Edipo Coloneo (Sofocle - Giusti)/Annotazioni

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Annotazioni

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Sofocle - Edipo Coloneo (406 a.C.)
Traduzione dal greco di Giovanni Battista Giusti (1819)
Annotazioni
Atto quinto
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ANNOTAZIONI




(1) Secondo l'oracolo di Apollo Edipo doveva morire in questo luogo. Vedasi fra gli altri il P. Brumoy nell'analisi di questa tragedia ediz. di Parigi 1786 pag. 290.

(2) La stessa parola greca significa soglia e strada. Si è seguita la lezione di Brunk che legge soglia; e tal lezione è confermata dallo Scoliaste, se non con bastante chiarezza in [p. 157 modifica]questo luogo, evidentemente però al v. 192. e 193. dell’edizione di Strasburgo 1786.

(3) Così legge Stefano, e così forse in tutte le antiche edizioni. Il Brunk ritiene le stesse parole, ma le fa dire ad altri personaggi.

(4) Il Brunk omette l'epiteto cieco. Si è seguìto il testo di lui per non ripeter tante volte la parola cieco, che in questa tragedia forse è ripetuta anco troppo.

(5) Alla lettera: con occhi non ciechi. L’autore à forse voluto con questa espressione render più efficace la preghiera di Antigone che si mostra pura a differenza del padre che [p. 158 modifica]i Coloniati riguardavano quasi un testimonio dell’ira celeste.

(6) Benché i testi e lo Scoliaste intendano: e chi fra i buoni non è amico di se stesso? pure, fatta osservazione, che cambiando lo spirito di una voce in questo passaggio si ottiene il senso indicato nella traduzione, si è adottata questa correzione, da cui risulta una sentenza plausibile a differenza dell'altra, che è ridicola. In fatti come può sostenersi: Quis enim bonus non est sibi ipsi amicus? Lo Scoliaste stesso si avvide dell’assurdità di questa sentenza e cercò di emendarla così: l'uomo dabbene è utile a se stesso e agli amici. Vedasi anco in Brumoy dove il traduttore francese ha stimato bene di darci una [p. 159 modifica]sentenza tutta sua propria, anzi che tradurre letteralmente il testo: Au reste on n’en a jamais d’autres quand notre propre avantage nous détermine.

(7) Il Camerario nelle sue note a Sofocle indica la lezione che quì si è adottata. La comune però è ob parvum verbum. Per seguir questa, che d’altronde rimane oscura, conviene aver presenti i versi riferiti da Ateneo nel lib. II. cap. 14. di non so quale autore di una ciclica Tebaide, ne’ quali Edipo scaglia imprecazioni contro i figli, i quali, alla mensa, gli porsero bere in una coppa di cui egli avea vietato l’uso. Convien credere che questo avvenimento fosse comunemente noto agli Ateniesi. [p. 160 modifica]

(8) Queste brevi parlate sono in diversi codici pronunziate da diversi personaggi.

(9) Si è creduto meglio di levar l’interrogativo non essendo credibile, che, mentre Creonte vuol con blande parole persuader Edipo a tornar con lui a Tebe, voglia rimproverargli le sue colpe.

(10) Con questa interpunzione legge Johnson; e si è seguìta perchè pare che accresca alle sentenze vivacità e forza.

(11) Si è seguìto anco in questo luogo la lezione di Johnson perchè la pietà ben si addice ad uom generoso. [p. 161 modifica]

(12) Quì è varia ne’ varj codici la distribuzione delle parti ne’ personaggi. Si è prescelta questa come più naturale e per nulla affettata.

(13) Queste parole sono poste nell’ultimo verso della parlata. Si è fatta questa diversa collocazione sembrando che la richiegga il senso; non senza sospetto che anche in questo passo il testo sia poco corretto.

(14) Qui il testo è mancante. Si sono così disposte le parole onde cavarne un qualche senso.

(15) Si è adottata questa lezione perchè la comune, se non è priva di senso, è certamente oscurissima.