Della tirannide (Alfieri, 1927)/Libro primo/Capitolo XIV

Da Wikisource.
Capitolo XIV

../Capitolo XIII ../Capitolo XV IncludiIntestazione 14 agosto 2020 75% Da definire

Libro primo - Capitolo XIII Libro primo - Capitolo XV

[p. 74 modifica]

Capitolo Decimoquarto

Della moglie e prole nella tirannide.

Come in un mostruoso governo, dove niun uomo vive sicuro né del suo né di se stesso, ve ne siano pure alcuni che ardiscano scegliere una compagna della propria infelicitá, e perpetuare ardiscano la propria e l’altrui servitú col procrearvi dei figli, difficil cosa è ad intendersi ragionando; ed impossibile parrebbe a credersi, se tutto dí no ’l vedessimo. Dovendone addur le ragioni, direi che la natura, in ciò piú possente ancora che non è la tirannide, spinge gl’individui ad abbracciar questo coniugale stato con una forza piú efficace di quella con cui la tirannide da esso gli stoglie. E non volendo io ora distinguere se non in due soli ceti questi uomini soggiogati da un tale governo, cioè in poveri e ricchi, direi che si ammogliano nella tirannide i ricchi, per una loro stolta persuasione che la stirpe loro, ancorché inutilissima al mondo e spesso ancora oscura, vi riesca nondimeno necessaria, e gran parte del di lui ornamento componga; i poveri, perché nulla sanno, nulla pensano e in nulla possono oramai peggiorare il loro infelicissimo stato.

Lascio per ora da parte i poveri; non giá perché sprezzabili siano, ma perché ad essi nuoce assai meno il far come fanno. Parlerò espressamente de’ ricchi; non per altra ragione, se non perché essendo, o dovendo costoro essere meglio educati; avendo essi in qualche picciola parte conservato il diritto di riflettere; e non potendo quindi non sentire la lor servitú; debbono i ricchi, quando non siano del tutto stolidi, moltissimo riflettere alle conseguenze del pigliar moglie nella tirannide. E per fare una distinzione meno spiacente, o meno oltraggiosa per gli uomini che non è quella di poveri e ricchi, la farò tra gli enti pensanti ed i non pensanti. Dico dunque che chi pensa, e può campare senza guadagnarsi il vitto, non dée mai pigliar [p. 75 modifica] moglie nella tirannide; perché, pigliandovela, egli tradisce il proprio pensare, la veritá, se stesso e i suoi figli. Non è difficile di provare quanto io asserisco. Suppongo che l’uomo pensante dée conoscere il vero; quindi indubitabilmente si dée dolere non poco in se stesso di esser nato nella tirannide, governo in cui nulla d’uomo si conserva oltre la faccia. Ora, colui che si duole di esservi nato avrá egli il coraggio, o per dir meglio, la crudeltá, di farvisi rinascere in altrui? di aggiungere al timore che egli ha per se stesso, l’avere a temere per la moglie, e quindi pe’ figli? Parmi ciò un moltiplicare i mali a tal segno che io non potrò pur mai credere che chi piglia moglie nella tirannide pensi e conosca pienamente il vero.

Il primo oggetto del matrimonio egli è, senza dubbio di avere una fedele e dolce compagna delle private vicende, la quale dalla morte soltanto ci possa esser tolta. Supponendo ora il non supponibile, cioè che in una tirannide non fossero corrotti i costumi, onde questa compagna potesse non aver altra cura né desiderio che di piacere al marito, chi può assicurare costui che ella dal tiranno, o dai suoi tanti potenti satelliti, non gli verrá sedotta, corrotta, o anche tolta? Collatino, parmi, è un esempio chiaro abbastanza per dimostrare la possibilitá di un tal fatto: ma gli alti effetti che da quello stupro ne nacquero, sono ai tempi nostri assai meno sperabili, benché le cagioni tutto dí ne sussistano. Mi odo giá dire che il tiranno non può voler la moglie di tutti; che è caso anche raro nei nostri presenti costumi, ch’egli cerchi a sedurne due o tre; e che questo fará egli con promesse, doni ed onori ai mariti, ma non mai con l’aperta violenza. Ecco le scellerate ragioni che rassicurano il cuore dei presenti mariti, i quali niun’altra cosa temono al mondo che di non esser essi quei felici che compreranno a prezzo della propria infamia il diritto di opprimere i meno vili di loro. Molti secoli dopo Collatino, nelle Spagne, rozze ancora e quindi non molto corrotte, un altro regio stupro ne facea cacciare i tiranni indigeni e chiamarne de’ nuovi stranieri. Ma nei tempi nostri illuminati e dolcissimi, uno stupro con violenza accader non potrebbe, perché non v’è donna che si [p. 76 modifica] negasse al tiranno, e la vendetta qualunque, se egli pure accadesse, ne riuscirebbe impossibile; perché non v’è padre o fratello o marito, che non si stimasse onorato di un tal disonore. E la veritá qui mi sforza a dir cosa che nelle tirannidi moverá al riso il piú degli schiavi, ma che in qualche altro cantuccio del globo, dove i costumi e la libertá rifugiati si siano, muoverá ad un tempo dolore, meraviglia e indegnazione; ed è che se pure ai dí nostri vi fosse quel tale insofferente e magnanimo, che con memorabile vendetta facesse ripentire il tiranno di avergli fatto un cosí grave oltraggio, l’universale lo tratterebbe di stolido, d’insensato e di traditore; e stranezza chiamerebbero in lui il non voler con molti manifesti vantaggi sopportar dal tiranno quella ingiuria stessa, che tutto dí si suole, senza utile niuno, ricevere e sopportar dai privati. Inorridisco io stesso nel dover riferire queste argute viltá, che sono il piú elegante condimento del moderno pensare; e che, con vocabolo francese, lietamente chiamasi «spirito»; ma nella forza del vero talmente confido che io ardisco sperare che tornerá pure un tal giorno, in cui, non meno ch’io nello scrivere di tali costumi, inorridiranno i molti nel leggerli.

