Delle Antiche carceri di Firenze denominate delle Stinche/Parte prima/Capitolo VI

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Capitolo VI

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CAPITOLO VI.

Alcuni cenni sull’interno di quest’antico Edifizio.



Entrando per la Porticciuola, di cui abbiam parlato nel Cap. iv, e fatti pochi passi, si trovava un piccolo cortiletto, in una lunetta del quale vedevasi un’antica pittura, che rimontava certamente all’epoca della fabbrica di quelle Carceri, e che essendo non solamente tutta guasta e annerita, ma pur anche di nessun pregio, fu gettata a terra per dar luogo ai nuovi edifizj da erigersi. Questa rappresentava la Madonna assisa col bambino Gesù in braccio, ed avente da ambedue i lati tre figure di Sante in piedi. Nello stesso cortiletto esisteva un Tabernacolo, con una dipintura, che si dice essere della scuola di Giotto, rappresentante S. Reparata in atto di benedire le insegne delle Milizie della Repubblica fiorentina, che vanno ad espugnare varj paesi; e questa conservasi tuttavia, perchè giudicata degna di esser conservata1. [p. 28 modifica]

Poco distante da quel Cortiletto stava l’Archivio, nel quale fra le altre cose osservavasi il Processo originale del famoso Frate Girolamo Savonarola Domenicano2. Ma tutte quelle interessanti carte e antichi documenti andaron poi espilate e affatto perdute, quando sotto il Governo Francese la stanza dell’Archivio e la contigua furon destinate a servir di corpo di guardia a un picchetto di soldati, che quivi stavano alla custodia dei militari refrattarj o dei colpevoli per cause di brigandaggio.

Entrando per l’altra porta (per quella, cioè, detta de’ Forzati) si vedeva da mano sinistra, ad un’altezza non molto grande, un leone, (animale prediletto dei Fiorentini e da loro tolto ad insegna), scolpito in pietra, sopra una mensola pur di pietra, collocata in quella muraglia, che abbiam già detto aver formato parte delle antiche mura della città di Firenze. Volgendo a mano destra, si trovava una porta che dava l’ingresso ad alcune Carceri, e sopra di essa era la seguente [p. 29 modifica]iscrizione fattavi collocare dal Granduca Cosimo I de’ Medici, l’arme del quale stava quivi in mezzo scolpita.

VIDEBUNT            IVSTI ET
LETAB            VNTVR

Ai lati della porta interna or nominata erano le solite armi del Popolo e della Repubblica di Firenze, la Croce cioè ed il Giglio, e queste davano a conoscere che quelle Carceri non erano state fabbricate per ordine di Cosimo, come lo potrebbe forse far supporre l’iscrizione, ma soltanto da lui restaurate e rimesse in attività. La prima stanza che entrando si trovava, era piuttosto grande e costruita a volta, e questa, dicevasi, essere stata un tempo la sala delle segrete esecuzioni. Infatti in un lato si osservava ad una piccola altezza un’antica pittura guasta ed annerita, rappresentante la Madonna col Bambino Gesù in braccio, davanti alla quale può supporsi che facessero la loro ultima preghiera i condannati a morte.

Delle esecuzioni segrete doveano adunque, a quel che sembra, rallegrarsi i giusti (come dice l’Iscrizione or riportata) i quali avrebber veduto. Ma primieramente, come potean fare i giusti ad essere spettatori di queste esecuzioni, se si facevano nell’interno di un luogo impenetrabile? E secondariamente, come mai avrebber dovuto rallegrarsi dell’ultimo supplizio di sventurati, ancorchè colpevoli? Una morale più retta di quella che in pratica professava Cosimo, ha insegnato ai giusti di compianger la sventura, non già di rallegrarsene.

In faccia poi alla sopra nominata porta dei Forzati, [p. 30 modifica]e precisamente presso all’angolo formato dalle muraglie di levante e di mezzogiorno, era un gran terrapieno, nel quale, facendosene ora lo scavo, furon trovate le ossa di circa dugento cadaveri umani; la qual cosa fa credere che quel terrapieno molto comodamente servisse ad uso di Cimitero in quei tempi forse, nei quali un tirannico potere od una prevalente fazione cercava stabilmente consolidarsi a prezzo di lacrime e di sangue, e decimando le vite dei cittadini.

Molte cose sono state dette in proposito di scheletri umani, quivi rinvenuti murati, di prigioni piccolissime e bassissime in modo che era impossibile lo starvi in piede. Ma di tutto ciò, perchè da me non verificato ocularmente, non posso dare una accertata contezza.

Note

  1. Non ho potuto esaminare da per me questa Pittura, essendo presentemente coperta da delle tavole, onde preservarla dal soffrir detrimento in occasione della demolizione di quest’edifizio; e perciò ho questo dovuto riportare quella descrizione, la quale mi è stata favorita. Nel momento peraltro che pongo sotto il torchio questo libretto, giunge a mia notizia, che una persona di tali materie intelligente, avendo già veduto la suddetta pittura, sospetta che possa essere di quel Cennino Cennini da Colle di Val d’Elsa, del quale ci narra brevemente la vita il Baldinucci. Dalla data ex Carcere Stincarum apposta dal Cennini ad un trattato da lui scritto sull’arte della Pittura, si argomenta che egli stesse un tempo rinchiuso nelle Stinche, e che quindi potesse questi essere il dipintore di quel Tabernacolo. Ciò avrebbe dovuto succedere intorno al 1437.
  2. Fra Girolamo Savonarola, capo del partito detto dei Piagnoni, tentando col mezzo di un mal inteso bigottismo di riformare il governo di Firenze e di acquistarsi gran numero di fautori onde opporsi all’altra fazione detta degli Arrabbiati, fautrice della tirannica potenza de’ Medici, incontrò l’odio di molti e del Papa Alessandro vi pur anche, in modo che pagò colla vita il fio del suo zelo democratico insieme e religioso.