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Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 70

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Lettera 69 Lettera 71

[p. 172 modifica]A DON GIOVANNI DALIE CELIE DI VALLE OMBROSA (A).

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J. Lo gfega a volersi nutrite della salute dell’ anime nella mensa della santissima croce, cioè con vero zelo dell’onor di Dio, e con tollerare molte persecuzioni, giacché il tempo presente il richiedeva, onde deplora i difetti ed i peccati de!

inondo, cbe in ogni genere di persone si vedono.

Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

I. Ìlarissimo padre in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’serti di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustatore e mangiatore.delTanime per onore di Dio in su la mensa della santissima croce, ed accompagnarvi coll’ umile ed immacolato Agnello. In altro luogo non veggo, padre, che si possa mangiare questo dolce cibo!

perchè no? perchè noi potemo.mangiare in verità senza molto sostenere: ma co’denti della vera pazienzia, e con la bocca del santo desiderio si conviene mangiare, ed in su la croce delle molte tribulazioni da qualunque lato elle vengono, o per mormorazioni, o per scandali del mondo, e tutte sostenere infino alla morte. Ora è il tempo, carissimo padre, di mostrare se noi siamo amatori di Cristo crocifisso o no, e se noi ci dilettiamo ili questo cibo: tempo è di dare l’onore [p. 173 modifica]’7^ a Dìo eia fatica al prossimo; fatica dico corporale con molto sostenere e fatica mentale, cioè con dolore cd amaritudine offerire lagrime e sudori, umile e continua orazione con ausielato desiderio dinanzi a Dio, perocché io non veggo che per altro modo si plachi l’ira di Dio verso di noi, e s’inchini la sua misericordia; e con la sua’misericordia ricoverare tante pecorelle, che periscono nelle mani delle dimonia, se non per questo modo detto, cioè con grande dolore e compassione di cuore e con orazioni grandissime. E però io v’invito, carissimo padre, da parte di Cristo crocifisso, che ora di nuovo cominciamo a perdere noi medesimi, ed a cercare solo l’onore di Dio nella salute dell’anim

senza alcuno timore servile, o per pene nostre, o per piacere alle creature; o per morte che ci convenisse sostenere per neuna cosa mai allentare i passi, ma correre come ebbri d’amore e di dolore della persecuzione che è fatta al sangue" di Cristo crocifisso, perocché da qualunque lato noi ci volliamo, il vediamo perseguitare. Unde se io mi vollo a noi membri putridi, noi il perseguitiamo con molli difetti e con tante puzze di peccati mortali, e con l’avvelenato amore proprio, il quale avvelena tutto quanto il mondo; e se io mi vollo a’ministri del sangue di queslo dolce ed umile Agnello, la lingua non può anco narrare tanti mali e difetti. Se io mi vollo a’ministri, che sono al giogo deli obedienzia, per la maledetta radice dell’amor proprio che non è anco morta in loro, gli veggo tanto imperfetti, che neuno s’è condotto a volere dare la vita per Cristo cr ocifisso; ma più tosto hanno usalo il timore della morie e della pena, che il santo timore di Dio e la reverenzia del sangue. E se io mi vollo a’ secolari (/?)’die già hanno levato l’affetto del mondo, non hanno usata tanta virtù che si siano partiti dal luogo, o eletta la morie, innanzi che fare quello che non si debba fare; e questo essi hanno fatto per imperfezione, o essi il fanno con consiglio il quale consiglio, se io avessi a dare, io con-

[p. 174 modifica]i?4 sigliarei che, se essi volessero usare la perfezione, eleggessero innanzi la morte, e se essi si sentissero debili, fuggire il luogo, e la cagione del peccalo giusta al nostro potere. Questo consiglio medesimo, se neuno ve ne venisse alle mani, mi parrebbe che voi ed ogni servo di Dio il dovesse dare; perocché voi sapete che in neuno modo, non tanto per paura di pena o di morte, ma per.adoperare una grande virtù, non ci è licito di commettere una piccola colpa. Sicché dunque da’qualunque lato noi ci volliamo, non troviamo altro che difetti, che io non dubito, che se uno solo avesse tanta perfezione, che avesse data la vita per li casi che sono occorsi ed occorrono tutto dì, che il sangue - averebbe chiamalo misericordia, e legate le mani della divina giustizia, e spezzati i cuori di Faraone, che sono indurati come pietra di diamante, e non veggo modo che si spezzino altro che col sangue.

Oimè, oimè, oimè, disavventurata l’anima mia, veggo giacere il morto della religione cristiana, e non mi doglio nè piango sopra di lui: veggo la tenebre venuta nel lume, perocché dal lume della santissima fede ricevuto nel sangue di Cristo, gli veggo venire ad essere abbacinati e riseccata la pupilla dell’occhio, linde, siccome ciechi, gli vediamo cadere nella fossa, cioè nella bocca del lupo infernale, dinudali delle virtù e morti -di freddo; essendo dinudati della carità di Dio e del prossimo, e sciolti dal legame della carità, e perduta ogni reverenzia di Dio e del sangue.