Se nell’ammogliarsi dunque il primo scopo si è d’aver moglie; ove non si voglia pure confondere (come di tante altre cose si fa) il mantenerla coll’averla; avere non si può, perché se non la tolgono al marito il tiranno, o alcuno de’ tanti suoi sgherri, ai quali invano si resisterebbe, gliela tolgono infallibilmente i corrotti scellerati universali costumi, conseguenza necessarissima dell’universal servitú.

Ora che dirò io dei figli? Quanto piú cari essere sogliono i figli che la moglie, tanto piú grave e funesto è l’errore di chi procreandoli somministra al tiranno un sí possente mezzo di piú per offenderlo, intimorirlo ed opprimerlo; come a se stesso procaccia un mezzo di piú per esserne offeso ed oppresso. E da una delle due susseguenti sventure è impossibile cosa di preservarsi. O i figli dell’uomo pensante si educheranno simili al padre, e perciò, senza dubbio, infelicissimi anch’essi; o dal padre riescon dissimili, e infelicissimo lui renderanno. Nati per [p. 77 modifica] le triste loro circostanze al servire, non si possono, senza tradirgli, educare al pensare; ma, nati pur sempre per natura al pensare, non può lo sventurato padre, senza tradire la veritá, il suo onore e se stesso, educargli al servire.

Qual partito rimane adunque nella tirannide all’uomo pensante, quando egli, per somma sfortuna e inescusabile sconsideratezza, ha dato pur l’essere ad altri infelici? È di tal sorta l’errore che il pentimento non vale; cosí terribili ne sono gli effetti e cosí inevitabili che le vie di mezzo non bastano. Bisognerebbe dunque nelle tirannidi o soffocare i propri figliuoli appena nati, o abbandonargli alla pubblica educazione ed al volgar non-pensare. Questo partito da quasi tutti i moderni padri si siegue, e non è men crudele dell’altro, ma molto e piú vile bensí. E a chi mi dicesse (ciò che anch’io pur troppo so, ancorch’io padre non sia) che troppo alla natura ripugna il trucidare i propri figliuoli, risponderei che ripugna alla natura nostra non meno il ciecamente servire all’arbitrio e alla violenza d’un solo; e se poi cosí bene al servir ci avvezziamo, questo infame pregio in noi non si accresce, se non se in proporzione che si scemano in noi tutti gli altri naturali e veri pregi dell’uomo. Quindi è che i filosofi pensatori fra i popoli liberi nessuna differenza, o pochissima, han posto infra la vita d’un bruto e quella d’un uomo, che non sia per aver mai libertá, volontá, sicurezza, costumi ed onore verace. E tali pur troppo debbono riuscire quei figli che stoltamente procreati si sono nella tirannide; a cui se il padre non toglie la vita del corpo, necessariamente toglie loro una piú nobile vita, quella dell’intelletto e dell’animo; ovvero, se sventuratamente l’una e l’altra in essi del pari coltiva, altro non fa un tal misero padre che educar vittime per la tirannide.

Conchiudo che chi ha moglie e prole nella tirannide, tante piú volte è replicatamente schiavo e avvilito, quanti piú sono gl’individui per cui egli è sforzato sempre a tremare.