Discorsi politici (Guicciardini)/VIII. - Sulla proposta fatta ai Veneziani d'entrare nella lega contro i Francesi

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VIII. - Sulla proposta fatta ai Veneziani d'entrare nella lega contro i Francesi

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VIII. - Sulla proposta fatta ai Veneziani d'entrare nella lega contro i Francesi
VII. - Sulla discesa di Francesco I in Italia nel 1515 IX. - Sullo stesso argomento. In contrario per la opinione che prevalse

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VIII

[Sulla proposta fatta ai Veneziani d'entrare nella lega contro i Francesi .]


Da poi che e’ franzesi furono usciti totalmente di Italia per la guerra che si cominciò vivente Leone, dubitandosi del ritorno loro, l’anno 1523 del mese di agosto, fu fatto nuova lega tra papa Adriano, imperadore, re d’Inghilterra, duca di Milano, fiorentini, genovesi e tutto el resto di Italia, eccetto e’ viniziani, ed ordinata una contribuzione per la difesa di Milano. E si faceva instanzia di tirare e’ viniziani in questa lega, al quale effetto era stato in Vinegia molti mesi el signor Ieronimo Adorno, e doppo la morte sua vi andò el protonotario Caracciolo in nome dello imperadore; e trattandosi in pregati questa deliberazione, chi recusava lo alienarsi da Francia e convenire con Cesare parlò cosí:

Rare volte, se io non mi inganno, onorevoli senatori, ha avuto a’ tempi nostri la nostra republica caso alle mani piú importante che questo, nel quale dobbiamo sopra ogni cosa porre da canto tutte le passioni e rispetti privati, non solo per pigliare quella deliberazione che sia piú a nostro proposito, ma ancora per conservare la antica degnitá di questo senato; perché è giá sparso voce per tutta Italia ed apresso a’ principi, che tra noi cominciano le divisione, e che de’ nostri principali alcuni sono imperiali, alcuni franzesi; cosa che come io sono certissimo essere falsissima, cosí è officio nostro [p. 121 modifica] governarci di sorte, che né per tôrre autoritá l’uno all’altro, né per altra causa, non possa io non dico seguirne uno tale effetto, ma né etiam nascerne nelle mente di persona una minima suspizione, perché, oltre alli altri danni, una opinione tale oscurerebbe troppo la inveterata riputazione di questa republica.

A me pare che a volere risolvere bene tutta questa materia s’abbino a considerare distintamente dua capi: el primo è che sia da fare in caso che noi presuppognamo che e’ franzesi passino di presente in Italia, come loro efficacemente affermano; el secondo, che sia da fare in caso che noi presuppognamo che e’ franzesi non passino di presente, come è opinione del nostro imbasciadore. Quanto al primo, cioè in caso che noi presuppognamo la passata de’ franzesi, non credo si faccia dubio alcuno, perché l’onore e lo utile, che sono quelle due cose alle quali s’ha a risguardare nelle deliberazioni publiche, ci confortano a tenere fermo con loro: l’onore, perché non possiamo negare avere lega seco, la quale non è variata per gli accidenti della fortuna né per le sue avversitá, anzi dura piú ferma e piú constante che mai, e se bene gli oblighi nostri parlano a difesa dello stato di Milano, e questo non pare che sia piú in essere perché l’hanno perduto e trattano ora non di difenderlo ma di recuperarlo, nondimanco questo accidente ha variato piú tosto le parole che la intenzione de’ contraenti, la quale fa obligarsi a ogni bisogno che accadessi loro per la ducea di Milano, né si conviene a una republica come la nostra, che sempre è proceduta nelle sue cose con tanta gravitá e maiestá, fondarsi come fanno e’ legisti in sulle cavillazione e corteccie delle parole, ma andare drieto al vero senso ed intelletto delle cose, tanto piú che noi medesimi abbiamo prima che ora dichiarato questo articolo, ed in ogni maneggio presupposto sempre di essere obligati di dare aiuto a questa recuperazione.

