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Elementi di economia pubblica/Parte quarta/Capitolo II

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Capitolo II - Della moneta

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Cap. II. — della moneta.

Negli ultimi paragrafi dell’antecedente Capitolo abbiamo visto come tra li quattro contrattanti frumento, vino, pelli rozze, pelli concie, siasi potuto stabilire un rapporto ed una misura comune di tutte queste diverse e disparate merci per mezzo del frumento, il quale è entrato successivamente in contrattazione con tutte, onde ciascuna ha potuto barattarsi col frumento, e per conseguenza barattarsi anche fra di loro. Quella merce adunque la quale per le circostanze de’ commerci, degli usi e dei bisogni delle nazioni, acquista le qualità di esser cambiata successivamente con tutte le cose, cosicchè le diverse quantità di essa con ciascuna cosa cambiate servano di misura comune a giudicare del valore del tutto, chiamasi moneta. Da questa sola definizione si veggono discendere le due proprietà sovrane della moneta, cioè l’una d’essere un segno rappresentatore di una certa determinata quantità di ciascuna cosa (due misure di frumento nella supposizione del fine dell’antecedente Capitolo rappresentano una misura di vino, di pelle non concia e pelle concia); l’altra d’essere un pegno ed una sicurezza di ottener tutte queste determinate quantità di cose, perchè, supponendo che queste cose siano in contrattazione, si suppone che siano richieste tutte e tutte dimandate, onde ciascuno accetterà e riceverà, anche non volendone far uso, il frumento, perchè potrà cambiarlo con ciò di cui egli ha bisogno. La quantità di moneta che si dà per ciascuna cosa, chiamasi prezzo; onde si vedrà subito di primo alancio due cose poter avere il medesimo prezzo ed avere diversissimo valore: il valore indica il rapporto di una quantità con un’altra, il prezzo indica solamente la quantità della cosa che si riceve per quella che si dà. Dirassi che un sacco di grano, che vale quaranta lire, in tal luogo siavi a caro prezzo, quando un bue a questo medesimo prezzo vi sarebbe a buon mercato; il prezzo [p. 380 modifica]sarebbe lo stesso di quaranta lire, ma il valore diverso, perchè indicherebbe poco grano e moltissimi buoi.

6. Ma le monete ormai presso tutte le società colte e commercianti consistono in pezzi di metallo d’oro, d’argento e di rame coniati con pubblica autorità, che stabilisce un prezzo a ciascheduna di queste monete. Bisogna adunque vedere come gli uomini tutti siansi combinati a servirsi come di moneta, cioè come aventi le due generali qualità sovraindicate, di questi tre metalli, e come sia nata la forma e la diversità di essa; la storica analisi della introduzione e delle alterazioni della moneta ci indicherà e ci fornirà facilissime dimostrazioni della di lei teoria, massimamente dopo aver ben compresa la natura del valore in generale, non altro essendo il danaro, nè altro giammai potendo essere se non una vera merce, che per l’universale contrattazione combaciasi, e misurasi con tutte le altre merci.

7. Trasportiamoci coll’immaginazione su di un vascello europeo alle coste dell’Africa, dove abbondano l’oro, l’avorio e le altre merci preziose e care agli Europei, ma dove manca il più funesto e il più necessario fra tutti i metalli, il ferro: l’utilità degli istromenti di ferro trasportati dagli Europei sarà presto riconosciuta dagli Africani, e il ferro medesimo, sia lavorato sia da lavorarsi, sarà universalmente ricercato: ciascuno porterà ad offerire parte delle sue ricchezze all’Europeo per cambiarle in altrettanto ferro. Si stabilirà dunque un paragone generale di tutte le merci di queste coste con il solo ferro; diverrà comune e generale la valutazione di esse in ferro, e senza dubbio dopo le prime contrattazioni gli Europei divideranno il ferro in tante parti simili ed uniformi, in maniera che nei contratti di quei paesi si dirà da tutti, che tal merce val tanto di peso o tante misure di ferro, e tal’altra altrettanti pesi o misure di ferro. Nè questa maniera di apprezzar le cose sarà introdotta tra soli Europei ed Africani, ma tra di loro medesimi ancora, perchè essendo il ferro di ricerca universale, entrerà nell’interna contrattazione e circolerà ancora tra di loro; ed il paragone di tutti i valori diventando in questa maniera facile ed uniforme, tutte le idee di stima e di valutazione si pie[p. 381 modifica]gheranno e vi si adatteranno. Dippiù anche nei cambi immediati di merce con merce, ancorchè non segua contratto di ferro intermedio, essendo di già la mente assuefatta a paragonare ogni merce con quello, le dimande, le esibizioni e tutta l’altercazione del contratto si farà in misura di ferro, senza che il metallo in verità v’intervenga. Molti cercheranno di vendere e di cambiare il superfluo delle proprie ricchezze per averne il corrispondente in ferro; primo, perchè il ferro essendo di ricerca universale e comune, sono più sicuri di immediatamente cambiarlo per ciò che potesse loro occorrere, di quello che potessero farlo avendo presso di sè varie e moltiplici specie di merci non da tutti, nè sempre ricercate e volute; secondo, perchè più facilmente conservabile e custodibile di quello che possono esserlo altre merci di egual valore, ma più voluminose ed alterabili; terzo, perchè, essendo uniforme e simile a sè stesso, si rende a ciascheduno più facile ed arrendevole il calcolo delle proprie ricchezze e delle proprie spese, e la divisione in parti simili. Così dovrebbe succedere nell’Africa, e così infatti è accaduto, come si può vedere dalla costante e non equivoca asserzione di tutti i viaggiatori, dai quali sappiamo, che tutto nelle coste d’Africa si valuta in sbarre di ferro: nella qual parte di mondo, prima in ogni luogo interveniva realmente in tutti i contratti il ferro, poscia dove continuò, dove cessò d’intervenirvi; ma la mancanza di valutare e di esprimere la stima ed il prezzo delle cose si conservò e si continua tuttora, mentre si cambiano sbarre di ferro di schiavi, d’oro, d’avorio, di pepe per sbarre di ferro di collane di vetro, di coralli, di bacili, di rame, sbarre di ferro di panno, di stoffe europee: tali espressioni che paiono contraddittorie ed assurde, prese così letteralmente, cessano di esserlo considerando come il ferro è divenuto moneta in quei paesi. Parimenti, in un altro paese, dove si porti varietà di ricchezze per prenderne di un solo genere, per le stesse ragioni questo sol genere di derrate e di merci diverrà moneta; così nell’Islanda, dalla quale il resto del Settentrione esporta in cambio delle mercanzie europee una grandissima quantità di pesce, il pesce è divenuto moneta, e le espressioni del [p. 382 modifica]valore sono tutte indicate in pesci: così in quei paesi dicesi un pesce di panno ec. È volgare l’osservazione, che il motto latino pecunia venga dalla parola pecus, antica primaria ricchezza de’ popoli pastori, la quale essendo la più abbondante e comune serviva di paragone e di misura universale di tutte le cose commerciabili; o che le antichissime monete, improntate quali di pecore e quali di buoi, abbiano preso il loro impronto da ciò che prima serviva di moneta, alla quale un corrispondente metallo di più comodo maneggio si sostituì.

