Della tirannide (Alfieri, 1927)/Libro secondo/Capitolo VI

Da Wikisource.
Capitolo VI

../Capitolo V ../Capitolo VII IncludiIntestazione 14 agosto 2020 75% Da definire

Libro secondo - Capitolo V Libro secondo - Capitolo VII

[p. 93 modifica]

Capitolo Sesto

Se un popolo che non sente la tirannide la meriti o no.

Quel popolo che non sente la propria servitú, è necessariamente tale che non concepisce alcuna idea di politica libertá. Pure, siccome la totale mancanza di questa naturale idea non proviene giá dagli individui, ma bensí dalle invecchiate loro circostanze, che son giunte a segno di soffocare in essi ogni lume primitivo della ragion naturale; la umanitá vuole che al loro errore si compatisca e che non si disprezzino affatto costoro, ancorché disprezzati siano e disprezzabili. Nati nella servitú, di servi padri nati anch’essi di servi, donde oramai, donde potrebber costoro aver ritratto alcuna idea di libertá primitiva? Naturale ed innata nell’uomo ella è, mi si dirá da taluno; ma e quante altre cose non meno naturali, dalla educazione, dall’uso e dalla violenza, non vengono in noi indebolite o cancellate interamente ogni giorno?

Nella romana repubblica, in cui ogni romano nascea cittadino e riputavasi libero, vi nasceano pur anco fra i soggiogati popoli alcuni schiavi, che non poteano ignorar di esser tali, ogni giorno vedendo davanti a sé i loro padroni esser liberi; e coloro si credeano pur di esser servi e nati per esserlo; e ciò soltanto perché erano educati, e di padre in figlio sforzati a riputarsi tali. Ora se nel seno stesso della piú splendida politica libertá che siasi mai vista sul globo, quegli uomini ignoranti e avviliti credeano di dover essi soli esser servi, non sará maraviglia che nelle nostre tirannidi, dove non si profferisce né il nome pure di libertá, veri servi si credano quei che vi nascono; o, per dir meglio, che non conoscendo essi libertá non conoscano né anche servaggio.

Parmi perciò, che i popoli nostri si debbano assai piú compiangere che non odiare o sprezzare; essendo essi innocentemente, e per sola ignoranza, complici senza saperlo del delitto [p. 94 modifica] di servire, di cui ben ampia giá e terribile ne van sopportando la pena. Ma l’odio, lo sprezzo, e se altro sentimento vi ha piú obbrobrioso e feroce, tutti si debbono bensí dai pochi enti pensanti fieramente rivolgere contro a quella picciola classe di uomini che, non essendo stolidi affatto né inetti, ed accorgendosi benissimo di viver servi nella tirannide, sfacciatamente pure ogni giorno il vero, se stessi e gli altri tutti tradiscono, correndo a gara ad adulare il tiranno, ad onorarlo, a difenderlo ed a porgere primi l’infame collo ai suoi lacci; e ciò, col sol patto che doppiamente da essi avvinto ed oppresso ne rimanga il misero ed innocente popolo; presso cui, per ottenere il lor barbaro intento, caldissimi propagatori con astuzia si fanno di ogni dannosa ignoranza.

E, spingendo io piú oltre questa importante differenza fra quella parte di schiavi che nella tirannide si fa istrumento d’oppressione, e quella che (senza saperne il perché) si fa vittima, ardisco asserire una cosa che parrá forse ai molti non vera, ma che io credo pure verissima. Ed è che dalla fedeltá stessa, dalla cecitá ed ostinazione maggiore, con cui i popoli nella tirannide difendono il loro tiranno, si debbe arguire che essi farebbero altrettanti e piú sforzi per la libertá, se mai l’acquistassero; e se fin dalle fasce, in vece del nome del tiranno, come cosa sacra avessero udito sempre religiosamente insegnarsi il nome di repubblica.

Il vizio dunque della tirannide, e il maggiore obbrobrio della servitú, non risiede nel popolo, che in ogni governo è sempre la classe la meno corrotta; ma interamente risiede in quei pochi che il popolo ingannano. Ed in prova, si osservi che ogniqualvolta il tiranno eccede quel modo comportabile dalla umana stupiditá, il primo sempre, anzi il solo per lo piú, che risentirsi ardisca delle estreme ingiurie, si è il piú basso popolo, il quale pure, nella pienissima sua ignoranza, stoltamente reputa il tiranno essere quasi un dio. All’incontro, gli ultimi sempre ad offendersi e a ricercarne vendetta, ancorché ingiuriatissimi siano dal tiranno, son quelli della piú illustre classe, ed i suoi piú famigliari, i quali pure indubitabilmente convinti sono ch’egli è assai meno che un uomo. [p. 95 modifica]

Onde conchiudo che nella tirannide meritano solo di esser servi quei pochi, che avendo in sé la idea di libertá, (e quindi o la forza o l’arte per tentare almeno di riacquistarla per sé, facendola ad un tempo riacquistare ad altrui) antepongono tuttavia di vivere in servitú; ed anzi se ne pregiano essi, e quanto piú sanno e possono, vi costringono il rimanente dei loro simili.