Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831/Il viaggio di Pulcinella/Scena quinta
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Il viaggio di Pulcinella
Scena quinta
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SCENA QUINTA.
Pulcinella, il Dottore, l’Arte, il Commercio e la Proprietà.
- Pulcinella
- Finchè l’oste ci prepara da pranzo, ragioniamo un poco delle faccenduole nostre. Cosa ne dite, signor Dottore? Vogliamo stabilirci nella terra della libertà, oppure bisognerà rassegnarsi e tornare a vivere alla meglio in un regno assoluto?
- Il Dottore
- Pulcinella mio, questo di dare addietro è un passo troppo duro. Dopo che abbiamo sparlato tanto dei re e abbiamo fatto tante pazzie per ottenere la costituzione, chi ci vedrà tornare con le trombe nel sacco ci farà dietro le fischiate.
- Pulcinella
- Dite bene, ma ci vorrà pazienza, e li lascieremo fischiare. Per un rispetto umano non torna conto arrischiare la pelle, e perdere per sempre la nostra pace.
- Il Dottore
- Eppure il rispetto umano è una gran cosa. Scommetterei che nove decimi dei liberali rifugiati in Francia conoscono di avere pigliato un granchio, ma tuttavia si contentano di vivere nell’esilio e nella miseria piuttosto che confessare di avere errato.
- Pulcinella
- Dunque per la paura di un fischio vorremo vivere e morire da disperati?
- Il Dottore
- Non ci è bisogno di questo, ci applicheremo ad un mestiere, e vivremo onoratamente senza dar fastidio a nessuno.
- L’ Arte
- Scusate buona gente, se metto la bocca nei fatti vostri; ma non pensate mai di vivere colle arti al tempo della rivoluzione.
- Pulcinella
- E perché?
- L’ Arte
Le arti vogliono la quiete e la ricchezza dello Stato, ma la rivoluzione mette tutto sossopra, e in tempo di tumulti non ci è la tranquillità necessaria per lavorare, e non si trova chi metta fuori un bajocco per acquistare i lavori. Prima delle tre maledette giornate la Francia era tranquilla e ricca, e il prosperamento delle sue arti faceva invidia a tutta l’Europa, ma dopo quei giorni fatali la prosperità delle arti è fuggita con la prosperità della Francia. Una parte degli artieri sedotta dagli errori del tempo abbandona i lavori per correre a mischiarsi nelle novità; un’altra parte vedendo mancarsi il travaglio non lo ricerca come un dono della Providenza, ma lo pretende come un tributo che si deve alla propria decantata sovranità; tutti fanno sedizioni e tumulti, e tutti vivono nel delitto e nella miseria.
- Il Dottore
- Si dice però che la nazione si occupa grandemente per somministrare lavoro agli operaj.
- L’Arte
- Questo è peggio di tutto, e quando vedete le arti non essere più ricercate, e il governo affaccendarsi per dare lavoro agli artisti, dite pure che le arti sono andate, e che il governo è debole e disperato. Il corpo sociale è come il corpo umano, il quale finchè sta sano e robusto, sente gli appetiti naturali e vi provede da se medesimo, ma quando gli altri lo costringono a cibarsi per forza, è segno che si trova ammalato. La merce più screditata di tutte è quella che nessuno vuole, se non è violentato a comprarla.
- Il Dottore
- Cosa mi dite mai! Avrei creduto piuttosto che i lavori del governo mettessero le arti in più credito.
- L’Arte
- I lavori ordinati liberamente dal governo, quando esso si trova nell’abbondanza e nel vigore, servono certamente, come tutti gli altri lavori, all’incremento delle arti; ma non accade così quando è palese ad ognuno che il governo è povero, e che con tutto ciò il timore del popolo lo condanna ai lavori forzati. Allora tali lavori si fanno malamente e trascuratamente, gli operaj diventano baldanzosi, presumendo che il pubblico abbia la obbligazione di provederli, gli imprenditori privati perdono il coraggio di impegnarsi con una classe inviziata e corrotta, e con ciò lo sforzo fatto dal governo per sostegno delle arti la spinge a maggiore rovina.
