Discorsi politici (Guicciardini)/V. - Se 'l Gran Capitano debbe accettare la impresa di Italia

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V. - Se 'l Gran Capitano debbe accettare la impresa di Italia

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V. - Se 'l Gran Capitano debbe accettare la impresa di Italia
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[Se ’l Gran Capitano debbe accettare la impresa di Italia.]1


Io non mi maraviglio piú che nelle cose dubie si truovino tante questione e contrarietá di opinione tra gli antichi scrittori, poi che io veggo che e’ non manca chi vogli in una cosa tanto chiara mettere disputa. Tutti gli amici vostri, poi che voi tornasti da Napoli, si sono sempre doluti che la altezza del re vi abbi tenuto in ocio, ed è loro dispiaciuto che la abbi in guerre tanto importanti adoperato altri capitani e voluto piú tosto con suo danno detrarre alla gloria vostra, che con sua utilitá darli augumento. Questo medesimo dolore abbiamo creduto essere stato nel petto vostro e ragionevolmente, perché nessuno dispiacere può essere maggiore negli uomini grandi e che si conoscono virtuosi, che non avere facultá di mostrare quello che e’ sono, e che con danno di altri le virtú loro stieno oscure. Né ha anche la natura dati tanti ornamenti a uno uomo perché li stieno sepulti, ma perché con quelli giovi alli altri; e però chi si tiene sufficiente e non si vuole mostrare quando ne ha commoditá, manca non solo a sé medesimo, ma a tutta la generazione umana, ed è da essere comparato a uno avaro che tiene e’ sua tesori occulti nella cassa sanza profittarne a sé o a altri. Ora doppo molto tempo vi è [p. 105 modifica] dato facilitá tornare alle faccende, la quale vi debbe essere tanto piú grata, quanto piú è stata desiderata, e con quanto maggiore gloria vostra vi si offerisce, perché avendo sua altezza provati altri capitani sanza successo, ed ora per necessitá ricorrendo a voi, si mostra quanta differenzia sia da voi alli altri.

Lo accettare questa espedizione, considerate, Gran Capitano, che vi porta tutte quelle cose che sono stimate dagli uomini: gloria grandissima, perché ritornando voi nel corso delle arme, che è la propria professione vostra, nelle azione grande, a espedizione preclare, in una provincia dove la fama vostra è maggiore che nella patria, contro a una nazione ed eserciti che triemano del vostro nome per avervi altra volta provato con tanto loro danno, ed e’ quali se voi vincesti in uno tempo che voi non li conoscevi né loro aveano provato voi, in tempo che voi eri solo, loro colli aiuti e forze di tutta Italia, quando li aveano capitani veterani e buoni, chi può dubitare che ora voi non li abbiate a vincere, quando voi siate accompagnato da tanti aiuti, loro soli; voi colla esperienzia avete imparato el modo di vincerli, loro per tante rotte triemono della vostra virtú; voi capitano veterano e migliore che allora, loro con capi nuovi e giovani e che non hanno nome o esperienzia; questa vittoria quanta fama vi abbi a dare chi non lo sa? E se bene la gloria vostra è grandissima da potersene contentare, è anche grande lo animo e generoso, e non si truova che nelli animi generosi fussi mai sazietá di gloria.

La utilitá quanta sia non voglio darne altra ragione, se non che voi misuriate quale erano le ricchezze vostre innanzi alla guerra, quale sia oggi doppo le vittorie lo stato e la rendita che voi tenete; e ricordatevi che gli è maggiore difficultá venire di uno grado basso a uno mediocre, che non è da uno mediocre venire a uno sommo, e che non può essere maggiore carico a’ savi che non sapere seguitare la fortuna sua, la quale ha forse per questa via destinato di condurvi a uno stato equale alle vostre virtú. E benché la soglia essere mutabile, [p. 106 modifica] nondimeno questo non vi debbe ritirare, perché e’ savi se ne sogliono difendere, e non si potendo ottenere le cose grande sanza qualche pericolo, si debbono le imprese accettare ogni volta che la speranza è maggiore che la paura. E se non vi muove lo appetito della gloria e grandezza, parendovi averne a sufficienzia, considerate piú lá, Gran Capitano, che rifiutando questa impresa si viene a diminuire la gloria acquistata da voi insino a oggi; perché chi non vede che stando voi in ocio, in pace, con veste lunghe ed abiti civili, alla ombra la fama vostra invecchia tuttogiorno, manca uno certo vigore fresco, ed el nome vostro si regge non in sul fulgore delle cose presenti, ma in sulla riputazione delle passate, come di Pompeio a comparazione di Cesare dicevano li antichi scrittori? El tempo e lo ozio vi logora. Ma quello che è piú, recusando questa amministrazione, date causa di credere a’ populi che lo animo vi manchi e che voi medesimo diffidiate di voi; di che può nascere disputa quale abbi potuto piú nelle azione vostre passate o la fortuna o la virtú. Finalmente per conchiudere in una cosa tanto chiara, vogliate piú tosto le faccende di Cesare che el brutto ocio di Lucullo, ed eleggete piú tosto la occasione di crescere in infinito la gloria e lo stato vostro, vivendo in Italia ed in Napoli come re, che voluntariamente invecchiarla e diminuirla stando in Castiglia come suddito.

  1. Precede, di mano dell’autore, e d’altro inchiostro: Questo scrissi l'anno 1512 essendo imbasciadore in Spagna.