Eraclidi/Introduzione

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Euripide - Eraclidi (430 a.C. / 427 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
Introduzione
Eraclidi Personaggi
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Dice il Patin che Gli Eraclidi sono un’opera di valore, e troppo poco apprezzata dalla critica. «Ci seducono in essa — dice — l’ingenua espressione eloquente dei costumi e delle passioni».

E davvero, non si vuole respingere questo elogio cosí generico, e, in conclusione, cosí anodino: però, con tutta la sicurezza consentita in fatto di valutazione artistica, si può affermare che sono il dramma piú debole d’Euripide.

Per cominciare, è quasi per intero intessuto di reminiscenze. Da tutti i critici furono rilevati, e, d’altronde saltano evidenti anche all’occhio meno critico, i doppioni con drammi dello stesso Euripide e degli altri due grandi drammaturghi.

Per ricordare i principalissimi, la scena finale de Le Supplici d’Eschilo corrisponde a quella che apre Gli Eraclidi, l’araldo egiziano al posto di Copreo, Danao a quello di Iolao, Pelasgo a quello di Demofonte.

E venendo al teatro d’Euripide, facilmente si stabiliscono i seguenti paralleli, che per brevità accenno schematicamente.

Supplici. — I due drammi sono proprio gittati nella stessa forma: c’è una combinazione quasi identica di personaggi, di situazioni e di quadri. [p. 4 modifica]

Andromaca. — Il binomio Menelao-Ermione = Copreo. Andromaca = Alcmena. Peleo = Jolao.

Ecuba. — Polissena = Macaria. Ecuba = Alcmena.

Ercole furioso. — Il binomio Megara-Anfitrione = Alcmena-Iolao. La situazione, piú che simile, è identica.

Ifigenia in Aulide. — Ifigenia = Macaria.

Eretteo. — Prassitea = Macaria.

Certo l’abbondanza di tali reminiscenze, e di altre che tralascio per brevità, non può non avere il suo peso; ma anche piú nocivo al complesso dell’opera è che nella loro messa in opera Euripide non ha avuta alcuna di quelle trovate che sostengono l’Ercole furioso, compaginato anch’esso di luoghi comuni, e ciò non ostante uno dei migliori drammi d Euripide.

E se si mettono a confronto le singole scene degli Eraclidi con quelle rispettivamente simili negli altri drammi, le prime scapitano quasi sempre al confronto. Si veda, per esempio, la scena di Macacia. Negli Eraclidi l’eroica risoluzione della fanciulla è presentata senza sfumature, senza preparazione; e cosí ex abrupto, quasi riesce a non commuoverci. Si pensi invece alla magnifica preparazione, ricca di tratti umani e sentimentali, per cui indimenticabile riesce, nella Ifigenia in Aulide, la figura della fanciulla, e il suo martirio ci commuove come quello di una persona reale.

Però, fra parentesi, questa figura è pur sempre di alta nobiltà, ed evidentemente prediletta dal poeta. Altro dei molteplici indici che la famosa misoginia d’Euripide è assai piú nella fantasia dei suoi commentatori che non fosse nel cuore del poeta.

Inutile indugiare in una analisi di caratteri. Copreo, il prepotente soverchiatore, Demofonte, il re magnanimo e intrepido difensor della giustizia, Alcmena, la vecchia spietata, sono, massime i due primi, figure divenute convenzionali nella tra[p. 5 modifica]gedia, quasi maschere tragiche; e ne conosciamo repliche ben superiori.

Maggior considerazione merita invece Iolao, che, posto a confronto col Peleo dell’Andromaca, lo supera di molto. La sua condotta magnanima ed eroica è contiguamente variata e mossa da una sottil vena d‘involontaria comicità, che l'umanizza e gli conferisce carattere distinto. S’illude, per esempio, che Euristeo ci tenga piú a sbarazzarsi di lui che dei figli d’Èrcole. Nel discorso con l’araldo fa proteste che hanno spiccato carattere di millanterie. Quando muove a battaglia, fa un’uscita comica che ricorda la scena delle Baccanti fra Cadmo e Tiresia, talora sin nelle battute: quando, per esempio, il servo gli dice:

Guidar devo un oplita a mo’ d’un pargolo?

Ma non è millanteria, Iolao chiude veramente in petto un cuore d’eroe, e lo dimostra; e i Numi compiono in suo favore il miracolo di farlo ringiovanire.