Oimè, credo che le iniquità mie ne sieno state cagione.

Adunque vi prego, carissimo padre, che preghiate Dio per me, che mi toglia tante iniquitadi, e che io non sia cagione di tanto male o elli mi dia la morte; e pregovi che pigliate questi figliuoli morti in su la mensa della santissima croce, e ine mangiate qnesto cibo, bagnati nel sangue di Cristo crocifisso. Dicovi, che se voi e gli altri servi di Dio non ci argomentiamo con molte orazioni, e gli altri con correggersi di tanti mali, il divino giudicio verrà

la divina giusti-

[p. 175 modifica]zia trarrìi fuore la verga sua, benché se noi apriamo gli occhi è già venuta una delle maggiori che noi poliamo avere in questa vita, cioè d’essere privati del lume di non vedere il danno, ed il male dell’anima e del corpo; e chi non vede, non si può correggere, perocché non odia il male

non ama il vero bene; unde non correggendosi cade di male in peggio, e cosi mi pare che si faccia, ed a peggio siamo ora che ’l primo dì. Adunque c’è di bisogno di non ristarci mai, se noi siamo veri servi di Dio, con mollo sostenere, e con vera pazienzia, e dare la fatica al prossimo e l’onore a Dio con molte orazioni ed ansielato desiderio, ed i sospiri ci sieno cibo e le lagrime sieno beveraggio in su la mensa della croce, perocché altro modo non ci veggo. E però vi dissi ch’io desideravo di vedervi gustatore e mangiatore deU’anime in su la mensa della santissima croce. Pregò vf che vi sieno raccomandati i vostri e miei carissimi figliuoli (C), cotesti di costà e questi di qua: nolricateli ed accresceteli nella grande perfezione giusta il vostro potere, e brighiamo di corrile moiti a ogni propria volontà spirituale e temporale, cioè di non cercare le proprie consolazioni spirituali, ma solo il cibo dell’ anime, dilettandoci in croce con Cristo crocifisso, e per gloria e loda del nome suo dare la vita, se bisogna. Io per me muoio, e non posso morire a udire e vedere 1’ofTesa del mio Signore e Creatore, e però vi dimando lernosina che preghiate Dio per me, voi e gli altri. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.


Jesù dolce, Jesù amore. [p. 176 modifica]‘ 4 * r i70 Annotazioni alla, Lettera 70.

(.A) Don Giovanni dalle Cplle monaco Ji Vallombrosa, fiorentino dì patria, nobile per nascitn e«l eminente per Iff dignità di abbate alla santa Trinila di Firenze, oscurò per alcun tempo cjnesu pregi con tetri ed osceni misfatti finché dal generale dell’Ordine fu non pnre rimosso d’ufficio, ma secondo le usanze di quell’età, sottoposto a durissimo carcere. Venne egli allora in sì grande conoscimento de’ suoi eccessi, che trattone dopo un anno sì squallido e rifinito la non potersi reggere in piedi, non pure rifiutò l’antico posto, ma volle pure dilungarsi per sempre dagli uomini, ritraendosi ad un romitorio che si alza sopra il monistero di Vallombrosa, detto dalle Celle, onde ebbe poi il soprannome. Colà inteso lutto alla contemplazione delle cose celesti e ad opre di rigida penitenza, non solo l’Ae dimenticare i trascorsi di sua giovinezza, ma acquistò fama di altissima virtù e di grande perizia nella scienza del cielo. Dal suo rniro inviando lettere a diversi, tornò assai traviati sul cammino della salute: finché rotto da’ patimenti più che dagli anni, in estrema vecchiezza mori, non nel 1378, come scrisse Alberto Uvion, ma verso il 1392, in odore di santità; ed ebbe titolo ili beato. Avea egli stretta amicizia colla santa, e teneala in conto di madre: con che meritò esserle in ispeciale proiezione: dalle intercessioni di lei vivente riconobbe l’essere, risanato da gravissima infermità, e piangendola morta fu consolato ili cara visione, ond ella gli appalesò la sua gloria. Lasciò I). Giovanni parecchie memorie «Iella santa, specialmente in sette epistole a penna esistenti presso la Certosa di Pavia, indiritta a religiosi eremitani, al beato Raimondi» ed altri. Le lettere di questo santo nomo vanno tra le pregiate opere del buon secolo registrate dalla Crusca. Iìgli avea scritta anche una leggenda de’viaggi della santa, siccome avverti il Gigli nella prefazione alla vila di lei, ma per sciagura andò perduta.

KB) R se io mi yollo a secolari. Sembra favellare de’ gravissimi disturbi dall* città di Firenze a tempo dell’ interdetto violato o poco prezzato da molti di quella città.

(C) Che visiono raccomandali i vostri e miei carissimi figliuoli. Di questi discepoli di don Giovanni s’ accennerà alcuna cosa nelle annotazioni alla lettera 309, la quale dalla santa fu loro scritta.