E questa difficultá tra le altre abbiamo sempre allegato, prima al signor Ieronimo Adorno e poi al Caracciolo, e da altra banda stimolato tutto questo anno e’ franzesi al passare, [p. 122 modifica] offrendoli lo aiuto a che siamo tenuti per li capituli, il che se non hanno fatto a’ tempi che noi abbiamo instato, e datoci causa di protestare che provederemo a’ fatti nostri, non per questo l’abbiamo fatto; in modo che, sendo venuto el caso che loro siano per passare, restano le obligazione nostre accese come prima, le quali quando ancora si potessino dire resolute, tanto piú osservandole ce ne resulta maggiore onore, ed è uno paragone tanto magnifico della constanzia di questo senato, e del conto che la tiene degli amici suoi etiam nelle avversitá, che non solo avendo occasione di guadagnare nome onorevole, non si debbe volerla pretermettere, ma doverremo cercare di ritenerlo, quando bene fussi con qualche danno e pericolo; perché le azione di una tanta signoria non si hanno a misurare come quelle de’ mercatanti e de’ privati, che el piú delle volte si dirizzano alla utilitá, ma debbono sempre avere per uno de’ fini principali la magnificenzia, la degnitá, lo splendore.

Quanto alla utilitá, la cosa è chiarissima; perché è molto piú a proposito nostro che nello stato di Milano siano e’ franzesi che lo imperadore, la grandezza del quale è troppo pericolosa al nostro dominio, perché oltre alli altri stati piú lontani, ha el regno di Napoli, ha el ducato di Austria che entra in corpo delle cose nostre, ha in Italia le ragione dello imperio ed el seguito della fazione ghibellina, che fanno formidoloso uno imperadore bene debole, non che uno che ha tanta potenzia; pretende ragione particulare in molte delle nostre terre, molte n’ha dominate lo avolo suo frescamente, ed in molte come sapete ha grandissime inclinazione; in modo che se a tanti fondamenti si aggiugne che si stabilisca nello stato di Milano, a noi non resta forma alcuna di poterci difendere. Da altro canto se e’ franzesi lo pigliano, la vicinitá loro non ci porta alcuno pericolo, perché oltre che non aranno tante opportunitá di confinare con noi da piú parte, né pretendono ragione fresche allo stato nostro, né vi hanno le dependenzie che ha questo altro, né sono uomini atti o per virtú militare o per industria ed acume di ingegno a acquistare e conservare gli stati come sono gli spagnuoli. [p. 123 modifica]

Lo odio per tante ingiurie fresche e nuove, e per la emulazione che hanno con lo imperadore è tale ed el timore della potenzia ed arme sue, che aranno sempre vòlto lo occhio a questo, né aranno pensiero o occasione di travagliarci, anzi procureranno di stare sempre uniti con noi, cognoscendo che con la nostra coniunzione terranno sicure le cose di Italia. Hanno fatto esperienzia con suo danno che frutto gli abbia fatto la lega di Cambrai e la ruina nostra, e cognosciuto molte volte la virtú o la fortuna degli spagnuoli essere maggiore che la sua; però non abbiamo da temere che recuperato lo stato di Milano ritornino a quelle unione, né che mai pensino a partito o divisione alcuna per la quale lo imperadore abbia in Italia a vicinare seco, perché la esperienzia gli ha ammaestrati di quello che non insegnò loro la prudenzia. Sanza che, le ragione di quelli tempi furono molto diverse, perché Massimiano era in comparazione di questo uno debole principe; né messono allora in Italia ed in sua vicinitá uno re potente come questo, anzi di qualitá che per la debolezza e disordini suoi si poteva sperare che n’avessi a uscire presto, come sarebbe intervenuto se non si fussi poi di nuovo unito tutto el mondo a battere loro. Se la fortuna buona di Italia avessi potuto piú che la imprudenzia di Lodovico Sforza, e poi, che la nostra o troppa paura o troppa cupiditá, non sarebbono oltramontani in Italia, e questa sarebbe la felicitá di tutta questa provincia e spezialmente la nostra, che eravamo temuti da li altri, ed in fatto davamo, si può dire, le legge a tutti; ma poi che le cose sono scorse in luogo che non si può sperare che Italia sia sanza barberi, è molto meglio per noi e per li altri italiani che ce ne sia due, che uno, perché la emulazione che aranno questi dua potenti insieme, sará la guardia de’ manco potenti, ed in spezie ciascuno fará a gara di intrattenere la nostra republica, perché in tal caso troppo importerá la potenzia nostra.

