Etica/Libro Secondo/V

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V. - La costituzione psicologica dell'uomo

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Baruch Spinoza - Etica (1677)
Traduzione dal latino di Piero Martinetti (1928)
V. - La costituzione psicologica dell'uomo
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V. — La costituzione psicologica dell’uomo.


1) Il corpo umano è un aggregato di unità fisiche, atto ad entrare in molteplici rapporti con i corpi esterni: così l’anima (mens) non è un’unità semplice, ma un aggregato organico d’idee, atto ad accogliere in sè altre idee, cioè ad avere molteplici rappresentazioni dei corpi (prop. 14-15). In ciascuno di questi contatti, come dal rapporto del corpo con gli altri corpi risulta un movimento che deriva dall’uno e dagli altri, così l’idea corrispondente ci rappresenta lo stato del nostro corpo e quello degli altri corpi con cui è in rapporto: perciò «le idee che abbiamo dei corpi esterni esprimono più la natura del nostro corpo che quella dei corpi esterni» (Et., II, 16, dim.).

Prop. 15. L’idea che costituisce l’essere formale della mente umana non è semplice, ma composta di molte idee.

Prop. 16. L’idea di qualunque affezione del corpo umano da parte dei corpi esterni deve involgere la natura del corpo umano e nello stesso tempo quella del corpo esterno.

Nelle due proposizioni successive Spinoza passa a spiegare la memoria e l’associazione delle idee. La spie­gazione che egli ne dà è fisiologica: la persistenza delle immagini è messa in rapporto con la persistenza delle impressioni materiali nel corpo. Ma questo non implica una dipendenza: è un semplice richiamo a ciò che av­viene nella serie corporea parallela. Siccome l’idea o immagine del corpo esterno non è tanto un rispecchia­mento di questo, quanto uno stato nostro, nel quale concorre anche la natura del corpo esterno, così non è affatto necessario che questo esista realmente perchè noi ne abbiamo l’immagine: basta che l’azione sua, lo stato prodotto in noi, persista e non sia tolta da un’altra azione contraria. L’azione sua, cioè lo stato corrispondente in noi tende, in altre parole, a [p. 54 modifica]persistere indefinitamente; perchè si cancelli, è necessario intervenga in noi un’altra azione, un altro stato. Quando in noi, scomparso l’oggetto, persiste l’imma­gine illusoria, l’errore non sta nell’avere l’immagine dell’oggetto, ma nel non avere l’immagine di ciò che ha sospinto l’oggetto fuori della cerchia dell’esistenza reale: questa immagine darebbe alla prima il suo vero carattere di semplice rappresentazione memorativa. Che anzi il conservare l’immagine degli oggetti non più presenti, conoscendone la non esistenza, è un atto di potenza della mente e come un tentativo di tenere pre­sente anche ciò che cade fuori della limitata sfera del­l’esperienza immediata. Queste immagini sono certo meno vive di quelle delle cose presenti: ma in sè sono della stessa natura di queste e non vi è alcuna essen­ziale differenza tra l’immagine attuale e quella di cose puramente ricordate o immaginate.

Inoltre così comprendiamo chiaramente quale differenza vi sia, per es., tra l’idea di Pietro, che costituisce l’essenza della mente sua, e l’idea dello stesso Pietro che è in un altro uomo, per es., in Paolo. Quella esprime direttamente l’essenza del corpo di Pietro, nè involge l’esistenza se non fino a quando Pietro esiste: questa invece esprime più la costituzione del corpo di Paolo che la natura di Pietro; e perciò finché permane quella data costituzione del corpo di Paolo, la mente di Paolo, sebbene Pietro non esista, lo contemplerà come se fosse ancora presente. Per ritenere il linguaggio comune chiameremo le affe­zioni del corpo umano, le cui idee ci rappresentano le cose esterne come presenti, immagini delle cose, sebbene non ripro­ducano punto la figura delle cose. E quando la mente contempla i corpi in questa maniera, diremo che essa immagina. E qui, per cominciar a indicare che cosa è l’errore, vorrei far notare che le immaginazioni della mente in sè considerate non con­tengono errore: cioè che la mente, in quanto immagina, non erra; ma solo erra in quanto è considerata priva di quell’idea, la quale esclude l’esistenza di quelle cose che essa immagina come presenti. Perchè se la mente, quando s’immagina le cose non esistenti come presenti, sapesse nello stesso tempo che le [p. 55 modifica]cose in realtà non esistono, essa attribuirebbe certo questa potenza d’immaginare ad una virtù della sua natura, non ad un difetto, specialmente se questa facoltà d’immaginare dipendesse dalla sua sola natura, cioè se fosse libera. (Et., II, 17, scol.).

