El libro dell'amore/Oratione VI/Capitolo XVII

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Oratione VI - Capitolo XVII

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Quale comparatione è tra la bellezza di Dio, angelo, anima e corpo.

La medesima comparatione che è tra costoro è ancora tra le forme loro. La forma del corpo consiste nella compositione di molte parti, è strecta dal luogo, casca per tempo; la spetie dell’anima patisce variatione di tempo e contiene moltitudine di parti, ma non è da termini di luogo strecta; la spetie dell’angelo ha solo el numero sanza le due altre passioni; ma la spetie di Dio nessuna delle decte cose patisce.

Tu vedi la forma del corpo: dimmi, desideri tu oltr’ad questo la spetie dell’animo vedere? Lieva, col pensiero tuo, alla forma corporale quel peso della materia che sotto vi giace, lieva e termini del luogo, lasciavi el resto: tu hai già la spetie dell’animo trovata. Vuo’ tu ancora trovare la spetie dell’angelo? Lieva oltr’ad questo da quella forma non solamente gli spatii locali, ma etiandio el temporale progresso, ritieni la compositione multiplice: subito l’arai trovata. Vuo’ tu la bellezza di Dio vedere? Lieva oltre ad questo quella multiplice compositione di forme, lasciavi la forma in tutto semplice: subito la spetie di Dio ti fia presente. Ma tu mi dirai: «Or che mi resta egli al presente levate via le tre cose decte?», e io ad te risponderò te essere ignorante, se la bellezza altro che luce essere credessi. La bellezza di tutti e corpi è questo lume del sole che tu vedi macchiato delle tre decte cose, cioè di moltitudine di forme, perché lo vedi di molti colori e figure dipinto, di spatio locale, di temporale mutatione. Lieva via la sedia che questo lume ha nella materia, in modo che fuori del luogo ritenga l’altre due parti: tale è apunto la bellezza della anima. Lieva ancora di qui la mutatione del tempo, lasciavi el resto, e resteratti uno lume chiarissimo sanza luogo e movimento, ma sarà scolpito delle ragioni di tutte le cose: questo è lo angelo, questa è la bellezza dell’angelo. Leva via finalmente quel numero di diverse idee, lascia una semplice e pura luce ad similitudine di quella luce che si sta nella ruota del sole, e non si sparge fuori: qui comprendi quasi la bellezza di Dio, la quale l’altre bellezze almeno tanto supera, quanto quella luce del sole che si sta in sé medesima pura, una, inviolata, supera lo splendore del sole el quale per l’aria nebulosa è disperso, diviso, maculato e obscurato. Adunque el fonte di tutta la bellezza è Iddio, Iddio è il fonte di tutto l’amore. Considera che il lume del sole nella acqua è come ombra a rispecto del più chiaro lume del sole nell’aria, lo splendore che è nell’aria è una ombra a rispecto di quello che è nel fuoco, el fulgore che è nel fuoco è ombra alla luce del sole che nella ruota sua riluce: la medesima comparatione è intra quelle quattro bellezze del corpo, animo, angelo, Dio. Iddio non è mai ingannato in modo che ami l’ombra di sua bellezza nell’angelo e dimentichi la sua bellezza propria e vera, e ancora l’angelo non è mai preso dalla bellezza dell’anima la quale è ombra di lui, in modo che badando a questa sua ombra abbandoni la propria sua figura; ma sì l’anima nostra, la qual cosa è da dolersene molto perché è origine di tutta la miseria nostra.

L’anima, dico, sola, è tanto lusingata dalla forma corporale che manda in oblivione la propria spetie, e dimenticando sé medesima seguita ardentemente la forma del corpo, la quale è ombra della spetie dell’anima. Di qui seguita quel crudelissimo fato di Narcisso che canta Orpheo, di qui seguita la miserabile calamità degli huomini. Narcisso adoloscente, cioè l’animo dell’uomo temerario e ignorante, non guarda el volto suo, che s’intende che egli non considera la propria substantia e virtù sua, ma l’ombra sua nell’aqua seguita e sforzasi d’abbracciarla, cioè bada intorno alla bellezza che vede nel corpo fragile, corrente come acqua, la quale è ombra dell’animo. Lascia la sua figura e l’ombra mai non piglia, perché l’animo seguitando el corpo sé medesimo disprezza e per l’uso corporale non s’empie, perché egli non appetisce in verità el corpo ma desidera, come Narcisso, la sua spetie propria, allectato dalla forma corporale la quale è imagine della spetie sua, e perché non si advede di questo errore, desiderando una cosa e seguitandone un’altra non può mai empiere el desiderio suo, e però si distilla in lagrime. Cioè l’animo, poi che è caduto fuor di sé e tuffato nel corpo, da mortali turbationi è tormentato e macchiato dalle macule corporali quasi affoga e muore, perché già apparisce corpo più tosto che animo. Onde Diotima, volendo che Socrate schifassi questa morte, lo ridusse dal corpo all’animo, dall’animo all’angelo, dall’angelo a·Ddio.