8. Da quanto si è detto finora si vedranno le seguenti conseguenze: prima, che quella merce diverrà moneta che per le circostanze dei commerci diverrà di universale ricerca e contrattazione; quella diverrà moneta, che sarà più divisibile in parti più uniformi e similari. Se in una nazione la moneta fosse di pecore, indi venisse in contrattazione comune e promiscua il ferro; siccome una pecora non è affatto simile all’altra, l’una essendo pingue e l’altra smunta, l’altra più bella e lanuta e l’altra meno, del pari che una mezza pecora, un quarto di pecora, una frazione di pecora non si conservano nè si possono dividere senza distruggerla e renderla inutile, ma una libbra di ferro può dividersi in similissime parti, che siano metà, quarti e frazioni uniformi del tutto; così è naturale ed infallibile, che gli uomini di quella nazione cominceranno dal paragonare il comune valore di pecore col parimenti divenuto comune valore di ferro, ed abbandoneranno l’antica espressione e l’antica moneta per la recente, di gran lunga più comoda e più utile a tutti i casi diversi e a tutti i generi di contratti e di commerci. Terza conseguenza sarà, che tra due merci di eguale ricerca e contrattazione, o di eguale divisibilità ed uniformità in parti simili ed analoghe, quella avrà la preferenza per divenir moneta, che sarà più conservabile e meno soggetta ad alterazione; e fra queste quella principalmente sarà più in pregio, che sotto il minor volume avrà il maggior valore, perchè di una custodia e di un trasporto più facile. Così per queste ragioni l’oro e l’argento saranno preferiti al ferro ed al rame. Ma qui è necessario di fare un passo di [p. 383 modifica]più, dicendo che quella merce, la quale divenga di un uso giornaliero ed indispensabile, e debba trasformarsi continuamente in lavori di servizio comune, cesserà di essere moneta in confronto di un’altra di un uso meno comune e meno universale, quantunque generalmente ricercata ed apprezzata. Se vi siano due merci, egualmente divisibili in parti e frazioni simili, egualmente durevoli e conservabili, ma l’una di uso e l’altro di ornamento, dico che la prima cesserà di essere moneta e lo diverrà quella di ornamento, o almeno che quella d’uso sarà come moneta meno ricercata e meno universalmente stimata di quella di ornamento e di lusso. L’ornamento ed il lusso sono nudriti da ciò principalmente che piace agli occhi e da ciò che è raro, ma assai più da questa seconda qualità che dalla prima. A misura che le cose sono più rare, minore quantità di quelle rappresenta un più gran valore, onde il possedere di queste indica ricchezza, cioè potenza di soddisfare alle proprie voglie. Ognuno cerca di mettere in mostra e di ostentare questa potenza, perchè la sola ostentazione di quella è produttrice di piaceri e di autorità a chi ne fa pompa, e di servigio e di dipendenza a chi ne è lo spettatore. Da un’altra parte, quando la ricerca di queste merci di ornamento è sufficientemente diffusa, nasce in ciascuno la sicurezza e la confidenza di trovarne esito quando egli voglia privarsene, per ottener le cose che gli abbisognano, ed è altresì naturale che ognuno cominci dal volersi disfare delle cose superflue e di ornamento, per ottenere ciò che gli fa un piacere immediato o soddisfa un indispensabile bisogno. Quindi dal valutare le cose tutte per mezzo di una merce durevole, uniforme e divisibile comodamente, ma di uso nell’arti necessarie della vita, passeranno gli uomini a valutarle colla merce che abbia le medesime qualità, ma che sia più stimata per il lusso e per la pompa che per l’uso di necessità e di bisogno. Onde vediamo subito per quarta conseguenza, che la moneta passerà dai metalli di servizio ai metalli preziosi, quelli restando solamente in commercio come merci e non come monete, e se come tali nel giro dell’interna circolazione e nei contratti spicciolati, non nelle grosse contrattazioni e nell’esterno [p. 384 modifica]e grandioso commercio. Dico nei controlli spicciolati, perchè la preziosità della materia racchiudendo un gran valore sotto un piccolo volume, ne verrebbe in conseguenza che la minuta contrattazione delle più piccole e minute cose richiederebbe una suddivisione in parti consimili della merce moneta, ossia del metallo prezioso, che ne svanirebbe il comodo maneggio di quello, riuscendo impossibile l’esattezza della divisione e facilmente smarribili le minute frazioni che ne risulterebbero, onde le ulteriori divisioni si fanno coi metalli meno preziosi. Da ciò si vede chiaramente come l’oro, l’argento ed il rame siano per quasi universale convenzione divenuti moneta, convenzione che rigorosamente tale non può dirsi, non essendo intervenuti patti espressi, nè radunatasi una dieta generale del genere umano per erigere in moneta questi tre metalli; ma piuttosto io la chiamerei adesione, la quale per necessità e progresso di circostanze legò gli uomini a valutare universalmente ogni merce colla quantità di questi metalli, che per ciascuna si esigeva e si offeriva. La lucentezza inalterabile dell’oro e quella dell’argento, e la longevità della loro durata, la facilità con cui si adattavano al comodo ed al piacevole degli usi della vita, la rarità loro, per cui molto valore con poco ma uniforme e facilmente divisibile volume rappresentava, gli elevò al rango di moneta, più ricercata e più stimata di quello che fossero i metalli meno preziosi, meno rari, meno belli, quantunque di una utilità più domestica o di un bisogno più irrefragabile per gli usi della vita, restando però questi per la minuta e continua folla dei frequenti e popolareschi contratti, all’uso dei quali l’oro e l’argento non si sarebbero potuti piegare, nè comodamente dividere. Frattanto che molti cercavano di questi metalli preziosi per farne pompa, pochi per farne uso, tutti essendo sicuri di poterli vendere e contrattare li ricevevano in cambio delle proprie merci, per ridurre ad un più piccolo, più sicuro e più uniforme volume le loro ricchezze.

9. Io qui non debbo dilungarmi per congetturare ne’ dispersi rimasugli dell’antichità la storia dell’introduzione de’ metalli nel genere umano, ma basteranno alcune generali riflessioni per il maggior schiarimento delle cose da [p. 385 modifica]dirsi. E in primo luogo, le arene de’ fiumi mescolate di particelle metalliche, i vulcani eruttanti liquido e candente metallo, i casuali incendj ed anche gli spontanei tentativi della umana curiosità concorsero in varj luoghi, e per varie maniere e con lunga assiduità di prove, a renderli palesi e a far conoscere il loro uso. Che che ne sia di questa introduzione egli è certo in secondo luogo, che il ritrovato e l’uso de’ metalli ignobili è stata l’epoca delle arti e delle invenzioni le più utili all’umanità, e il ritrovato e l’uso dei metalli preziosi ha fissata l’epoca dei commerci, che divennero estesi, rapidi, facili, diretti da viste profonde, e spingentisi nel futuro aumentarono e strinsero le relazioni reciproche degl’individui. Prima di quest’epoca i commerci tutti erano cambj momentanei, più diretti dai bisogni immediati degli uomini egualmente frettolosi nell’esigere e nell’offerire, che dalla simultanea concorrenza di molti ed opposti interessi, la quale equilibra i valori di tutte le cose, e rendendole tutte vendibili e contrattabili le riduce al vero ed assoluto. I metalli entrarono in commercio come le altre cose; non ebbero valore che in proporzione della quantità e della ricerca che se ne faceva; ma questa ricerca divenne universale, e la quantità resto fissata ad un certo limite costante per lungo tempo, più ristretto per l’oro, più ampio per l’argento e moltissimo di più per il rame.

10. Abbiamo veduto come l’oro e l’argento possano essere divenuti moneta, perchè sono stati merce di universale contrattazione. Ma qui avvenne ciò che presso agli uomini in tutti i tempi avvenir suole, che la cupidigia e l’interesse particolare vi condussero il disordine sempre seguace delle ottime cose. La rarità e la ricerca dei metalli preziosi indusse alcuni a falsificarli, ed alterarne la sincerità conservandone l’apparenza, onde con poco valore ottenerne uno considerabile, abusando così della buona fede e della premura dei cercatori. Ma questi si dovettero prestamente accorgere dell’attenzione del metallo, che esigevano netto e scevro da ogni materia estranea e meno rara e ricercata. Si allontanarono dunque dal commerciare con quelle nazioni presso le quali questa frode era frequente, ed esse perderono a poco a [p. 386 modifica]poco ne’ loro metalli come monete le due proprietà di esser segni e pegni d’ogni valore. Che fece la pubblica autorità in così critiche circostanze, nel sentire ed accorgersi dei mali comuni? Cominciò ad esigere che ogni prezzo di metallo, che i privati passavano in commercio, fosse riconosciuto ed approvato come non alterato, ma come vero e legittimo oro ed argento. Quindi passò ad apporvi un segno indicante la pubblica e solenne garanzia della finezza e bontà di esso, lasciando forse ai particolari l’arbitrio del peso e del volume dei pezzi metallici, che come monete entravano in contrattazione. Ma l’abuso, la diversità, la confusione esigerono di più che fosse riserbata solamente al pubblico o al principe, che è l’amministratore ed il rappresentante supremo di questo pubblico, l’autorità di dividere il metallo in quelle porzioni, e di segnarlo in quelle maniere che meglio giudicava convenire. Quindi ridotti i pezzi di metallo in porzioni eguali ed uniformi di peso e di figura, si coniarono con pubblica ed esclusiva autorità, cioè vi si appose un segno, che indicasse tanto il peso della moneta che la bontà del metallo; cosicchè quelle che il medesimo segno avessero e il medesimo peso, autenticassero avere un sicuro ed identico valore, onde la buona fede dei contratti fosse salva e tranquilla, e l’attività del commercio pronta ed animata. Ho dovuto distinguere il peso del metallo dalla bontà dello stesso, perchè sono realmente due differenti proprietà della moneta. Le diverse maniere di separar l’oro e l’argento dalla materia brutta che vi è frammista nella miniera, ed anche la necessità di doverli ridurre ed impastare in comode e determinate figure per la varietà de’ valori che debbono rappresentare, esigono che si alteri la parità di questi metalli e che vi si unisca altra materia metallica, la quale in tal caso chiamasi lega. Il peso dunque della moneta è composto di metallo fino, ossia oro puro ed argento, e di lega; e la bontà del metallo significa la maggiore o minor quantità di metallo puro, e reciprocamente la minore o la più gran quantità di metallo inferiore, che sotto il medesimo peso vi si contengono. Se in una moneta d’argento vi siano 22 denari di puro argento e due di metallo vile o di lega, ed in un’altra simile sianvi 23 denari [p. 387 modifica]d’argento puro ed uno solo di lega, si dirà che le due sono del medesimo peso, ma che la prima è d’inferiore qualità della seconda. Per giudicare e valutare la bontà dell’oro si è adottato generalmente il metodo di dividere il peso di una moneta qualunque in 24 parti, e di trovare quante di queste parti siano d’oro fino e quante di lega. Queste parti di una immaginaria divisione chiamansi di 24 carati, e l’oro meno puro sarà di 23, 22, 21, di 20 carati ec.; i quali numeri indicano la proporzione della quantità d’oro fino alla quantità di lega contenuta in ciascuna moneta; onde una moneta d’oro di bontà di 22 carati significa che delle 24 parti di tutta, nelle quali tutto il peso si divide, 22 sono d’oro e 2 di materia estranea ed eterogenea. Nell’argento poi si divide tutta la massa in 12 parti che chiamansi denari, e si valuta la bontà dell’argento coll’indicare quante di queste parti o denari siano d’argento fino e puro, e quante di lega. Così una moneta d’argento dirassi alla bontà di 11 denari, quando dividendone il peso in 12 parti, si troverà sempre 11 partì di puro argento ed una di lega, ossia di metallo eterogeneo ed d’argento in ciascuna e qualunque porzione di quelle monete. Questa bontà, valutata sopra carati 24 per l’oro e sopra denari 12 per l’argento, chiamasi titolo; onde il conto delle monete autentica o dovrebbe autenticare due cose, cioè il peso e il titolo di quelle.

