Discussione:Italia - 23 marzo 1919, Discorso sulla fondazione dei Fasci di Combattimento

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Italia - 23 marzo 1919, Discorso sulla fondazione dei Fasci di Combattimento
Edizione 
Scritti e Discorsi di Benito Mussolini, Edizione Definitiva - I
Dall'intervento al fascismo (15 novembre 1914 - 23 marzo 1919)
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SAL 75% (12 novembre 2014)

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Rispetto alla versione presente su www.dittatori.it il discorso nella versione cartacea è più corto, quasi certamente perché la versione "lunga" è quella comparsa sul giornale Il Popolo d’Italia il giorno dopo. Riporto qui il brano che non ho trovato nell'edizione cartacea da me utilizzata.

Brano aggiunto su www.dittatori.it
Noi non abbiamo bisogno di metterci programmaticamente sul terreno della rivoluzione perché, in senso storico, ci siamo dal 1915. Non è necessario prospettare un programma troppo analitico, ma possiamo affermare che il bolscevismo non ci spaventerebbe se ci dimostrasse che esso garantisce la grandezza di un popolo e che il suo regime sia migliore degli altri.

È ormai dimostrato irrefutabilmente che il bolscevismo ha rovinato la vita economica della Russia. Laggiù, l’attività economica, dall’agricoltura all’industria, è totalmente paralizzata. Regna la carestia e la fame. Non solo, ma il bolscevismo è un fenomeno tipicamente russo. Le nostre civiltà occidentali, a cominciare da quella tedesca, sono refrattarie.

Noi dichiariamo guerra al socialismo, non perché socialista, ma perché è stato contrario alla nazione. Su quello che è il socialismo, il suo programma e la sua tattica, ciascuno può discutere, ma il Partito Socialista Ufficiale Italiano è stato nettamente reazionario, assolutamente conservatore, e se fosse trionfata la sua tesi non vi sarebbe oggi per noi possibilità di vita nel mondo. Non è il Partito Socialista quello che può mettersi alla testa di un’azione di rinnovamento e di ricostruzione. Siamo noi, che facendo il processo alla vita politica di questi ultimi anni, dobbiamo inchiodare alla sua responsabilità il Partito Socialista Ufficiale.

E’ fatale che le maggioranze siano statiche, mentre le minoranze sono dinamiche. Noi vogliamo essere una minoranza attiva, vogliamo scindere il Partito Socialista Ufficiale dal proletariato, ma se la borghesia crede di trovare in noi dei parafulmini, s’inganna. Noi dobbiamo andare incontro al lavoro. Già al tempo dell’armistizio io scrissi che bisognava andare incontro al lavoro per chi ritornava dalle trincee, perché sarebbe odioso e bolscevico negare il riconoscimento dei diritti di chi ha fatto la guerra. Bisogna perciò accettare i postulati delle classi lavoratrici: vogliono le otto ore? Domani i minatori e gli operai che lavorano di notte imporranno le sei ore? Le pensioni per l’invalidità e la vecchiaia? Il controllo sulle industrie? Noi appoggeremo queste richieste, anche perché vogliamo abituare le classi operaie alla capacità direttiva delle aziende, anche per convincere gli operai che non è facile mandare avanti un’industria e un commercio.

Questi sono i nostri postulati, nostri per le ragioni che ho detto innanzi e perché nella storia ci sono cicli fatali per cui tutto si rinnova, tutto si trasforma. Se la dottrina sindacalista ritiene che dalle masse si possano trarre gli uomini direttivi necessari e capaci di assumere la direzione del lavoro, noi non potremo metterci di traverso, specie se questo movimento tenga conto di due realtà: la realtà della produzione e quella della nazione.

Per quello che riguarda la democrazia economica, noi ci mettiamo sul terreno del sindacalismo nazionale e contro l’ingerenza dello Stato, quando questo vorrebbe assassinare il processo di creazione della ricchezza.

Combatteremo il retrogradismo tecnico e spirituale. Ci sono industriali che non si rinnovano dal punto di vista tecnico e dal punto di vista morale. Se essi non troveranno la virtù di trasformarsi, saranno travolti, ma noi dobbiamo dire alla classe operaia che altro è demolire, altro è costruire, che la distruzione può essere opera di un’ora, mentre la creazione è opera di anni o di secoli.

