Elementi di economia pubblica/Parte seconda/Capitolo VII

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Parte seconda - Dell'agricoltura politica

Capitolo VII - Della pastorale

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Cap. VII. — della pastorale.

80. Ramo capitale di coltura e di pubblica economia è la pastorale, l’arte cioè di nutrire e di far crescere i bestiami, principalmente le pecore. Queste furono da già lungo tempo in questa provincia, avita loro patria e domicilio amplissimo, dal pregiudizio e dalla prevenzione scomunicate. Si pretende che un morso velenoso e municipale avveleni le vigne e le biade e tutto ciò che rodono, onde si è impedito il rinnovellamento di un ramo di rendita, che altre ragioni sicuramente hanno sbandito dal nostro Stato. Dico municipale, perchè in altri Regni vivono pacificamente innumerabili greggie senza che avvelenino nè le biade, nè le vigne di que’ paesi. Dico che altre cagioni le hanno sbandite, perchè un pregiudizio ed una opinione non sono mai state in nissuna nazione la causa di una rivoluzione considerabile ed universale, ma bensì cagioni fisiche e fatti reali, principj e cagioni di fisici effetti. Non è già che un piccolo paese debba principalmente ed esclusivamente coprirsi di greggie e chiudere la terra all’alimento sostenitore degli uomini, e ad altre colture che un maggior numero di quelli fanno sussistere ed agire; ma bensì che si distrugga un errore, che ne esclude anche quel numero che potrebbe vivere senza offesa ne’ terreni inetti ad altre migliori colture, i quali nutrir potrebbero un animale di facile sussistenza, di abbondante prodotto, padre di manifatture e di arti di richiesta universale e di uso indispensabile e comune. La luce de’ sovrani provvedimenti ha [p. 325 modifica]già eliminato un tal pregiudizio; resta solo a noi il secondare la forza legislativa che al nostro bene ci guida, e di non opporre quella querula ostinazione che ci deprime negli antichi errori: errori che di padroni che eravamo di popolazioni forastiere colle nostre lane, schiavi ci rese e dipendenti delle medesime. Egli è vero che forse è cresciuto il lavoro de’ campi dopo quell’epoca in un paese che più d’ogni altro dai colpi i più funesti ha potuto risorgere e ristabilirsi; ma trattasi solamente di promuovere, ove sia opportuno, un ramo ubertoso di commercio e di risparmio, e di elevare una folla d’arti che fuori del breve giro della nostra provincia, quasi per nostra derisione, prosperano floride ed attive a nostro danno, sicuri che il troppo accrescimento sarà naturalmente trattenuto dall’utile maggiore di altre colture, e che le manifatture eccitate dall’impiego delle nostre lane saranno la base ed il principio delle manifatture che sapranno impiegare le forastiere.

81. Le contraddizioni sono sempre il risultato dei discorsi di tutti coloro che rispingono le cose nuove ed insolite con ostinata avversione; declamano da una parte che il paese è spopolato, che mancano le braccia all’agricoltura, che questa va ogni giorno decadendo, che vi sono terre incolte da ogni parte; per il contrario quando si tratta d’insinuare l’introduzione delle pecore, si oppongono tosto col rappresentare che ciò sarebbe dannoso all’agricoltura, base e sostegno di questo Stato, tutto essere occupato da vigne, da frumenti, da gelsi o da praterie a migliore oggetto destinate. Ciò che in realtà si può dire si è, che tratti assai grandi di paese nella nostra provincia sembrano non solo potere ammettere, ma richiedere ed esigere gregge e pastori nazionali. Vaste colline e magre montagne abbiamo, ove lussureggiano soltanto selvatici castagneti, sterile alimento d’una vedova popolazione; abbiamo molti villaggi, che sono il ritiro solingo ed infecondo di mogli abbandonate e di pochi bambini, mentre i mariti corrono con ammirabile e quasi unica industria ad esercitare l’attività del loro ingegno e del loro commercio nel restante dell’Europa. Ritornano, egli è vero, con somme considerabili a ridare la vita ed il moto a quella lan[p. 326 modifica]guente popolazione; ma ciò non è che un risultato passagiero d’una industria altrove esercitata; l’esempio delle fatiche, tutti i vantaggi che sono i primieri ed essenziali, la circolazione del travaglio, il muovere, l’esser mossi, il dare, il ricevere, tutti questi vantaggi sono perduti. Essi, vestiti ed alimentati tutto l’anno su forastiero terreno, portano l’avanzo a casa loro, avanzo che non è origine nè accrescimento d’industria interiore. Grandi famiglie uscirono da quegli erti nascondigli, ma non perciò poi abbiamo veduto rendersi più frequente la popolazione, più fervida la coltura e l’industria locale, più spesse e più agiate le famiglie, soli e veri indizj di un’utile e solida industria. Questi sono i paesi che potrebbono divenire il centro della nostra pastorale; una Arcadia intiera specchiar si potrebbe ne’ nostri laghi, e la solitudine selvaggia e morta dei nostri monti vedrebbesi animata da pascoli d’arti, di greggie e di pastori, per cui le moltiplici operazioni della lana sarebbero una inesausta miniera di perpetua dovizia.