Ed io fo tutto questo discorso presupponendo che lo imperadore terrá per civetta nello stato di Milano Francesco Sforza, mentre ará bisogno di servirsene; ma se gli cessassino le difficoltá ed e’ sospetti de’ franzesi, quello ducato è sí grosso [p. 124 modifica] boccone che non s’ha da dubitare che lo leveranno via, e gli sará facile, sendo lui sanza forze, sanza appoggi e sanza riputazione. Non cognosciamo noi la astuzia e la avarizia spagnuola, non la cupiditá tedesca? non la ambizione naturale di tutti e’ príncipi? Lui è sanza figliuoli, sanza fratelli, di complessione, secondo si intende, debole; potrá mancare facilmente di morte naturale o dare colore di qualche morte artificiosa. Non ci inganniamo in questo: se e’ franzesi si escludono dalle cose di Italia, siamo pazzi se non tegnamo per certo che lo imperadore sará signore di Milano, e noi circundati da ogni banda ed in quelli pericoli che ho detto di sopra.

La nostra salute adunche consiste che e’ franzesi recuperino el ducato di Milano, e questo è in mano nostra in caso che loro passino, perché aggiunto gli aiuti nostri alle forze loro, non veggo difficultá che non abbino a vincere la impresa, perché gli spagnuoli non solo non aranno modo da potere stare in campagna, ma non potranno per mancamento di danari difendere lungamente le terre, le quali hanno bisogno di grossa provisione. Milano è oramai per sí lunghe spese molto esausto; di Spagna hanno avuto sempre pochi e tardi sussidi; hanno nel reame di Napoli posto tante taglie ed alienate tante delle entrate della corona che si può dire ne possono aspettare pochi danari; questa contribuzione di Italia in che loro fanno fondamento, non dura se non tre mesi, e finiti quegli, el papa che con difficultá vi si è condotto, ed è stato persuaso che in questo tempo la guerra si ultimerá, o cesserá o allenterá di contribuire. E’ fiorentini doppo e’ tre mesi non potranno piú, sí grossa soma gli hanno posta; e loro vi sono venuti non per volontá ma per la potenzia del cardinale de’ Medici; e’ sanesi e lucchesi per paura. Però non solo si straccheranno con questo tempo, ma come vegghino e’ franzesi in Italia e noi uniti con loro, tale ora tace che allora ardirá di parlare.

Nella impresa passata gli spagnuoli si valsono assai di danari del regno e di Milano, ed ebbono e’ populi piú freschi e piú gagliardi che non sono ora; ed all’incontro e’ franzesi ci vennono quasi a caso per soccorrere le reliquie dello stato [p. 125 modifica] di Milano e con poca provisione di danari, in modo che furono forzati a abbandonare presto la impresa; cose che ora saranno tutte in contrario, perché franzesi hanno avuto tempo a respirare e, secondo che si intende, hanno messo insieme grossa somma di danari; e perché hanno scoperto el modo della difesa di costoro, sapranno meglio governarsi; ed in effetto è da credere che la vittoria sará di chi potrá piú reggere la spesa, e questi saranno sanza dubio e’ franzesi.

