Elementi di economia pubblica/Parte prima/Capitolo I

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Parte prima - Principj e viste generali

Capitolo I - Principio generale

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Cap. I. — principio generale.

6. Supponiamo un numero di famiglie qualunque, per una qualunque cagione senza arti e senza altri aiuti, fuori che quelli che la naturale facoltà dell’umana natura posson loro somministrare, gettate in un paese incolto e ancora intatto dalla mano dell’uomo.

Queste famiglie per lungo spazio di tempo vivranno della distruzione degli animali, dell’acqua, dell’aria e della terra, dei frutti selvatici, degli alberi e delle radici spontanee del campo, coprendosi le ignude carni delle sanguigne spoglie degli uccisi animali, e dando loro le caverne aspro ricovero.

Dopo avere costrette in ischiavitù le bestie mansuete e [p. 222 modifica]frugivore, e ridottele in mandre pascolanti sotto il dispotismo dell’uomo, l’esperienza, l’osservazione di moltissimi avvenimenti, la necessità della nascente popolazione angustiata da fiumi innatabili, da monti altissimi, dal mare ancora intentato, le resero accorte del potersi coll’arte e col lavoro secondare, anzi accrescere le spontanee produzioni della terra.

Io qui racchiudo in brevissimo spazio ciò che si sarebbe potuto lungamente sviluppare, annoverando minutamente ad una ad una tutte le cagioni che l’uomo abbiano potuto condurre dallo stato selvaggio e cacciatore allo stato sociale e agricoltore: ma ciò si può vedere in molti autori, principalmente nell’insigne opera del signor Goguet, intitolata: Dell’origine delle leggi, delle scienze e delle arti presso gli antichi popoli: io devo affrettarmi a ritrovare le tracce maestre del lungo cammino che si deve percorrere.

7. Dunque per moltiplicare questi frutti della terra dovettero gli uomini per lungo tempo vincere molte difficoltà; dovevano disboscare il terreno, mondarlo da’ sassi, muoverlo, irrigarlo, fecondarlo ec., avanti che fosse in istato di ricevere le prime sementi, in quella copia che ora veggiamo atta a nutrire considerabili popolazioni.

Ora tutte queste operazioni esigevano fatica e tempo, e stromenti atti a lavorare la terra, e materie atte a fecondarla, e sementi già da quelle prodotte per rimettervele, onde le riproducesse e le moltiplicasse; ma, durante tutto questo tempo e questa fatica, dovettero gli uomini nutrirsi, vestirsi ed abitare vicino al luogo del loro travaglio, ed avere in proprietà quelle cose che dovevano servire a perpetuare sulla terra la riproduzione.

Dunque noi chiameremo capitale fondatore della coltivazione la somma di tutte queste cose, preliminarmente necessarie a rendere una terra, di incolta, fruttifera, ed osserveremo che senza di questo capitale fondatore la terra sarebbe rimasta inutile e deserta.

8. Dippiù, preparata la terra ad essere coltivabile e fruttifera, era d’uopo conservarla tale, perchè consumati i prodotti di un anno bisognava metterla in istato di riprodurli per [p. 223 modifica]il seguente; ma questa riproduzione esige nuova semente da gettare sul terreno, e come prenderla, se non dai prodotti precedenti del passato anno? Esige braccia che coltivino, ed animali che fecondino e che aiutino il lavoro; bisogna nutrirsi, abitare, conservare gli stromenti, e pascere questi animali che contribuiscono al lavoro medesimo. Tutto ciò richiede una spesa continua, ed una ricchezza da non destinarsi ad altro uso fuorchè a quello della riproduzione: e dove prenderla se non appunto dai prodotti precedenti?

Dunque noi chiameremo scorte annue queste ricchezze necessarie a continuare la riproduzione, e osserveremo che scemate queste o tolte del tutto, proporzionalmente si scema e si toglie la riproduzione, e la terra ritorna qual era incolta e deserta.