11. Ma qui bisogna, per proseguire la materia e rischiararne il più importante di quella, richiamare ciò che abbiamo di sopra indicato, che non l’oro solamente ma l’argento ancora si sono trovati, se non nell’origine, ben presto però in seguito simultaneamente in promiscuo commercio ed universale, onde ciascuno di essi è divenuto non solo segno di valore di ciascuna cosa, perchè con ciascuna cosa è stato cambiato, ma l’uno ancora è divenuto segno e pegno dell’altro, l’oro misura e termine del paragone del valore dell’argento, o viceversa; onde con ogni esattezza può dirsi, che l’uno era moneta dell’altro e tutti e due moneta di tutte le cose; e la quantità d’oro, che si dà in cambio di una tal altra quantità d’argento, è il prezzo del medesimo argento, come la quantità d’argento che si dà in cambio di una de[p. 388 modifica]terminata quantità d’oro, è il prezzo dell’oro. Abbiamo visto il valore di due cose essere l’uno all’altro reciprocamente come le masse, cioè che se di una quantità di cose A, ve ne sia il doppio, triplo e quadrupla ec. delle cose B, uno di A varrà , , di B, quando il bisogno e la richiesta de’ possessori di B per avere A, e di A per avere B sia indifferente o eguale da ambedue le parti. Ora posto in commercio simultaneamente l’oro e l’argento, e supposto che non sia richiesto piuttosto l’uno che l’altro, il che sovente non è vero riguardo alla natura de’ commerci esterni o a qualche accidentale circostanza interiore, quantunque quasi sempre lo sia nella circolazione interna, sarà dunque il valore dell’oro al valore dell’argento come la massa di tutto l’argento alla massa di tutto l’oro, e come il tutto al tutto, così una parte ad una parte corrispondente. Se in una nazione vi fossero 100 libbre d’oro in tutto, ed in tutto mille libbre d’argento, la quantità d’argento sarebbe decupla della quantità dell’oro; dunque l’oro sarà stimato 10 volte l’argento, perchè la sua massa nella supposizione non è che della massa d’argento; dunque una libbra, un’oncia, un denaro, un grano d’oro varrebbero 10 libbre, 10 once, 10 denari, 10 grani d’argento; un’unità qualunque d’oro, cioè un dato peso di esso; comprerà 10 unità d’argento, cioè 10 uguali pesi di questo. Un tal valore dell’oro paragonato col valor dell’argento chiamasi proporzione fra l’oro e l’argento, e in questo caso direbbesi che la proporzione fra l’oro e l’argento è come 1 a 10. Supponiamo ora, che stando ferme le 100 libbre d’oro in quella nazione, alle 1000 libbre d’argento da lei possedute se ne aggiungano altre 400; finchè questo accrescimento è ignoto ai commercianti, finchè queste libbre 400 d’argento non entrano in circolazione sensibile, basteranno 10 once d’argento per avere un’oncia d’oro, e la proporzione resterà immobile come 1 a 10. Ma quando si accorgeranno gli attenti ed avveduti dell’accresciuto argento, quando per qualche circostanza si farà sentire ai posseditori d’argento bisogno dell’oro, e non avranno difficoltà, e vi sarà gara e concorrenza di ciascuno nell’accrescere sopra le 10 once d’argento qualche oncia di più per avere un’oncia [p. 389 modifica]d’oro, finchè arriveranno a darne 14 di quelle per una di queste; nel qual caso quelli che hanno l’oro si fermeranno dall’esigere dippiù, perchè sicuri di aver l’oro ad un tal prezzo quando essi vogliano, e perchè comincerebbe parimenti a nascere concorrenza e gara tra di loro in favore dell’argento. La proporzione tra l’oro e l’argento che prima dicevasi essere come 1 a 10, ora dirassi essere salita come 1 a 14; e allora ogni moneta d’oro contenente, per esempio, 100 grani d’oro fino, si potrà cambiare con una moneta d’argento contenente 1400 grani di fino argento. Lo stesso cambiamento avverrà, se invece d’accrescersi la massa d’argento si scemerà la massa dell’oro, perchè allora dovrassi dare lo stesso argento per una minor quantità di oro, o una maggior quantità d’argento per lo stesso oro. Se restando le 1000 libbre d’argento scemasse l’oro dalle 100 lino alle 60, facendosi sentire il bisogno dell’oro, le 1000 libbre dell’uno si darebbero per le 60 dell’altro e non più per 100; e la proporzione fra l’oro e l’argento, ascenderebbe non più come 1 a 10, ma come 1 a 16 , perchè le 60 di oro comprano 1000 d’argento, 30 ne comprano 500, 15 ne comprano 250, 3 si cambiano con 50; ed uno d’oro, sia grano, denaro od oncia, si permuterà con 16 di grani, denari ed once d’argento. Parimenti supponiamo scemata la quantità d’argento, restando ferma la quantità d’oro, cosicchè sianvi di 1000 libbre d’argento solamente 800, essendovi 100 libbre d’oro; allora sarà l’oro all’argento come 100 a 800, cioè 1 a 8; cioè il valore dell’oro si abbasserà ad essere solamente ottuplo dell’argento, di decuplo che era prima. Così se crescesse la quantità dell’oro, per esempio dalle 100 libbre alle 200, restando le 1000 d’argento, sarebbe solamente 105, invece di 1 a 10, 1 a 8, 1 a 14, 1 a 16 , come nei casi antecedenti.