Esso è certo il personaggio che piú sta a cuore al poeta: ad esso è ispirato, nella narrazione, certo chiara tutta ed evidente, sebbene non possa rivaleggiare con le piú felici d’Euripide, l’unico tratto che sembra veramente circonfuso dell’azzurro ètere della poesia: la pittura del ringiovanimento di Iolao:

                                                  due
stelle sui gioghi dei cavalli stettero,
e dentro un manto oscuro il carro ascosero;
e da quella nebbiosa oscurità,
Iolao con forma giovanil di braccio
emerse.

Del resto, si trovano nel dramma, integralmente, tutte le altre caratteristiche euripidee. [p. 6 modifica]

Il razionalismo. Per esempio, Copreo annunzia che Euristeo è già alla testa del suo esercito alle frontiere di Megara. E ciò per giustificare il suo prontissimo arrivo, appena conosciuta la repulsa di Demofonte. Eschilo non pensava a spiegare come mai, súbito dopo il messaggio dei fuochi, nella scena seguente, potesse già esser giunto, da Troia ad Argo, il messaggero dei Greci. E faceva bene.

E la tendenza sofistica. Alcmena, per uccidere Euristeo, e insieme rispettar le leggi d’Atene che proibivano d’uccidere un nemico preso in battaglia, dice:

                         l’ucciderò,
ed agli amici renderò la salma,
che giungano a cercarla. E rispettate
cosí le leggi avrò d’Atene, ed egli
scontata con la morte avrà la pena.

Massime a questo punto, il sofisma è odioso. E qui, come in mille altri luoghi, l’indulgere a un vezzo essenzialmente stilistico, danneggia e offusca lo spirito medesimo del lavoro.

E gli apoftegmi di amarissima filosofia della vita. Dice Macaria, in punto di morte:

                                    ove sotterra
qualche cosa pur sia; ma forse meglio
se non ci fosse.

E non meno piena di dolorosa esperienza è la sentenza di Iolao a proposito della viltà d’Euristeo:

          in questo punto anche si pecca
nel giudicar chi vive in auge: in lui
alto cuor si presume; e reputiamo
l’avventurato in ogni arte maestro.

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Non speciale d’Euripide, bensí comune a tutti i drammaturghi ateniesi è la piaggeria verso Atene e verso il regime democratico. Ma possiamo ben dire che da questo lato Gli Eraclidi non la cedono a verun altro dramma.

Anche qui Demofonte, senza paura d’anacronismi, fa le sue brave dichiarazioni democratiche: «Bisogna ad ogni modo — egli dice — che io rifletta bene a quello che devo fare,

e ch’io dei cittadini schivi il biasimo:
che despota io non son, come fra i barbari;
ma bene avrò solo se bene adopero.

E Iolao dice degli Ateniesi:

               ben so quale il coraggio,
qual’è l’indole loro: eleggeranno
morir, piuttosto: ché l’onore ha pregio
piú della vita, presso i galantuomini.

E súbito dopo:

Basti d’Atene, ché fastidio arrecano
le troppe lodi.

E non soltanto gli amici, bensí anche i nemici sono invitati a reggere il turibolo. Anche il soverchiatore e superbo Copreo dice a Demofonte:

E non fare, com’è vostra abitudine
che mentre guadagnar puoi l’amicizia
dei piú potenti, preferisca i deboli.

Dove nell’apparente biasimo è incluso il massimo elogio; e questo è vero e proprio virtuosismo adulatorio. [p. 8 modifica]

Ma, tira tira, qualche volta il virtuosismo finisce nel grottesco. Quasi grottesco è quell’Euristeo, che, dopo quel po’ po’ di servizio che in sostanza gli hanno reso gli Ateniesi, si dà cura di svelare a loro un oracolo da cui trarranno giovamento.

E fu già osservato che il contegno moderato di Euristeo che, in contrasto con la implacabile ferocia di Alcmena, guadagna simpatia a quello e ne toglie a questa, e, insieme, a tutta la causa degli Eraclidi, di cui vien predetta l’ingratitudine, sviando all’ultimo momento l’orientazione spirituale degli spettatori, certo non giova alla complessiva impressione della tragedia.

I cori, anche materialmente brevissimi (e anche questo ha la sua importanza), sono stanchi e affrettati, veri fondiglioli del lirismo gnomico che si trova un po’ in tutte le tragedie, ma quasi sempre con ben altri sviluppi. Mai che vi brilli una bella immagine, mai che vi spiri un alito lirico. E neppur questo contribuisce a sollevare il dramma degli Eraclidi.

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GLI ERACLIDI