9. Frattanto che da queste famiglie, ossia, che da questa nostra idea di nazione prosperamente tutte le dette cose si fanno, ecco nascere necessariamente le arti e la diversità delle occupazioni degli uomini. Ciascuno prova coll’esperienza, che applicando la mano e l’ingegno sempre allo stesso genere di opere e di prodotti, egli più facili, più abbondanti e migliori ne trova i risultati, di quello che se ciascuno isolatamente le cose tutte a sè necessarie soltanto facesse: onde altri pascono le pecore, altri ne cardano le lane, altri le tessono; chi coltiva biade, chi ne fa il pane, chi veste, chi fabbrica agli agricoltori e lavoranti, crescendo e concatenandosi le arti, e dividendosi in tal maniera per la comune e privata utilità gli uomini in varie classi e condizioni. Ognuno può vedere nella succennata opera di Goguet le diverse gradazioni de’ progressi fatti dal genere umano, dal raccogliere le spontanee produzioni della terra al coltivarle, e dal rozzo uso di quelle al prepararle e modificarle con tanti diversi ed ingegnosi artifizii.

10. Il lavoro degli uomini non vi sarebbe, se non vi fossero cose da lavorare; nè le cose da lavorare vi sarebbero, se la terra non le producesse. La mano dell’uomo modifica e dispone i corpi, cioè ne avvicina o ne allontana in diverse guise le parti; ma un atomo di materia non vi cresce fra le dita, se la terra e quello spirito di vita che circola nelle sue [p. 224 modifica]viscere non lo produce. Ma perchè l’uomo lavori, egli deve avere prima di tutto la materia da lavorare, indi vivere e procacciarsi le cose necessarie, anzi fino ad un certo segno le comode all’uso della sua vita durante tutto il tempo del lavoro, senza di che egli non lo farebbe altrimenti, ma invece attenderebbe a procacciarsi quelle cose che altri non gli darebbono. Quindi risulta che ogni valore che si dà ad un lavoro qualunque, sarà composto del valore delle materia prima e del salario che si dà per il comodo sostentamento di quello che lavora questa materia prima. In qual proporzione si valutino queste materie prime e questi salarj, si vedrà a suo luogo.

11. Questi salarj o non siano pagati in danaro, come nella presente supposizione, o lo siano, torna allo stesso, perchè con il danaro le cose tutte si possono avere; dunque il vero salario sarà la somma delle cose necessarie e comode alla vita, date a colui che lavorando per il comodo e necessità altrui, non può sovvenire da sè stesso ai proprii comodi ed alle proprie necessità. Dunque questi salarj o queste cose alla vita comode e necessarie, in qualunque maniera siano modificate, saranno sempre produzioni della terra; dunque l’aumento di queste produzioni della terra è un aumento di salarj da distribuirsi, e l’annientamento di parte di queste produzioni è un annientamento di parte degli stessi salarj.

Di più, quegli uomini che posseggono o lavorano o fanno lavorare terre producenti, o si procurano prodotti che eccedano il loro bisogno, o no: se no, dunque non lavorano che quella porzione di terra, e con niente di più di stento e d’industria, che quanto basta a procurare il preciso loro sostentamento: se lavorano al di là di questa loro esigenza, sarà chiaro che essi pagheranno e faranno queste maggiori fatiche per cambiare l’avanzo con altre cose utili o piacevoli che loro manchino, e per averle più ben disposte e più atte a que’ fini ai quali le destinano. Dunque questi prodotti non cresceranno, se non in quanto saranno atti ad essere permutati reciprocamente; e saranno tanto più atti ad essere permutati, quanto ciascuno potrà esserlo con un maggior numero di cose, perchè allora la spesa e la fatica di chi lavora o fa [p. 225 modifica]lavorare è ben ricompensata. Ma se il numero delle cose, che si possono avere per mezzo di questi prodotti, sarà inferiore alla spesa e fatica dei producenti, cesseranno questi di far produrre; quindi scemerà il numero delle cose utili e contrattabili.

12. Finalmente, come abbiamo veduto al § 3, tutti gl’individui riuniti in società debbono fornire i mezzi necessari a difenderla, proteggerla e governarla con sicurezza e tranquillità. A chi appartengono queste auguste funzioni, è necessario un corredo moltiplice d’uomini esecutori, d’attrezzi e di stipendj; e tutte queste cose non si hanno, e non si mantengono appunto con nient’altro, che colle produzioni della terra, perchè gli uomini nè vivono, nè vestono, nè guerreggiano coll’oro e coll’argento, bensì con questi si procacciano le cose a ciò conducenti, e l’oro e l’argento divengono metalli inutili perfettamente. Dunque anche la terra, qualunque ella sia e dovunque ritrovisi, sarà sempre quella e solo che può dare le cose mantenitrici della forza tutelare della società.