82. Alla pastorale riduconsi le osservazioni politiche intorno alla cura de’ buoi, delle vacche, de’ cavalli, compagni, schiavi, benefattori, vittime dell’uomo. Se a noi manca la pastorale delle pecore, noi ne abbiamo un’altra ubertosa, ampia, sicura produttrice d’infallibili ricchezze; questa consiste nelle numerose e vaste, così dette Bergamine, che coprono principalmente il Lodigiano, quel terreno sabbioso ed infecondo, destinato dalla natura paludoso letto di acque immonde e salmastre; dall’arte degli uomini, costante ed instancabile, reso fecondo e produttore privativo d’inesauribile ricchezza. Con artificio mirabile tutto il paese è organizzato e tessuto d’acque, che per opposte direzioni, in lungo, in largo, trasversalmente, corrono ad animare con esatta ed opportuna irrigazione ogni punto d’una equabilissima superficie. Questa da una immensa popolazione di grosso bestiame, che costantemente vi pasce, è mantenuta feconda ed atta alla varia e vicendevole coltura di frumento, di lino, di seta, di riso, di formaggi: questa ultima sembra la base di tutto il resto. Annientati i bestiami, la sterilità riprenderebbe l’antico suo dominio; la morte ed il silenzio si stenderebbe su [p. 327 modifica]d’un paese, ove ora l’opulenza di grosse borgate, la vita patriarcale de’ pingui coltivatori, un lento, ma solido e costante commercio tengono luogo di numerosi villaggi, di una più frequente popolazione, della moltiplicità delle arti, d’un commercio più vivo e più pronto, doni invincibilmente negati alle circostanze insuperabili di quel paese. A tutto ciò aggiungasi il prodotto considerabilissimo di quei formaggi che spacciansi per tutta l’Europa, resistono più d’ogni altro alimento al tempo trasformatore, e senza l’inconveniente dei scorbutici salumi ai lunghi viaggi ed alle lunghe navigazioni, e sono stati fino ad ora invano imitati da’ forestieri.

83. Io non debbo fare nè un trattato di agricoltura, nè diffondermi in tutti i dettagli di questa materia; conchiuderò adunque con alcune riflessioni, che non debbono omettersi.

i. Essere la pastorale una professione che non mantiene un gran numero d’uomini su poco terreno come la coltura della vigna e del frumento, ma in supplemento all’invincibile sterilità d’un terreno, e che perciò in ogni occasione debbe essere posposta a quelle; non pertanto dovrà essere nè trascurata, nè avvilita, ma sibbene incoraggita coi premj e colla diminuzione del tributo, dove il bisogno lo richieda.

ii. Essere la pastorale la risorsa dei paesi spopolati necessariamente dalle circostanze sia del terreno, sia degli uomini: dove le combinazioni fisiche e morali abbiano invincibilmente alienate le braccia da qualche coltura, ivi la pastorale più oziosa e più tranquilla può essere di supplemento.

Terza riflessione sarà, che la pastorale che serve al nutrimento ed alla educazione dei cavalli, non merita d’essere troppo incoraggita, nè avvilita. I cavalli servono agli usi utili della campagna e delle arti figlie di quella e ai facili trasporti; ma servono ancora alla pompa fastosa delle città, a formare il sonno e la noia del ricco. Per questa ultima parte questo lusso merita d’esser frenato, senza esser tolto. Non bisogna togliere l’esempio del premio e dell’industria, l’uso della ricchezza: chi travaglierà giammai colla stoica risoluzione di non godere i frutti del suo travaglio? Dunque se da una parte gli agi ammolliscono ed estinguono il moto [p. 328 modifica]in chi li gode, dall’altra accendono e pungono l’animo di chi ne è privo. Il freno principale che meriti questo lusso sarebbe di non permetterne l’ingrandimento, in maniera che la terra, nutrice d’arti e d’uomini, non divenisse oziosa mantenitrice d’inutili cocchieri e d’infruttuosi cavalli. Quando questo lusso sia moderato, meglio è che sia nudrito dai forastieri che dai nazionali, perchè sia rimosso l’esempio d’una terra che a migliori colture potrebbe essere destinata. Vera, ma non universale è la massima, che ogni lusso deve essere nudrito dalle arti e prodotti interni; vera, quando non si escludono vicendevolmente; falsa, quando un tal lusso non possa essere tolto da un paese, e l’alimento di quello si opponga ad una migliore coltura: ma di queste considerazioni sarà più accuratamente detto, ove parleremo del lusso.