D’api un libero sciame Industrioso e lieto Se ne vivea felice: Stuol di mosche inquieto,
A cui la fame — anco l’invidia accrebbe,
Un suo moscon per capo eletto s’ebbe; E l’una sì gli dice: — Noi siam pur tante! L’api pochissime. Ciò non ostante Son potentissime.
Esca abbondante, Securo tetto, Pace e diletto... E che non hanno Quelle iniquissime? E il tutto fanno Rette a repubblica. E noi chi siamo? Noi pur vogliamo Libertà pubblica. — Era il moscone Un vero omone, Saggio, prudente, E dell’api sapiente. Onde a quel dire oppone Il ragionar seguente: — Care mie figlie, è facile Il chiacchierar; ma il fare Dà un po’ più da studiare. L’api son insettoni, Aspre di pungiglioni, Che le fan rispettare. Ma noi di tempra gracile, Che faremo in battaglia, Se un soffio ci sparpaglia? Le pure api si pascono Dittamo, erbette e rose: E in noi sempre rinascono Mille voglie golose. La libertà di svolazzar qua e là, Col periglio temprata Di una qualche ceffata, Sia dunque ognor la nostra: Nè questa a noi giammai tolta verrà, Se il senno il ver dimostra. —
Così il dotto moscon, lor viste fosche Ralluminando, aprìa
Che non potrìa — mai farsi un Popol mosche.