13. Dunque, raccogliendo le cose fin qui dette, primo principio d’ogni operazione economica sarà quello d’eccitare la maggior quantità possibile di prodotto utile e contrattabile, e di togliere di mezzo ciò che diminuisce questa massima quantità di tali prodotti.

14. Ma quelli, i quali le cose dalla terra prodotte modificano per l’uso e per le richieste degli uomini, debbono essere alimentati dai padroni e coltivatori de’ prodotti con parte di questi prodotti medesimi, come abbiamo veduto. Dunque con quanto miglior tempo e minor numero di persone si potrà fare un maggior numero di lavori, tanto meno dei prodotti si consumerà dai lavoratori, e tanto più resterà d’avanzo in mano dei producenti, sia per rimettere sulla terra onde cresca la di lei riproduzione, sia per far fare altre cose e dare altri salarj e guadagni ai medesimi agricoltori, sia per le pubbliche o private spese qualunque. Ma siccome questi lavoratori debbono e vogliono vivere, e le famiglie loro mediocremente sostenere, anzi migliorar, se possono, la propria condizione, così dovranno supplire colla frequenza delle spese al [p. 226 modifica]poco salario di ciascheduna in particolare. Si vedrà, in conseguenza di tutto ciò, che il secondo principio d’ogni economica operazione, riguardo alle opere della mano e dell’industria, sarà quello di fare piccoli per volta, ma più spessi guadagni che sia possibile.

15. Il primo principio è il reggitore dell’economia agricola e fondamentale di una nazione; il secondo è il principio dell’economia artista ed industriosa della medesima. Al primo si debbono principalmente applicarsi le nazioni che hanno un territorio, ed avere il secondo per principio subalterno e secondario; a questo, quelle che prive sono di un territorio fertile e riproducente. Ma tali nazioni che campano sulla sola industria ed opera delle loro mani non esisterebbero, se non esistessero terre feconde da nazioni agricole lavorate.

16. Da qui si può di slancio vedere come i confini politici d’uno Stato non siano sempre o quasi mai gli stessi de’ confini economici di quello. La terra di una nazione alimenta l’industria d’un’altra, l’industria di questa feconda la terra di quella: queste due nazioni, quantunque divise di sovranità ed indipendenti reciprocamente dalle rispettive loro leggi politiche, sono però realmente una sola nazione strettamente unita per leggi fisiche, e dipendenti l’una dall’altra per le relazioni economiche.

17. Ora nè il massimo prodotto utile e contrattabile dalle terre si potrà ottenere, nè dalle arti avere piccoli ma pronti profitti, se gli uomini, gli uni a gara degli altri, non faticheranno colla mano e coll’industria sia sulla terra, sia sui prodotti di quella. Dunque, riunendo i due sopra indicati principj in uno, diremo essere fine generale e principio insieme reggitore di tutta la politica economia, di eccitare nella nazione la maggiore quantità possibile di travaglio utile, cioè somministrante la maggior quantità di prodotto contrattabile, e li più piccoli ma più spessi possibili salarj alle opere della mano, e di opporsi a tutto ciò che potrebbe tendere a diminuire questa massima possibile quantità d’utile travaglio.

18. Da quest’analitica deduzione di semplicissime verità tutta quanta l’economia politica si deriva; ed io spero che sviluppando a poco a poco ed applicando agli affari degli [p. 227 modifica]uomini questi palpabili ed evidenti assiomi, ci condurremo alle più recondite teorie di questa scienza. Chi sa di matematica, non ignora, che il circolo si genera dal movimento d’una linea retta intorno ad un punto fisso; eppure da questa semplicissima nozione quante varie e recondite verità non si sviluppano che formano l’oggetto della beata contemplazione de’ sapienti e la maraviglia degli sciocchi? Così spero di fare, riprendendo successivamente per mano alcune di queste verità di solo buon senso da me esposte. Io spero di dimostrare con esattezza l’arte di render gli uomini e le società ricche e felici di quelle cose che si richieggono, per quanto i limiti dell’umana capacità e l’inesorabile legge del dolore lo possono permettere.