12. Egli è giusto di prevenire una obbiezione che naturalmente si presenta, la quale potrebbe imbarazzare taluno: cioè che la proporzione fra l’oro e l’argento dipende dalla maggiore o minore quantità dell’uno e dell’altro che trovasi in una nazione, e dove molte nazioni comunichino strettamente fra di loro con molta mole di reciprochi commerci, [p. 390 modifica]dalla maggiore o minor quantità di questi metalli posseduti da tutte queste nazioni. Ora, chi ha mai conosciuto e chi potrà mai conoscere quanto oro e quanto argento siavi, non in molte, ma in una sola nazione che abbia ampio commercio, e dove tali metalli sono tanto e così variamente divisi e sparsi? Rispondo che bisogna distinguere la proporzione che passa fra i metalli brutti dalla proporzione fra i metalli coniati. Questa seconda dipende originariamente dalla prima. Ora, dopo che la suprema autorità avocò a sè, per ovviare li frequenti disordini che gettavano nell’incertezza e soggettavano alla frode ed al discredito ogni commercio, il privilegio di battere moneta, il Sovrano diventò quasi il solo ed il più grande posseditore dei metalli brutti, e tutti i metalli coniati doveano passare per la maggior parte nelle sue mani, sia per ragione di rifondere le vecchie monete nelle nuove, sia per ragione dei tributi. Ora, dalle masse rispettive d’oro e d’argento che egli si trovava avere, paragonandone la quantità di ciascuna, potè di slancio fissare una proporzione fra l’oro e l’argento, e tanto più lusingarsi di essersi approssimato alla vera, quanto più ampia era la mole di metallo raccolta. Se egli, raccogliendo da tutte le parti oro ed argento, trovavasi di avere 14 volte più di questo che di quello, nel distribuire le monete nuove ricevendo le vecchie o il metallo non monetato, nel pagare le truppe, i ministri e tutto l’ampio corredo che accompagna la pubblica autorità, si trovò in istato di cambiare senza contrasto un grano d’oro con quattordici d’argento, e di dare e far ricevere l’una per l’altra indistintamente, una moneta di cento grani d’oro per una di argento di mille e quattrocento. Vedremo quindi che se il principe, come principale posseditore dei metalli preziosi, può fissare e determinare la loro proporzione, egli non può farlo senza suo danno sopra principj arbitrarj, ma che l’interesse suo e quello dei sudditi lo sforza sempre di seguire la legge delle masse rispettive che sono in corso. Egli è naturale che, fissata la proporzione fra le monete d’oro e d’argento, nel passaggio e ritorno che fanno i metalli dalla zecca e dall’erario del principe alle mani dei sudditi, e dai sudditi alla zecca ed [p. 391 modifica]all’erario, tutti i particolari nella loro contrattazione seguono ed obbediscono ad una tale fissata proporzione. Ma sopravvenendo una nuova quantità d’oro o una nuova quantità d’argento, la proporzione antica si altererà in due modi: primo, accorgendosi il Sovrano dai tributi raccolti e dai metalli portati al conio dell’alterata quantità di metallo, perchè ricevendo da tutti indistintamente oro e argento, se egli dopo qualche tempo trovasi di aver ricevuto rispettivamente più argento e meno oro di quello che prima riceveva, sarà segno evidente essersi scemato l’oro o accresciuto l’argento; e così viceversa. In secondo luogo, anche tra i particolari si altererà la proporzione tra i metalli prima che il principe lo faccia, quando si faccia sentire il bisogno di uno dei due metalli per accrescimento o per diminuzione, perchè i possessori del metallo accresciuto daranno qualche cosa di più di questo per avere quello. I più grandi posseditori dell’uno e dell’altro metallo saranno quelli che cominceranno ad alterare la proporzione, perchè, sapendo appunto di essere tali dall’esame delle loro casse, si determineranno gli uni ad esigere più o meno, gli altri parimenti ad offerire secondo le maggiori domande e bisogni. Dico poi che questa alterazione di proporzione, e questo di più di metallo accresciuto rispettivamente, che si comincerà a dare per il metallo rispettivamente scemato, crescerà finchè l’un metallo sia all’altro come le alterate masse rispettive valutato; ma non eccederà questo limite, mentre ancorchè in una serie di particolari contratti si trovasse tale eccesso, dovrebbesi successivamente retrocedere fino al limite sovraindicato, perchè farebbesi infallibilmente sentire all’opposto il bisogno dell’altro metallo.

13. Siccome trovasi una proporzione tra l’oro e l’argento, così ve ne ha una tra l’oro e il rame e tra l’argento ed il rame, perchè il rame è parimenti divenuto moneta presso le nazioni, quantunque metallo non prezioso, per la necessità ed il comodo della piccola e sminuzzata contrattazione. Il valore delle minute e copiose merci che il popolo generalmente compra e vende, rappresentato in metalli preziosi lo ridurrebbero a monete ed a proporzioni troppo pic[p. 392 modifica]cole ed incommensurabili, onde è necessario un metallo più vile, ossia più comune, che con una massa sensibile rappresenti tutti i minimi valori della giornaliera circolazione. Questa ancora, oltre il momentaneo lucro, è stata la ragione che ha fatte alterare le monete d’argento, e ne ha fatte battere quasi dappertutto delle miste di molto rame e di pochissimo argento, e tali monete furono chiamate monete erose nel linguaggio economico e finanziero, a distinzione della pura moneta di rame che propriamente non chiamasi erosa.

Fissato il valore dell’oro in argento, e dell’argento in rame, si trova subito il valore dell’oro in rame, cioè quanta quantità di rame, ossia quanto peso di quello si deve dare per un dato peso di argento, e quanto per un dato d’oro. Se due once di argento equivalgono a d’oncia d’oro, quando la proporzione tra l’oro e l’argento fosse di 1 a 14; e se cento once di rame darebbero un’oncia d’argento, quando la proporzione fra l’argento e il rame fosse di uno a cento; ducento once di rame darebbero d’oncia d’oro, ossia mille e quattrocento once di rame darebbero due once d’oro, o settecento di quello un’oncia di questo; cosicchè la proporzione tra l’oro ed il rame sarebbe in tal caso arbitrario, come 1 a 700. Questo valore dei metalli tutti, rapportati e paragonati ad una terza ed infima moneta, ha dato origine al valore numerario, valore che prima non era punto distinto dal valor reale. Tanto valor numerario d’oro significa proporzionatamente tanti pesi e tante reali porzioni di rame o di moneta erosa, quante se ne dà per il dato peso d’oro; lo stesso dicasi del valore numerario dell’argento.

