Epistolario (Leopardi, 1998)/8

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8. Di Terenzio Mamiani Della Rovere.
[Pesaro 24 Ot̃bre 1814.]


Stimatimo Signore

Nuovi al certo, o Signore comparirangli codesti caratteri, nè capaci in niun modo di scusarsi della loro audacia. Pure lo accerto che la appa[p. 10 modifica]rente temerità vien provenuta dalla debita, e viva ammirazione sincera ch’io nutro verso a i Suoi preclari talenti, e alla Sua (direi quasi) non ordinaria dottrina; la fama di entrambi, e gli elogi, che ognora da questi ridondano mi avean fatti conoscere i pregi della di Lei persona. Il desiderio, che m’anima di farmi noti, ed amici gli vuomini dabene, e tutti i Saggi, che tentano; e s’affatican di accrescere il comune patrimonio dell’arti, e delle Scienze, per l’intiera Letteraria Republica, furono i primi impulsi e le prime cagioni, che mi spingeano a rendergli manifesti i miei sentimenti. I vincoli poscia indisolubili, e sacri di una a me ignota, ma avventurosissima parentela, che fortunato a Lei mi congiunge, mi fecero in sull’istante troncare ogn’importuno ritegno, e con ragione importuno, e intempestivo lo credo, giacché conscio pur sono del Suo gentile carattere, e del dolce, pacifico Suo Genio. S’io scrivere dovuto avessi ad un Politico, o ad un Guerriero mi sarei contentato di profumare il primo con lodi esagerate, e bugiarde proclamandolo Saggio in mezzo ai vizj, che circondano il Trono, e in mezzo alle brame dei cortigiani gabinetti; e paragonato avrei il secondo al sapiente Voban [sic], che vince col silenzio dello studio d’Archimede, e a Montecuccoli, e a Turrena terribili Scipioni in campo illustre di Marte, e magnifici Luculli nei cari ozj della pace. Se poi ad un Principe, o ad un Federico mi sarebbe stato d’uopo colla penna di Racin [sic] con quella medesima penna che fu la delizia della Corte di Luigi XIV ritrattar questo Sovrano come il Filosofo del suo Secolo, e come lo specchio dei Principi in agl’occhi puranco del più rigido Aristarco; in ciò oh! la strana vilenza, che avrebbe soferta la mia indole, e il buon senso! Qual vasto apparato di favole milesie, e di gotica barbarie avrei dovuto pingere con affettati colori per far scender Tersite dalla stirpe d’Achille, e Marsano dal sangue di Rinaldo! Ma io scrivo ad un giovane valoroso, che spinge rapidi, e franchi i nobili suoi passi, per la cariera di Minerva ed Appolline, traendo i suoi giorni fra il lume, che trasparve un dì dalle selve del Tuscolo, ed Arcadia; io scrivo ad un Genio, che tutte abborrisce le lodi cortigiane, e fallaci, e tutta comprende l’effemminata galanteria dei nostri petis [sic] Maitres piena d’inutili smorfie, di simulate espressioni, e insieme di mordaci censure per Madama, e per Monsieur. Laonde gli dovrei dir con Orazio,

Si potes arcaicis conviva recumbere lectis,
Nec modica cenare times olus omne patella
Supremo te Sole domi, Torquate, manebo.

[p. 11 modifica]Invito capace a lusingare pur anche lo stoico Epitteto. Ma io ancor non son degno di un discorso cosi famigliare, e sol mi appago per ora di nuovamente rinovar le proteste di rispetto, e di stima, che sincero il mio animo a Lei tributa; assai felice se potrò ottenere il suffragio di Colui, che nei pit alti gradi della Scienza umana avrà meritato un giorno l’ammirazione, e l’applauso di tutta l’Europa.

Suo devotissimo Servitore
Lorenzo Mamiani

Pesaro 24 Ot̃bre 1814.