Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro terzo/Capitolo 38

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Libro terzo

Capitolo 38

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Come debbe essere fatto uno capitano
nel quale lo esercito suo possa confidare.

Era, come di sopra dicemo, Valerio Corvino con lo esercito contro ai Sanniti, nuovi nimici del Popolo romano: donde che, per assicurare i suoi soldati, e per farli conoscere i nimici, fece fare a’ suoi certe leggieri zuffe; e non gli bastando questo, volle, avanti alla giornata, parlare loro, e mostrò, con ogni efficacia, quanto ei dovevano stimare poco tali nimici, allegando la virtù de’ suoi soldati, e la propria. Dove si può notare, per le parole che Livio gli fa dire, come debbe essere fatto uno capitano in chi lo esercito abbia a confidare; le quali parole sono queste: «Tum etiam intueri, cuius ductu [p. 217 modifica]auspicioque ineunda pugna sit, utrum, qui audiendus dumtaxat magnificus adhortator sit, verbis tantum ferox, operum militarium expers, an qui et ipse tela tractare, procedere ante signa, versari media in mole pugnae sciat. Facta mea, non dicta, vos, milites, sequi volo; nec disciplinam modo, sed exemplum etiam a me petere, qui hac dextra mihi tres consulatus, summamque laudem peperi». Le quali parole, considerate bene, insegnano a qualunque, come ei debbe procedere a volere tenere il grado del capitano: e quello che sarà fatto altrimenti, troverrà, con il tempo, quel grado, quando per fortuna o per ambizione vi sia condotto, torgli e non dargli riputazione; perché non i titoli illustrono gli uomini, ma gli uomini i titoli. Debbesi ancora dal principio di questo discorso considerare che, se gli capitani grandi hanno usati termini istraordinari a fermare gli animi d’uno esercito veterano quando con i nimici inconsueti debbe affrontarsi; quanto maggiormente si abbia a usare la industria quando si comandi uno esercito nuovo, che non abbia mai veduto il nimico in viso! Perché, se lo inusitato inimico allo esercito vecchio dà terrore, tanto maggiormente lo debbe dare ogni inimico a uno esercito nuovo. Pure, si è veduto molte volte dai buoni capitani tutte queste difficultà con somma prudenza essere vinte: come fece quel Gracco romano, ed Epaminonda tebano, de’ quali altra volta abbiamo parlato, che con eserciti nuovi vinsono eserciti veterani [p. 218 modifica]

ed esercitatissimi. I modi che tenevano erano, parecchi mesi esercitargli in battaglie finte, assuefarli alla ubbidienza ed all'ordine, e da quelli dipoi con massima confidenza nella vera zuffa gli adoperavano. Non si debbe adunque diffidare alcuno uomo militare di non potere fare buoni eserciti, quando non gli manchi uomini; perché quel Principe che abbonda di uomini e manca di soldati, debbe solamente, non della viltà degli uomini, ma della sua pigrizia e poca prudenza dolersi. 


Capitolo XXXIX

Che uno capitano debbe essere conoscitore dei siti.


Intra l'altre cose che sono necessarie ad un Capitano d'eserciti, è la cognizione dei siti e dei paesi, perché senza questa cognizione generale e particolare un Capitano d'eserciti non può bene operare alcuna cosa. E perché tutte le scienze vogliono pratica a voler perfettamente possederle, questa è una che ricerca pratica grandissima. Questa pratica, ovvero questa particulare cognizione, s'acquista più mediante le cacce, che per veruno altro esercizio. Però gli antichi scrittori dicono che quelli eroi, che governarono nel loro tempo il Mondo, si nutrirono nelle selve e nelle cacce; perché la caccia, oltre a questa cognizione, t’insegna