- Pulcinella
- E bene: lasciamo stare li mestieri che in ogni modo alli liberali la fatica piace poco. Piuttosto apriremo una botteghella di mercanzie, e verremo campando.
- Il Commercio
- Non pensate mai a questo sproposito, perchè vi rovinereste del tutto.
- Pulcinella
- Manco la mercanzia va bene nel paese della costipazione?
- Il Commercio
- La mercatura è rovinata affatto; ed io che sono il Commercio, so quello che dico. Il commercio si esercita col trasportare e barattare le mercanzie, ed è fondato sulla buona fede per la sicurezza de’ pagamenti. Quando in uno Stato si fa la rivoluzione, e ogni giorno ci è un nuovo susurro, le condotte sono sempre in pericolo, la ricchezza e la vita dei mercanti dipendono da un filo, la tranquillità è perduta, la fiducia non si trova più, e il povero Commercio è fallito. Al tempo di Luigi XVIII e di Carlo X io in Francia ero divenuto un gigante, ma dopo il temporale delle tre gloriose giornate sono rimasto un pollastrello senza le penne.
- Il Dottore
- Ho capito; quì non ci è da pensare a guadagni, e bisogna mantenersi col suo. E bene, investiremo il nostro poco danaro, compreremo una casuccia, e vivremo tranquillamente.
- La Proprietà
- Se volete restare in camicia, questa è la strada più corta di tutte.
- Il Dottore
- Come! Neppure con le proprie entrate si può vivere tranquilli nella Francia?
- La Proprietà
- Io mi chiamo la Proprietà, e vi basti di vedere le mie vesti per considerare come sono ridotta.
- Pulcinella
- Povera donna! Siete tutta stracciata.
- La Proprietà
- Quest’è l’opera della rivoluzione. Quando le cose stanno al loro posto, il ricco sta un poco meglio del povero, e chi può accumulare qualche capitaluccio assicura la sua sussistenza. Quando però lo spirito della rivoluzione imbriaca le menti degli uomini, ogni meno si rivolta contro il suo più, la povertà dichiara la guerra alla ricchezza, e il possedere qualche cosa diventa un delitto.
- Il Dottore
- Il governo però pensa esso a garantire le proprietà dei privati.
- La Proprietà
In tempo di rivoluzione il governo si tiene a un filo, e bisogna che aduli la moltitudine da cui teme di essere subbissato dall’uno all’altro momento. Per questo il popolo, quando gli viene la voglia, devasta i campi de’ proprietarii, saccheggia e incendia le loro case e palazzi, e il governo o finge di non vederlo, o si trova impotente a recarci rimedio. Ma ancora senza di ciò ognuno sa che l’acqua da qualunque luogo si cavi, si cava sempre a conto della fontana, e così girate, rigirate quanto volete, tutto l’immenso dispendio della rivoluzione va a finire a carico della proprietà. Per questo sono ridotta in camicia, e la classe dei proprietarii è più infelice di tutto.
- Pulcinella
- Venga il canchero alla rivoluzione, e a tutti quelli che le soffiano dietro. Quando è così, in un paese rivoluzionato non ci è più la maniera di vivere.
- Il Dottore
- Lasciate dire, Signor Pulcinella, le cose non possono essere in questo modo, e costoro senza meno sono Carlisti, e procurano di seminare il malcontento nel popolo.
- La Proprietà
- Così va detto. La rivoluzione discaccia i re dai loro troni, semina l’empietà, la licenza e il furore, e quando raccoglie il disordine, la strage e la miseria, butta la colpa sopra i partigiani dei re. Questo linguaggio sfacciato che tengono i liberali contro la evidenza dei fatti e contro la loro coscienza, mostra quanto sia sacra la causa dei tre colori.
- Il Dottore
- Via, via, in questi discorsi ci si vede la parzialità, e noi prima di risolverci vogliamo considerare le cose senza passione. Facciamo così, signor Pulcinella, andiamo a consultare un filosofo, il quale ci dirà la verità, e ci consiglierà imparzialmente.
- Pulcinella
- Andiamo pure a trovare la Fisolofia, ma ho paura che non faremo niente, e il meglio nostro sarà tornare a Napoli con la coda fra le gambe.