Resta considerare quello che sia da fare in caso che e’ franzesi non passino. In che io tengo la medesima opinione, perché essendoci pericolosissimo che Cesare si faccia signore di Milano, la utilitá nostra ricerca che noi ci dilunghiamo da tutti quelli partiti che gli diano facultá di stabilirsi in quello stato; e se bene fussimo certi che e’ franzesi non siano per passare di presente, non debbiamo levare loro le occasione, né quanto è in noi serrare loro la via di passare a altro tempo; perché mentre che lo imperadore temerá di questo, bisognerá che mantenga in Milano Francesco Sforza, ma assicurato da questo timore lo leverá cosí volentieri come lo potrá fare facilmente. A questo mi sará risposto che io direi bene se noi non ci tirassimo la guerra addosso, la quale sanza dubio ci sará mossa se noi non ci accordiamo con Cesare, ed e’ franzesi non passino; e lo implicarsi ne’ pericoli e spese presente o per interesse di altri o per fuggire le spese ed e’ pericoli futuri, non è uficio di savi, e’ quali sogliono ponere questa regola, che uno de’ potenti rimedi che siano contra e’ mali, è allungare quanto si può, perché el tempo per sé stesso porta seco spesso accidenti che te ne liberano. E sono ragione verissime, quando fussi vero che noi fussimo per avere la guerra; ma io credo el contrario, perché ancora che e’ franzesi non passino, non hanno guerra in Francia né tali impedimenti che gli proibischino el passare; però ogni volta che costoro ci irritino, hanno da credere che noi fareno a’ franzesi di quegli partiti che insino a ora non abbiamo voluto fare, e gli fareno passare, e cosí el romperci guerra per assicurarsi da’ franzesi, non gli assicura ma gli mette in manifesto [p. 126 modifica] pericolo. Questa è la ragione che con tanti imbasciadori, con tanti prieghi e con tante summissione hanno cercato lo accordo nostro, il che non arebbono fatto se avessino veduto potersi assicurare da noi per via della guerra, la quale non cominceranno, sendo massime noi potenti e di danari e di terre forte come siamo, perché provocherebbono la venuta de’ franzesi, ed allo arrivare loro si troverrebbono, nel molestare noi, consumate quelle contribuzione che hanno procurate con tanta difficultá per potere spenderle contro a’ franzesi.

Invano adunche temiamo di questo pericolo; el quale se non ci muove, nessuna ragione ci debbe muovere di essere contro a quelli la vittoria di chi ci è utile, e fare grandi coloro che ci saranno sempre inimici. El variare sarebbe scusato quando la necessitá ci inducessi, ma la utilitá nostra è stare fermi, perché e’ membri principali di Italia non venghino in mano di uno solo, ed alla degnitá nostra si conviene dimostrare constanzia e generositá, e che non temiamo di quelle cose che non sono da temere.

Dirò piú oltre, ma in questo voglio insistere poco per non parere di tôrre fede al vostro oratore, che molte ragione promettono che e’ franzesi siano ora per passare; perché questo è certissimo che lo animo del re è acceso, anzi ostinato in questa impresa: ha avuto tempo di respirare e mettere danari insieme, e si intende che l’ha fatto, né si vede dal canto di lá preparazione che per molti mesi gli possa essere fatto guerra di Inghilterra e di Spagna; alle quali cose io presto piú fede che alle asserzione loro, massime che avendogli noi fatto piú volte intendere che sareno necessitati a pigliare partito, è credibile che accelereranno per non dare alli inimici le arme nostre, delle quali possono valersi per loro. E se pure e’ passassino, collegati che noi fussimo con questi altri, pensate che dolore sarebbe el nostro, considerando avergli aspettato tanto tempo in mezzo di tante difficultá e di tanti inimici, e poi avergli abbandonati a punto quando venivano; e quanto saremo imputati apresso alle altre nazione, o di poca diligenzia, o di poca prudenzia, o di troppa timiditá. Né vi persuadete [p. 127 modifica] che se loro sono in procinto di passare, che lo accordarsi noi con questi altri gli faccia mutare sentenzia: non è questa la natura de’ franzesi che per uno accidente nuovo ritardino uno moto giá cominciato, né la potenzia loro è tale, avendo massime questa opportunitá de’ svizzeri, che anche ragionevolmente debbino farlo, perché aranno tante forze e tanta copia di danari, che non sará gran fatto che sanza tentare la fortuna consumino questi altri; e vincendo ci saranno inimici, e perdendo, vincono gli inimici nostri. Però faccendo fine al parlare, el parere mio è, che noi, o passando o non passando e’ franzesi, non abbiamo da temere guerra da questi altri, e però che sia molto piú a proposito nostro non si discostare dalla amicizia loro, e dargli animo a venire in Italia per la salute nostra, che collegandoci con lo imperadore, inimico nostro naturale, dargli co’ nostri danari occasione di stabilirsi nel ducato di Milano, acciò che fatto questo, lo stato nostro resti totalmente a discrezione sua.