14. Purchè il dato peso di rame sia quello che la proporzione esige per un dato peso d’argento o d’oro, l’ulteriore divisione dì questo dato peso di rame è perfettamente arbitraria rispetto al valore intrinseco, nè dovrà la pubblica autorità avere in questo altri riguardi, fuori che quelli che si debbono al risparmio delle spese della manutenzione, ed al comodo maneggio della moneta di rame, acciocchè facilmente misuri le diverse gradazioni de’ minimi valori; perchè se la divisione del dato peso sarà in molte parti, il peso o la massa di ciascuna sarà più piccola; se in più poche, sarà [p. 393 modifica]maggiore. Ma supponiamo ora che fatta una volta la divisione di un dato peso di rame corrispondente al valore di un dato peso d’oro o d’argento, si rifonda e si faccia altra moneta di rame in cui si conservi la medesima divisione, ma ciascuna porzione sia più piccola e più leggiera di quello che fossero le antiche porzioni o monete ultime di rame o erose; allora il valore numerario sarà lo stesso, ma sarà alterato il valore intrinseco, cioè, finchè si darà lo stesso numero di monete di rame per una data moneta d’oro o d’argento, si darà minor quantità di rame di quella che si dava prima per una eguale quantità d’oro o d’argento. Lo stesso dicasi dell’alterazione delle monete miste. In questo caso, il valor numerario è diverso dal valore reale, perchè cambiando il rame non monetato con l’oro e l’argento, si darebbe più rame per l’istesso oro o argento che dando rame monetato del nuovo ed alterato conio, ed il valor reale sarà eguale al valor del peso di quel rame così monetato e sminuito, più quella porzione di rame che manca realmente alla nuova monetazione, per giungere alla vera proporzione fra le monete vili e le monete nobili d’oro e d’argento. Se le monete di rame, tanto le giuste prima della nuova monetazione, quanto le sminuite si chiamassero lire, e se prima di quest’epoca per cinque di queste lire si otteneva una moneta di un’oncia d’argento; qualora si diminuisca di peso ciascuna di queste monete chiamate lire, finchè non si accorgano i commercianti dell’alterazione, si daranno ancora cinque lire per un’oncia d’argento; realmente però si darà lo stesso numero di lire, ma non la stessa quantità di metallo, che in questa supposizione non sarà che la quantità di rame contenuto nelle sole quattro lire del vecchio conio. Che ne avverrà accorgendosi di questa alterazione, e quali saranno gli effetti ed il tempo di questo accorgimento? Se ne accorgeranno gli abitatori dei confini, i quali commerciando per necessità e per vicinanza cogli abitatori d’altro Stato, nel quale non sia seguita la medesima alterazione; e questi medesimi accorgerannosene, perchè interessati a far questa scoperta. Se ne accorgeranno quelli che lavorano i metalli preziosi per gli usi ed il lusso della vita, i quali manifattori [p. 394 modifica]sono in necessaria relazione co’ forastieri che la quantità vera e sola di metallo considerano nei rispettivi commerci che di quelli si fanno. Questi commercianti in grosso dell’argento, per esempio, saranno i primi ad avvedersi che dando il loro argento per il rame non hanno più la medesima quantità di metallo che prima avevano; quindi due effetti seguiranno immancabilmente. Primo, che esigeranno qualche cosa di più dell’antico prezzo dell’argento, perchè possano avere l’equivalente di ciò che prima avevano, affinchè possano quando vogliano riavere e ricomperare l’argento venduto coll’intrinseco equivalente di rame; il qual intrinseco non più dalle antiche tre lire è rappresentato, ma dalle nuove sei: onde alterato il valore della moneta di rame, ossia diminuitone il suo valore intrinseco conservandone lo stesso numero, cioè la stessa apparente divisione, si alzerà il valor numerario delle monete nobili d’oro e d’argento. Secondo effetto sarà, che quelli che avranno molte di queste diminuite cinque lire di rame si affretteranno di cambiarle coll’argento, e quelli che avranno l’argento per timor di perdere del suo valore cambiandolo colle alterate monete del paese, lo manderanno fuori cambiandolo con merci o con altro argento e oro, presso coloro che gli danno ancora l’antica e superiore valutazione. Mancherà dunque presso questa nazione la quantità d’argento; in conseguenza si farà sentire il bisogno di quello, e un tal bisogno si dovrà dunque pagare oltre il valore intrinseco dell’argento. Perciò e l’oro che si darà per l’argento, e le merci che per quello ricevere si venderanno, saranno più basse di valore, cioè se ne darà una maggior quantità di quella che prima se ne dava per il medesimo argento. Nel medesimo tempo tutte le merci, che negli spicciolati contratti prima si vendevano per una, due, tre, quattro, cinque delle antiche lire, e per le parti e frazioni di quelle lire, diverranno vendibili a più caro prezzo, perchè i rivenditori di quelle merci per il minuto consumo ed uso popolaresco, le comprano all’ingrosso dai commercianti e dai produttori e manifattori, e le comprano colle monete nobili che hanno avute in cambio di monete di rame, delle quali per la supposta da noi al[p. 395 modifica]terazione hanno dovuto darne in maggior copia di quella che davano prima; sono perciò costretti nel vendere al minuto le proprie merci, e ricevendone il prezzo in monete di rame, di alzare il prezzo di quelle per adeguare il valore speso nel comprarle colle monete nobili, e per non perdere in un commercio che essi hanno stabilito per guadagnare. Noi faremo a poco a poco gli stessi ragionamenti per quelle nazioni che alterano la proporzione comune tra oro ed argento, perchè fra le monete dell’istesso metallo l’istessa quantità di metallo non ha l’istesso valore numerario in tutte le monete. Figuriamoci una nazione circondata da altre nazioni, colle quali ha la maggior parte del proprio commercio, e le quali danno quindici once d’argento per un’oncia d’oro, mentre quella non dà per un’oncia d’oro che quattordici once d’argento. Quelle porteranno le loro quindici once d’argento presso la nazione che dà un’oncia d’oro per sole quattordici d’argento, cioè dove si valuta l’argento più del dovere, ossia del comune valore, e per queste quindici once otterranno un’oncia d’oro ed d’oncia, mentre commerciando l’argento colle altre nazioni che danno per l’oro lo stesso argento, quindici once d’argento non darebbero che un’oncia d’oro. Questa nazione perderà dunque il suo oro, che sarà estratto da tutte le altre nazioni, le quali si accorgeranno che per lo stesso peso d’argento si può aver ivi più oro che altrove. Dunque un’oncia e d’oro presso ad una tale nazione e equivalente ad una sola oncia d’oro presso le altre nazioni, perchè tutte due queste diverse qualità d’oro equivalgono alla medesima quantità d’argento. Dunque un negoziante, che avrà ricevuto quindici once d’argento dal di fuori, avrà sborsato un’oncia e d’oro, o l’equivalente in merci di questa quantità d’oro. Ora presso ogni altra nazione con un’oncia e d’oro si hanno più cose che con una sola; dunque per avere le quindici d’argento ha dovuto dare più cose, che non darebbe un altro negoziante nelle altre nazioni per le medesime quindici once d’argento. Ma dare più cose di quello che darebbe un altro per lo stesso prezzo, è vendere a più buon mercato; vendere a più buon mercato è ricevere meno danaro; dunque la nazione che dà [p. 396 modifica]quattordici d’argento per 1 d’oro, mentre tutte le altre colle quali è in relazione danno 15 per 1, riceve meno di quello che dovrebbe ricevere. Per una simile ragione si può dire che comprerà dalle altre nazioni a più caro prezzo, o che è lo stesso, meno cose riceverà per lo stesso prezzo al quale le altre nazioni le riceverebbero. Un negoziante di questa nazione ha quattordici once d’argento da spendere al di fuori, e cambiarle in altrettante merci; ora queste quattordici once d’argento nella sua nazione rappresentano più cose che non presso le altre nazioni, perchè abbiamo supposto queste nazioni commercianti, e nelle quali prescindendo dall’oro e dall’argento l’abbondanza e la scarsezza delle cose si compensano, e i bisogni sono comuni e reciprochi, e perciò medesimi e proporzionati i valori delle cose tutte. L’aver egli adunque quattordici once d’argento, significherà per esempio averle egli cambiate con quattordici misure di vino. Ma supposto lo stesso valore, cioè la stessa abbondanza e bisogno di vino presso l’altra nazione, e perciò mutabile con la stessa quantità d’oro, cioè un’oncia d’oro in ciascuna delle due nazioni; dando le sue quattordici once d’argento il suddetto negoziante al di fuori non avrà più un’oncia d’oro come al di denaro, ma un’oncia meno , e però non più quattordici misure di vino, ma sole tredici; onde avrà avuto meno per più; dunque avrà comprato a più caro prezzo.

15. Mi si obbietterà facilmente: per qual ragione si deve rapportare il valor dell’oro piuttosto alle proporzioni forastiere che alle nazionali? A ciò rispondo facilmente, che chi compra cerca di rapportare le sue offerte al più basso prezzo corrente delle cose vendibili; per lo contrario, chi vende sostiene le sue dimande sul più alto; nè in questa opposizione si potranno accordare ambidue, se l’uno e l’altro, costretti dalla concorrenza dei compratori e venditori, non acconsentano nel prezzo comune di quelle cose che sono in contratto. Ora, dove si suppongono i bisogni eguali o proporzionati tra di loro, ed eguale presso a poco la quantità delle cose commerciabili, o se non eguale, almeno le differenti quantità disuguali così comunicanti che formino [p. 397 modifica]una sola massa, sulla quale i prezzi si stabiliscono; il prezzo comune sarà fissato dalle nazioni che seguiranno la comune proporzione fra l’oro e l’argento, non da quella che l’avrà alterata e diversificata, sia nel più, sia nel meno. Dunque questa dovrà ne’ suoi contratti obbedire realmente a quella proporzione che non segue. Facendosi sentire presso una tal nazione il bisogno dell’oro, del quale, come abbiamo veduto, andrà a poco a poco a restar priva, bisognerà, cambiandolo coll’argento, oltre le quattordici once per ogni oncia d’oro, dare qualche cosa di più d’argento per pagare il bisogno e la scarsezza dell’oro; onde in realtà da se stessa sarà costretta ad accostarsi alla vera proporzione, ascendendo dal dare quattordici once a darne quindici d’argento per una d’oro. Ciò infallibilmente accaderà nei grossi contratti e nell’alto commercio; dove la sola quantità di peso e bontà del metallo si considera; ma nei piccoli, continui e giornalieri contratti che si fanno quasi tutti in monete d’argento, le quali sono le più abbondanti e comuni, e in monete di rame che le rappresentano immediatamente, si alzeranno i prezzi di tutte le cose vendibili. Chi comprerà, comprerà con monete d’argento, un’oncia delle quali avrà il nome di equivalere ad d’oncia d’oro; ma dovrà dare un maggior numero di queste monete, finchè un’oncia di esse equivalga solamente al valore di d’oncia d’oro. Lo stesso ragionamento si faccia nel caso opposto, vale a dire, per esempio, invece di quindici d’argento per una d’oro, che si suppone la proporzione comune, diasi sedici per una; allora le altre nazioni porteranno tutto l’oro per avere su di ciascun’oncia di quello un’oncia d’argento di più. Resterà dunque una tal nazione scarseggiante e poi priva d’argento e sovrabbondante d’oro; dovrà dunque cambiando l’oro coll’argento pagare coll’abbondanza di quello la scarsezza di questo, cosicchè verrà da sè medesima nei grossi contratti a ristabilirsi la comune proporzione. Nei contratti più piccoli e continui si abbasserà il prezzo delle cose vendibili, cosicchè, per le cose che equivalgono ad un’oncia d’oro, si sia dato solamente in argento l’equivalente di quindici once e non di sedici. Ma frattanto vendendo presso le [p. 398 modifica]altre nazioni le cose sue, riceverà solamente il valore di quindici once d’argento per quelle cose che dentro gli sono valutate per sedici, finchè la comunicazione non abbia ristabilito l’equilibrio; e comprando sborserà al di fuori solamente le quindici once, mentre nel di dentro per la stessa merce si dovranno sborsare le sedici: onde questa nazione sminuirebbe il suo commercio interno, e farebbe sortire anche l’argento per questo motivo, sminuendo perciò la massa delle sue ricchezze, e sottraendo dall’interna circolazione una parte di valore.