Anche la spiegazione che Spinoza dà dell’associazione è in apparenza fisiologica: laddove l’intelletto collega le idee secondo la loro natura in un ordine ob­biettivo uguale per tutti, l’associazione immaginativa le collega secondo le affezioni del corpo: ossia secondo quei rapporti soggettivi che si stabiliscono fra le rap­presentazioni per effetto della causalità empirica e che riproducono i rapporti accidentali che la causalità em­pirica stabilisce fra gli elementi del nostro corpo e gli altri corpi; che cioè riproducono i rapporti accidentali che si stabiliscono fra le nostre affezioni corporee.

Di qui chiaramente intendiamo che cosa sia la memoria. Essa non è altro che una certa concatenazione d’idee implicanti la natura delle cose esteriori al corpo, la quale concatenazione avviene nella mente secondo l’ordine e la concatenazione delle affezioni del corpo umano. Dico in primo luogo che è soltanto una concatenazione di quelle idee che implicano la natura delle cose esteriori al corpo, non di quelle idee che esplicano la na­tura delle cose stesse; perchè sono in realtà idee delle affezioni del corpo umano che esprimono tanto la natura di questo come la natura dei corpi esterni. Dico in secondo luogo che questa concatenazione avviene secondo l’ordine e la concatenazione delle affezioni del corpo umano per distinguerla da quella con­catenazione d’idee che si fa secondo l’ordine dell’intelletto, che dispone le cose secondo la loro dipendenza dalle prime cause e che è uguale in tutti gli uomini. E di qui comprendiamo chia­ramente ancora perchè la mente passa rapidamente dal pensiero d’una cosa al pensiero d’un’altra, che non ha con la prima somiglianza alcuna; come, per es., dal pensare la parola «pomo» un latino passerà subito al pensiero del frutto che non ha con quel suono articolato nessuna somiglianza, nè alcunchè di comune, se non che il corpo dello stesso uomo ne fu più volte affetto; e cioè lo stesso uomo udì la parola «pomo» [p. 56 modifica]mentre vedeva il frutto; e così ciascuno passerà dall’uno al­l’altro pensiero secondo che l’abitudine avrà ordinato le im­pressioni delle cose nel corpo. Un soldato, per es., vedendo nella sabbia le tracce d’un cavallo, passerà dal pensiero del cavallo al pensiero del cavaliere, di qui al pensiero della guerra, ecc. Invece un contadino dal pensiero del cavallo pas­serà al pensiero dell’aratro, del campo, ecc.; e così ciascuno, secondo che fu abituato ad unire e concatenare in questo o quel modo le immagini delle cose, passerà da un pensiero a questo od a quell’altro. (Et., II, 18, scol.).

Siccome l’anima ci rappresenta il corpo corrispon­dente non in sè, come è nella realtà assoluta, ma solo come è nell’esperienza finita, nei suoi rapporti causali accidentali con gli altri corpi, dai quali la sua esistenza è determinata, così non si può dire che essa conosca il corpo nella sua intrinseca natura, ma soltanto nelle sue affezioni; nelle quali, come sappiamo, concorre non solo la natura del corpo che ne è il soggetto, ma anche quella dei corpi agenti su di esso (prop. 19).

2) Le prop. 20-23 ci dànno la teoria dell’idea mentis: teoria necessaria a Spinoza per spiegare la coscienza riflessa. Ogni modo ha un lato reale ed un lato ideale; ma questo, in quanto è anch’esso un che di reale, deve avere il suo lato ideale, la cogitatio della cogitatio. Vale a dire l’idea deve essere la coscienza dell’affezione corporea e di se stessa (idea mentis): l’idea mentis non è che la mens in quanto ha coscienza di sè: «mentis idea et ipsa mens una eademque est res» (prop. 20-22). Nella prop. 23 Spinoza stabilisce per la mens ciò che ha detto sopra (prop. 19) rispetto al corpo. Anche la idea mentis, in quanto è la coscienza che la mente ha di se stessa e in quanto la mente non coglie la natura del corpo se non nelle sue affezioni, non è una vera e propria coscienza che la mente abbia della sua natura, ma è soltanto la coscienza delle sue proprie affezioni.