Democrazia economica, questa è la nostra divisa. E veniamo alla democrazia politica.
Io ho l’impressione che il regime attuale in Italia abbia aperto la successione. C’è una crisi che balza agli occhi di tutti. Abbiamo sentito tutti durante la guerra l’insufficienza della gente che ci governa e sappiamo che si è vinto per le sole virtù del popolo italiano, non già per l’intelligenza e la capacità dei dirigenti.

Aperta la successione del regime, noi non dobbiamo essere degli imbelli. Dobbiamo correre. Se il regime sarà superato, saremo noi che dovremo occupare il suo posto. Perciò creiamo i Fasci: questi organi di creazione e agitazione capaci di scendere in piazza a gridare: "Siamo noi che abbiamo diritto alla successione perché fummo noi che spingemmo il paese alla guerra e lo conducemmo alla vittoria!".

Dal punto di vista politico abbiamo nel nostro programma delle riforme: il Senato deve essere abolito. Mentre traccio questo atto di decesso devo però aggiungere che il Senato in questi ultimi tempi si è dimostrato di molto superiore alla Camera.

Ci voleva poco? È vero, ma quel poco è stato fatto. Noi vogliamo dunque che quell’organismo feudale sia abolito; chiediamo il suffragio universale, per uomini e donne; lo scrutinio di lista a base regionale; la rappresentanza proporzionale. Dalle nuove elezioni uscirà un’assemblea nazionale alla quale noi chiediamo, che decida sulla forma di governo dello Stato italiano. Essa dirà: repubblica o monarchia, e noi che siamo stati sempre tendenzialmente repubblicani, diciamo fin da questo momento: repubblica! Noi non andremo a rimuovere i protocolli e a frugare negli archivi, non faremo il processo retrospettivo e storico alla monarchia. L’attuale rappresentanza politica non ci può bastare; vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi, poiché io, come cittadino, posso votare secondo le mie idee, come professionista devo poter votare secondo le mie qualità professionali.

Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di costituire dei Consigli di categorie che integrino la rappresentanza sinceramente politica. Ma non possiamo fermarci su dettagli. Fra tutti i problemi, quello che oggi interessa di più è di creare la classe dirigente e di munirla dei poteri necessari. E’ inutile porre delle questioni più o meno urgenti se non si creano i dirigenti capaci di risolverle.

Esaminando il nostro programma vi si potranno trovare delle analogie con altri programmi; vi si troveranno postulati comuni ai socialisti ufficiali, ma non per questo essi saranno identici nello spirito perché noi ci mettiamo sul terreno della guerra e della vittoria ed è mettendoci su questo terreno che noi possiamo avere tutte le audacie. Io vorrei che oggi i socialisti facessero l’esperimento del potere, perché è facile promettere il paradiso, difficile realizzarlo. Nessun Governo domani potrebbe smobilitare tutti i soldati in pochi giorni o aumentare la quantità dei viveri, perché non ce ne sono. Ma noi non possiamo permettere questo esperimento perché i socialisti vorrebbero portare in Italia una contraffazione del fenomeno russo al quale tutte le menti pensanti del socialismo sono contrarie, da Branting e Thomas a Bernstein, perché il fenomeno bolscevico non abolisce le classi, ma è una dittatura esercitata ferocemente.

Noi siamo decisamente contro tutte le forme di dittatura, da quella della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero; noi conosciamo soltanto la dittatura della volontà e dell’intelligenza. Vorrei perciò che l’assemblea approvasse un ordine del giorno nel quale accettasse le rivendicazioni del sindacalismo nazionale dal punto di vista economico. Posta questa bussola al nostro viaggio, la nostra attività dovrà darci subito la creazione dei Fasci di combattimento. Domani indirizzeremo la loro azione simultaneamente in tutti i centri d’Italia. Non siamo degli statici; siamo dei dinamici e vogliamo prendere il nostro posto che deve essere sempre all’avanguardia.