16. Noi abbiamo veduto l’effetto dell’alterata proporzione tra l’oro e l’argento; ora è facile vedere gli effetti dell’alterato valore tra le monete dello stesso metallo. Egli è certo che sia nell’oro sia nell’argento, in qualunque maniera siano coniati, e qualunque nome di moneta portino, un grano, 12, 20 di ciascheduno, debbono avere sempre lo stesso valore. Se dunque in una moneta un grano d’oro vale quindici grani d’argento, ed in un’altra solamente quattordici, cosicchè fosse fissato lo stesso valor numerario ad ambedue in proporzione del loro peso, le altre nazioni cambierebbero tutte le monete d’oro dove vale quattordici, per aver quelle dove vale quindici, e spoglierebbero quella nazione di un grano d’argento per ogni grani quattordici di esso, cioè avrebbe quella un sette per cento incirca di perdita in tutte le sue vendite e in tutte le sue compre. Lo stesso dicasi delle monete d’argento. Le nazioni porteranno quella moneta d’oro in cui è valutato più del dovere l’argento, per avere quella dove è valutato meno, se l’alterazione sta nelle monete d’oro; o viceversa se l’alterazione sta nelle monete d’argento. Quando poi una moneta d’oro di titolo inferiore, ossia di minore quantità di metallo fino, è valutata come un’altra di miglior titolo, il che è lo stesso caso già in altri termini accennato, ed è sovente accaduto in una rifusione di monete o per infelicità di circostanze, o per il momentaneo vantaggio, o non sapendosi in altra maniera imporre un impercettibile tributo; avverrà che le monete migliori, in confronto delle quali sono valutate le inferiori, o sortiranno prestissimo dalla nazione, o saranno [p. 399 modifica]rinchiuse e sottratte dalla circolazione con grave danno di tutti gli ordini, perchè resta avvilita l’industria e l’attività d’ogni commercio, rendendosi incerto, difficile e scarso il segno rappresentativo ed il pegno sicuro d’ogni valore e d’ogni fatica. Allora si imitano e si rifabbricano dalle altre nazioni colle monete migliori le inferiori, e queste con minor reale intrinseco metallo innondano la nazione e la spogliano sempre più di danaro; onde seguono nel corpo politico tutti i disordini, che nei corpi fisici sono cagionati dalla siccità e dallo stagnamento del fluido animatore.1

17. Per ultimo, non sarà inutile il qui notare per incidenza l’antico errore della maggior parte dei forensi, i quali decidevano che le restituzioni del danaro dovessero farsi rendendo lo stesso valor numerario; per il che se anticamente cinque lire fossero state prestate, cinque odierne lire si dovessero restituire. Ma se le antiche cinque lire contenevano il valor reale di un’oncia d’argento, e le odierne ne contengono due terzi solamente, secondo questa poco legittima decisione si restituirebbe meno di quello che si è ricevuto. Quindi molti valenti uomini hanno sostenuto, che tanto reale metallo siasi ricevuto, tanto reale metallo si debba rendere; onde non più cinque lire, ma sette e dieci con questa norma si debbano pagare. Pure ciò non sembra soddisfare totalmente all’equità, perchè se coll’oncia d’argento un secolo fa io aveva il doppio delle cose che per la medesima possa avere al presente, chi mi ha prestato allora quell’oncia d’argento ha ceduto il diritto di avere il doppio delle cose che si hanno adesso. Ora chi rende, dovendo rimettere il creditore nel pristino diritto, dovrà rendergli quanto gli basti per avere il doppio di queste cose: dunque non un’on[p. 400 modifica]cia d’argento o sette e dieci delle nostre lire, ma due once d’argento o quindici lire dovrà rendere, onde abbia il diritto del doppio delle cose che con un’oncia d’argento si hanno. Ma la varietà e la mancanza di notizie e la diversa abbondanza delle cose rendono difficile l’esatto computo di quanto giustamente si deve rendere. Sembra che per approssimarsi al vero si debba aver riguardo alla quantità di metallo paragonata col prezzo dei generi di prima necessità nel tempo dell’imprestito, perchè questi sono i più comuni, i più noti e i meno variabili di tutti nel valore.

Darò qui finalmente un brevissimo cenno delle correnti proporzioni fra l’oro e l’argento nelle diverse principali nazioni. In Alemagna come 15 ad 1; in Olanda come 14 ad 1; in Inghilterra come 15 ad 1; in Francia come 8 ad 1; al Giappone come 8 ad 1; alla China, l’antica proporzione europea come 10 ad 1; alle Indie Orientali come 11 ad 1.

Ciò che mi resta a dire sulle monete appartiene più al cambio ed ai banchi che alla teoria generale, e sarà in breve trattato. Io non ho voluto in tale materia, come in nissun’altra particolareggiare, non essendo ispezione del professore di pubblica economia, ma dei ministri e magistrati, di formare i progetti e rappresentare i pubblici disordini.


Appendice al precedente Cap. II.

Da quanto si è detto si possono sufficientemente raccogliere le seguenti massime, che compiranno la teoria delle monete.

i. Nel fissare le rispettive proporzioni fra i metalli non si ha e non si deve aver riguardo che al metallo che è in circolazione, non alle monete che restano oziose e sepolte.

ii. Si racchiudono le monete, e si sottraggono dalla circolazione ogni volta che a quelle si dà un valore uguale o più basso delle monete di titolo inferiore; o sortono dallo Stato con altrettanta perdita della nazione, quant’è la somma delle differenze fra i titoli delle monete migliori pareggiate colle inferiori: e queste di titolo inferiore sono dalle altre nazioni [p. 401 modifica]coniate per introdurle in qualche Stato, ed estrarne con profitto le migliori.

iii. Nel fissare la proporzione fra l’oro e l’argento si dee seguire la proporzione comune fra le nazioni tra di loro commercianti; perchè quella fra queste che l’altererà, perderà tanto del metallo in ragione dell’alterata comune proporzione.

iv. Onde, come tutto il metallo circolante sta a tutto l’altro metallo parimenti circolante, così sta ciascuna parte di quello a ciascuna egual parte di questo: e questa proporzione si può conoscere dai sovrani e dai ministri paragonando il valore de’ metalli che ricevonsi per tributi, ed alla zecca per il conio, con il valore dei metalli brutti corrente presso gli argentieri ed orefici, non che col cambio e col grosso commercio esterno.

v. Similmente un grano d’oro fino in qualunque moneta deve valere l’istesso peso di argento in ciascuna moneta d’argento, o il proporzionato peso di rame in tutte le monete di rame, ed avere lo stesso proporzionato valore in tutte le monete miste; così l’argento nelle monete d’oro e di rame, ed il rame in quelle d’oro e d’argento.

vi. I forastieri non valutano nelle monete nazionali nè la spesa della monetazione, ne la lega frammista al metallo fino nelle monete nobili, ma il solo e puro oro e il solo e puro argento di cui sono composte. Dunque la nazione perderebbe la spesa della monetazione coll’uscita delle monete nazionali, se ella non facesse lo stesso colle forastiere; e parimenti fabbricando monete con molta lega perde tanto valore, quanto ne possa essere contenuto nella lega delle monete nazionali che escono. Perciò quella nazione che fabbrica monete colla minore spesa, e più quella che stampa d’oro purissimo e di purissimo argento, oltrechè le spese della monetazione sono minori, risparmia la perdita di un valore.

vii. Dippiù, le monete purissime ottengono un credito più esteso, e facilmente acquistano nelle ricerche e nel cambio qualche vantaggio ed un prezzo di affezione maggiore; talvolta ancora per l’uso di alcune arti, nelle quali si adopera purissimo metallo. La nazione quando vende ricevendo [p. 402 modifica]il valore delle sue monete per il vero che ella le dà, e quando compra dandole per quel maggiore che sono stimate, guadagna egualmente in ambedue i casi.

