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Er corzè de la scalandrona

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Giuseppe Gioachino Belli

1835 Indice:Sonetti romaneschi IV.djvu sonetti letteratura Er corzè de la scalandrona Intestazione 11 novembre 2024 75% Da definire

Er zervitore e la cammeriera La modestia in pubbrico
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

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ER CORZÈ DE LA SCALANDRONA.1

     Madama Dorotea, me manna cqui
La mi’ padrona pe’ ppijjà er corzè
Fatto a l’usanza de monzù Ggabbè,2
Che jje serve stasera ch’ha da usscì.

     Anzi, m’ha ddetto lei che vv’ho da dì
Che vvenite voi puro3 in zù cco’ mmé,
A mmettéjjelo4 in prova pe’ vvedé
Ssi5 cc’è cquarche ddifetto llì pper lì.

     E ddisce che vve dichi6 d’abbadà
Che in quant’a la larghezza, viènghi7 un po’
Ppiù assestato de quer d’un anno fa.

     Perchè ddisce che mmó llei de cqua ggiù
È ppiù ggrossa d’allora, e cche pperò
Ce vò ppiù stretto un par de déta8 e ppiù.

1 settembre 1835.

Note

  1. Donna pingue e di carni flosce. [Per corzè, si veda la nota 3 del sonetto: La purciaròla, 11 agosto 35.]
  2. Francesco Gabbet, oriundo francese, inventore o propagatore in Roma di una foggia di corsaletti da donna composti di molti pezzi rivolti a filo contro il senso della forza dilatante del corpo, onde, meno cedendo, più lo stringono senza incomodarlo. Raccomanderemo il signor Gabbet al tipografo della Volpe al Sassi in Bologna, onde lo annoveri nella sua edizione di vite e ritratti de’ benefattori della umanità.
  3. Pure.
  4. A metterglielo.
  5. Se.
  6. Che vi dica.
  7. Venga.
  8. Un paio di dita.