popolo si sollevò contro a’ tedeschi, Arrigo si ritrasse col papa prigione; e il rilasciò poi, e fece con esso un primo trattato, per cui serbò le investiture, e ne fu poi incoronato imperatore; e per Toscana e Verona risalí a Germania. — Sollevossi la curia romana contro il trattato, e fu condannato in concilio [1112 e 1116]: e cosí fu riaperta la contesa. E tra breve se ne aggiunse un’altra. Nel 1115, morí vecchia e gloriosa Matilde, e si contese tra imperatori e papi per il retaggio di lei, da lei certamente donato in Canossa e confermato poi a Gregorio VII e a’ suoi successori. Gran disputa si fa anche oggi, se quelle donazioni comprendessero i soli beni allodiali, ovvero anche i feudi. I quali essendo da gran tempo ereditari, e talor di maschio in maschio, ma talor pure in femine, e sempre sotto la supremazia o beneplacito imperiale, io crederei che la gran contessa lasciasse i suoi diritti quali e quanti potessero essere; e che perciò appunto se ne disputasse, e ad ogni modo se ne disputò cosí a lungo, che non è nemmen possibile forse determinare quando e come finisse quella contesa intrecciata a tant’altre. — Ed a ciò scese per la seconda volta Arrigo [1116], occupò comunque il retaggio, poi passò a Roma, e il papa fuggí e morí [1117]. Intanto, risalito Arrigo a Lombardia, vi poté cosí poco, che dicesi si facesse a Milano una assemblea numerosa di vescovi e consoli contro a lui, e se n’abbozzasse una seconda lega che fu ad ogni modo essa pure rotta tra breve dalle inimicizie municipali. Succeduto papa Gelasio II, si disputò, si guerreggiò in Roma e fuori contra lui, e fu fatto un antipapa. Arrigo tornò a Roma, e Gelasio rifuggí a Francia e vi morí [1119]. Succedettegli Calisto I, che tornò a Roma [1120], e guerreggiò e prese e depose l’antipapa [1121], e che finalmente l’anno 1122 finí la gran contesa dell’investiture, ottenendo che non fosser piú fatte col pastorale e l’anello, simboli ecclesiastici; concedendo che si facessero collo scettro, simbolo della potenza temporale sui beni territoriali delle chiese. Cosí con tal temperamento terminò felicemente, e, come ne giudicano le etá progredite, moderatamente, virtuosamente la gran contesa. E cosí solamente possono terminare le piú delle contese tra la Chiesa e gli Stati, che sono due potenze indipendentissime l’una dall’altra; ed elle perciò non possono tornare in pace mai, se non colle concessioni reciproche; non essendo tra esse né giudice supremo né possibilitá di quella decisione per forza d’armi, che tronca tante contese tra l’altre potenze indipendenti, ma che non serve a nulla, è uguale a zero contra quella immateriale della Chiesa. — Morí quindi [1124] glorioso il papa, e gli successe, non senza contrasti in Roma, Onorio II. E morí [1125] Arrigo V, partecipe anch’egli di quella gloria di pacificatore, e, per ciò almeno, miglior del padre. E morto esso senza figliuoli, morí con lui la prima, la vera casa Ghibellina.