viii. Da qui apparisce che la sortita delle monete nazionali, ben lontana di essere dannosa come superficialmente si crede, è anzi utilissima ed è indizio di vera prosperità, quando le monete siano regolate secondo le vere proporzioni correnti, e non secondo le leggi arbitrarie di ingiusta preferenza. Nel caso che la nazione non compri più, o almeno compri egualmente di quello che vende, è segno che altre nazioni stimano queste monete nazionali più del dovere; perciò, comprando da quelle, dà realmente minor intrinseco di quel che non darebbe; e vendendo non le riceve che per il vero e suo minor valore; onde riceve di più di quel che riceverebbe; poichè quantunque non pagata colle monete nazionali, ma con altre monete, queste si paragonano coll’accresciuto valore della moneta nazionale.

ix. Il valor numerario delle monete, che una volta indicava quanto intrinseco di rame si dava per l’oro e per l’argento, ossia il prezzo di ambedue questi metalli, ora indica meno la quantità del metallo, che la divisione delle monete nobili in tante porzioni o tanti gradi di stima rappresentati dalla moneta di rame; che perciò racchiude in sè, parte un valore reale, e parte un valore immaginario datole dal conio e dall’impronto, e sottratto dal peso e dal metallo.

x. Intanto poi questo valore immaginario che avvilisce oltre la viltà del metallo la moneta istessa, non spoglia le nazioni dell’oro e dell’argento, 1° perchè questa alterazione e questa differenza tra il valor intrinseco e il valor numerario delle monete di rame è comune, e quindi è compensata reciprocamente, benchè in parte non egualmente presso tutte le nazioni; 2° perchè le contrattazioni grosse, le quali, malgrado le disposizioni e le leggi contrarie che possono favorire l’abuso seguono sempre mai la vincente realità delle cose, si fanno con le monete d’oro e d’argento, e secondo il valore di metallo come metallo, più che di moneta come moneta; 3° finalmente, perchè costando notabilmente il voluminoso trasporto di questa pesante moneta di poco valore, [p. 403 modifica]tanto per questo titolo si può soffrire d’immaginario in tali monete diviso su ciascheduna di esse, quanto costerebbe il trasporto di un’eguale quantità di simili monete.

xi. Ma non è questo il solo inconveniente che nasce dall’alto prezzo delle monete di rame. Queste si cambiano con le monete nobili, che solo hanno prezzo e stima appo li forastieri, ristringendosi elleno ne’ confini dell’interna circolazione di ciascun paese. Dunque nel commercio e nella comunicazione di varie nazioni accaderà, che da’ possessori dell’oro e dell’argento, e principalmente dai primi negozianti che commerciano e dentro e fuori, si faranno due sorta di cambj di quest’oro e di quest’argento; un cambio al di dentro con un valore parte reale e parte immaginario, e un cambio al di fuori con un valore tutto reale. Le monete nobili dunque perdono, cambiate al di dentro, in confronto del cambio al di fuori. Il grosso negoziante, che deve sborsare a’ forastieri qualche somma, non potrebbe farlo se non fosse sicuro di trovare, quand’egli voglia, quella specie di danaro che egli deve sborsare e che ha credito presso le nazioni. Ora, se egli ricevesse la moneta di rame in cambio di quella d’oro o d’argento col valore immaginario che ella ha, verrebbe a ricevere minore proporzionato metallo e nessun intrinseco di quello ch’egli possiede e che deve sborsare, nè potrebbe riaverlo quando volesse. Dunque cambierà l’oro col rame, dimandando qualche cosa dippiù del prezzo fissato dalle leggi; onde il valor numerario delle monete crescerà a poco a poco. Vi saranno dunque due valori ne’ contratti e nella nazione; il valor corrente, cioè il valore numerario accresciuto che noi diciamo abusivo, ed il valor di legge che noi diciamo di grida, che è il primitivo, ma che rappresenta per la seguita alterazione maggior valore immaginario.

xii. Quali saranno gli effetti di questi due contemporanei valori? 1° Si alzeranno i prezzi di tutte le cose, perchè i venditori in dettaglio possano rifarsi della quantità del falso ed immaginario valore che si dà alla moneta di rame in paragone delle monete nobili di oro e d’argento; 2° frattanto che i salarj degli operaj, il vitto ed il mantenimento dei giornalieri non si alza in proporzione dell’alzamento del [p. 404 modifica]prezzo delle cose, come dovrebbe accadere, acciocchè la fatica ottenesse il suo premio, anzi che restar disanimata. Quando cresce il valor delle cose per l’accresciuta quantità circolante di danaro, allora nasce concorrenza nel pagare di più la giornata dell’operaio, perchè l’accresciuto danaro dà tutta la facilità di poterlo fare; ma quando cresce per l’incoerenza delle monete basse colle monete preziose, allora i padroni che regolano i salarj sul valor reale e sul totale de’ loro prodotti, che si misura con monete d’oro e d’argento, non possono aumentare li detti salarj; onde ogni travaglio non rende a’ giornalieri quella porzione di guadagni che loro fornisca li cinque alimenti necessarj per la prosperità universale delle arti e delle opere tutte. In terzo luogo, se una nazione non vende alle altre più di quello che compri da esse, può correr rischio con tale sbilancio di perdere quasi tutto il suo oro ed il suo argento, e di restar inondata dalla feccia delle più vili monete; il che porterebbe un eccessivo rincarimento del tutto, e quindi resterebbe sopita ogni industria ed ogni attività.

xiii. Dunque, ogni nazione, che abbia nelle sue monete di rame valori immaginarj, deve per prima osservazione rifondere la bassa moneta; nel che fare dovrà avere due riguardi. L’uno, di togliere tutto l’immaginario e seguire esattamente la proporzione corrente tra il rame e l’argento. Se la comune proporzione di Europa, secondo che qualche scrittore asserisce, fosse tra il rame e l’argento come 100 ad 1, e se in conseguenza il marco d’argento, cioè un peso di 8 once ne valesse 100 di puro rame, allora 100 simili monete di rame debbono valere e darsi, nè più ne meno, per una moneta d’argento di egual peso di una delle 100 di rame. L’altro riguardo che si dovrà avere, sarà di fare le divisioni delle monete di rame in parti più piccole che sia possibile e conveniente (mentre l’altro eccesso sarebbe parimenti dannoso), sicchè alle altre nazioni non convenga per la spesa del trasporto, che diventa tanto più voluminoso quanto più piccole e numerose sono le parti componenti la moneta di rame, di trasportarla battuta al conio della nazione per estrarre i metalli preziosi, e renderli così cari e co[p. 405 modifica]stosi oltre il valor loro reale ed intrinseco. Dippiù, la divisione del rame in parti piccole e numerose è utilissima, perchè la moneta di rame meglio si adatta a rappresentare tutta la varietà dei minimi valori; ed il prezzo delle cose potendo crescere ed abbassarsi per gradi successivi e poco sensibili, giova alla concorrenza de’ compratori egualmente che a quella de’ venditori; onde il natural prezzo più facilmente e prestamente si stabilisce, e si fa maggior luogo all’alterazione de’ contratti. Finalmente, di questa moneta di rame non se ne dovrà coniare che quanto basta alla circolazione giornaliera, e niente dippiù; perchè, se di troppo se ne battesse, nuocerebbe alla circolazione dell’oro e dell’argento, procurandosi allora da tutti di serbarsi le monete d’oro e d’argento, col mettere invece in moto la moneta di rame. La quantità necessaria a ciascheduna nazione dipende dalla di lei popolazione e da’ bisogni popolareschi. Ora ne’ temperati nostri climi europei questi bisogni sono quasi simili dappertutto, presi almeno in grande e nel loro totale; dunque dalla maggior o minore popolazione dipenderà principalmente la norma per battere più o meno monete basse.

xiv. Rifatta la moneta di rame, potrà facilmente la nazione regolare per editto il valore delle monete d’oro o d’argento; il quale editto non è realmente un comando, ma solo una dichiarazione del vero, la quale sarà infallibilmente obbedita, perchè senza di esso, rifatta che fosse la bassa moneta, da sè stessi al vero si accosterebbero i valori numerarj di tutte le monete.

xv. Giova qui riflettere che appunto si è potuto senza immediato accorgimento alterare il valore delle monete nobili, perchè le monete essendo di diversa bontà, non si scopre l’alterazione che a poco a poco. Dippiù essendo nella moneta di rame, che misura il valor numerario delle altre monete, molto valore immaginario, quanto è più grande questo valore di puro nome e di immaginazione, tanta maggiore alterazione può soffrire il valore delle monete nobili quando sia distribuita proporzionatamente; per il che il variare per editto il valor numerario delle monete d’oro e d’argento sarà un aggiungere o sottrarre valore immaginario dalle mo[p. 406 modifica]nete di rame. Ma quando l’alterazione è conosciuta, e al di là del valore immaginario o non proporzionatamente distribuita, allora l’editto cade in obblivione, non essendo possibile il cangiare i necessarj rapporti delle cose, nè potendosi eseguire se non nei pagamenti che si fanno dai sudditi alle casse pubbliche e da queste a’ sudditi; nel qual caso secondo la natura dell’alterazione diventano o un tributo maggiore de’ sudditi, o per lo contrario una perdita delle casse pubbliche e dell’erario del sovrano. Ma non è possibile di eseguire l’editto universalmente in tutta la continua moltiplicità de’ contratti tra sudditi e sudditi, perchè sarebbe troppo fatale il portare la rigida perquisizione, acciocchè fosse eseguita esattamente la legge in ogni luogo, in ogni tempo e contro tutti.

xvi. Il valore numerario si è alzato comunemente in Europa in tutte le monete, perchè si sono alterati i titoli delle monete medesime. L’oro come il più prezioso e stimato, come quello che con più gelosa cura si riguarda e si serba, è stato meno alterato; ma l’argento ha sofferto maggiore mescolanza, e perchè più suscettibile, è stato più mascherato di lega e d’impuro metallo; quindi si sono date più monete d’argento per oro di quello che si davano, oltre anche la relativa abbondanza dello stesso argento accresciuta. Così essendosi nella moneta erosa e di rame trovato un valore immaginario, si è dato più di questa per l’argento o per l’oro che di prima non si dava. Una nazione che non facesse commercio esterno di sorta alcuna, potrebbe senza inconveniente soffrire il valore immaginario delle monete; perchè allora ricevendo queste la loro autenticità dal conio pubblicamente venerato, e divenendo un segno riconosciuto di un diritto acquistato sopra le cose equivalenti, il ricever meno metallo si ricompenserebbe con darne meno: ma facendosi commercio esterno, dove non si dà altro credito che al reale metallo, non al conio, perde quella nazione che ha valore immaginario nelle sue monete, come abbiamo di già dimostrato. Quindi la differenza tra il valore detto abusivo e il reale (cioè, che tale sarebbe, se ciò che vi è d’immaginario nella moneta fosse in sostanza), detto di grida, crescerà sempre, fin[p. 407 modifica]chè il valor numerario giunga ad eguagliare perfettamente ed in ogni contratto la realità del metallo che manca, dandosene sempre di più. Ma siccome questo alzamento non segue che per ragione del commercio esterno, e in occasioni di sborsi e pagamenti che si debbono fare al di fuori e che sono spessissimo compensati senza uscita alcuna di danaro, così si fa esso lentamente e solamente all’occasione di queste reali uscite di monete nobili dalla nazione. Dunque questo solo alzamento è in qualche maniera una misura della vivacità del commercio; e in questo caso è sempre proporzionato all’uscita reale del danaro.

xvii. Cercasi, se ciascuna nazione deve battere propria e nazionale moneta. Per ciò sapere, bisogna vedere la situazione di ciascuna nazione. Perchè se quella sarà grande, circondata di naturali confini, cioè catene di monti, mari, fiumi reali, potrà escludendo le monete forastiere, cioè ritirandole alla zecca per il metallo che contengono, e restituendole battute in monete nazionali a quelli che ve le portarono (e queste monete nazionali essendo ben proporzionate e divise tra di loro), mettersi al coperto delle frodi ed alterazioni di monete, che in molta estensione di paese e in tanta varietà di commerci possono giornalmente accadere. Ma se la nazione è piccola, da varie nazioni circondata, avente confini solamente artificiali, pare che non avendo un esteso e predominante commercio, non le convenga tanto questo lusso di propria e nazionale moneta, dico di moneta d’oro e d’argento, quanto l’accettarle tutte e valutarle per nient’altro che il metallo fino che contengono, e secondo le proporzioni correnti. Nè potrà convenire la rifusione delle monete, se non nel caso di un disordine generale e complicato di pessime e moltiplici monete, perchè allora converrà, per fissare un modello di vera e reale valutazione, battere monete non solo di rame ma ancora di oro e di argento; la quale nuova moneta cangiando in un momento tutte le idee di paragone, egli è più facile di correggere il troppo complicato ed inoltrato disordine. Una nazione, che non abbia miniere, non può rifondere moneta, se non per fare un commercio lucroso sul disordine delle monete delle altre nazioni. Quando non [p. 408 modifica]si faccia a quest’oggetto, e tale disordine non vi fosse, o non si sapesse, o non convenisse rintracciarlo, il battere moneta non sarebbe che spendere inutilmente in una manifattura sulla quale senza danno non si può guadagnare, sia sulla mano d’opera, sia sulla materia prima: dovendosi sempre mai dare e ricevere metallo per metallo, secondo gli accennati principi, in ogni luogo e da tutti. Una nazione poi che abbia miniere, non ha per questo la vera ricchezza, ma soltanto i segni di quella, onde non deve tanto essere sollecita di moltiplicare i segni, quanto di moltiplicare i mezzi che attraggono questi segni; il che dal solo travaglio e dalla sola felicitante attività, non dalla danarosa indolenza, si può ottenere.

xviii. Quando convenga battere moneta, cercasi allora se convenga far pagare la spesa della monetazione dalle monete medesime, ovvero imporre un leggiero tributo, perchè questo non può essere considerabile relativamente alla quantità delle monete battute. Io mi appiglierei al partito di coloro che vorrebbero piuttosto il tributo; perchè rincresce a tutti quelli che hanno monete vecchie il doverle portar alla zecca, e ricevere in grazia della nuova monetazione meno metallo di quello che essi hanno dato. Dal che ne segue che molte monete si nascondono e si rinserrano, e molte ne escono precipitosamente dal paese. Altronde seguono alterazioni nei prezzi, perchè chi ha ricevuto meno metallo cerca di rifarsi. Inoltre sembra anche più giusto il tributo di quello che la spesa ripartita sulle monete. Chi ha molto del vecchio danaro che si va rifondendo, perde di più; chi ne ha meno, perde meno. Eppure nissuno di questi dovrebbe perdere la minima quantità del suo metallo, perchè gli si toglie con ciò il corrispondente legittimo diritto di cose equivalenti. Paga dunque chi più, chi meno, la nuova monetazione, la quale essendo fatta per beneficio di tutti, da tutti più egualmente che fosse possibile debb’essere pagata. Quando poi con un leggierissimo tributo confuso nella massa di tutti gli altri si fa la monetazione, nissuno si accorge dell’aggravio, e tutti sicuri di nulla perdere portano a cambiare le vecchie colle nuove monete. Anzi, se il valore è alterato, giustizia vorreb[p. 409 modifica]be che le monete si ricevessero per il valore che la buona fede dà loro, quantunque non vero, perchè non accadano quei gravi sbilanci che in queste occasioni sogliono avvenire, e già da noi divisati. Una porzione del tributo annuo, a quest’oggetto ben regolata, senza danno alcuno potrebbe ovviare a questi inconvenienti. Da ciò si vede quanto imbarazzanti sieno e scabrosi i mali prodotti dal disordine delle monete, se i rimedj stessi corrono rischio per lo più di essere gravosi per molti. Si obbietterà che i forastieri i quali verranno a far battere moneta, se la zecca lavora per pubblico conto, non deducendo la spesa sulla moneta medesima, avranno gratuitamente le monete coniate. A ciò si risponde: 1° che solamente col puro tributo si pagherà la monetazione quando per editto o decreto del principe si faccia, non quando per comodo dei particolari; 2° che non si dovrebbe invidiare a’ forastieri questo vantaggio quando lo avessero, perchè frattanto che essi faranno o faranno fare questo lavoro, dovranno o consumare qualche cosa nello Stato, o pagare provvisione a chi danno questo incarico; ed il trasporto di questo metallo nell’entrare e nell’uscire costerebbe sempre qualche valor maggiore della spesa della monetazione, e perciò il vantaggio dello Stato sarà maggiore del danno.



Note

  1. Negli esemplari di questi Elementi dettati dal Beccaria nella sua scuola, segue dopo questo paragrafo una lunga digressione, divisa in 18 articoli, nella quale l’Autore riassumendo l’esposta dottrina, sembra farne l’applicazione ai gravi disordini che cagionava a quel tempo nello Stato di Milano l’alterato corso delle monete. La specialità di questo riferimento sarà pur stato il motivo, per cui la detta digressione venne omessa nell’esemplare completo che io mi proposi per norma. Tuttavia, perchè nulla manchi nella presente edizione, ho stimato opportuno di darla come un’Appendice in fine di questo Capitolo.

    (Nota dell’Editore milanese.)